Ritengo di essere stato fortunato e di aver avuto una vita interessante.
La mia vita si può dividere in blocchi. Il primo, l’ho fondamentalmente trascorso fuori dall’Italia. Nato a Milano nel 1958, alla fine del 1964 lascio la mia città col resto della famiglia per seguire mio padre a Bogotà, dove è stato nominato direttore dell’istituto italiano di cultura. Sedi successive del suo lavoro - e di vita per l’intera famiglia - saranno Beirut, Lima e Tripoli. Insomma, un ping pong fra America Latina e Medio Oriente che mi introduce alla conoscenza di quelle realtà. Se i miei interessi si concentrano principalmente sulla storia e la politica di quei paesi, non tralascio di studiarne la cultura, l’arte e la letteratura. Qualche snapshot di quel periodo: lo splendore della natura della Colombia, che tanto aveva meravigliato i conquistadores; l’obbligo di oscurare i vetri nella nostra casa di Beirut durante la guerra dei sei giorni; la mia precettazione, da studente delle superiori, a sostegno del “Gobierno revolucionario de las Fuerzas Armadas” del Perù. Ma anche, il boom della letteratura latinoamericana o l’incontro con le grandi civiltà del Medio Oriente.
Nel secondo blocco, sono a Milano. Vi torno nel 1974 per completare gli studi: laurea in scienze politiche presso l’università statale e diploma dell’ISPI per le carriere diplomatico-internazionali. È un periodo proficuo ma non facile: sono gli anni di piombo, dell’eskimo e delle spranghe, delle stragi sui treni. Ma anche del riflusso, della scoperta dell’India e del misticismo orientale. Quando si profila un ritorno alla “normalità” e Milano diventa “da bere”, ecco che me ne vado di nuovo dall’Italia. Non prima però di aver lavorato per un paio d’anni per la rivista dell’ISPI “Relazioni internazionali” come redattore su temi di politica mediorientale e latinoamericana.
Il terzo blocco inizia quando vengo assunto dal programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). Prima sede, nel 1983, Lima (di nuovo il Perù!). Poi Islamabad, Vienna e Washington D.C., per varie agenzie specializzate, su temi di controllo delle droghe, assistenza ai profughi palestinesi e migrazioni. Anche in questa fase non mancano le esperienze interessanti. Per citarne due a caso: le fughe precipitose davanti a turbe inferocite di contadini peruviani e pakistani per nulla intenzionati ad abbandonare le loro coltivazioni illecite di coca e papavero da oppio; i tentativi di interporsi, a Gaza, durante la prima Intifada, fra i palestinesi armati di sassi e fionde e le micidiali pallottole di gomma dei soldati israeliani.
E veniamo al quarto blocco: nel 1991 inizio a lavorare presso l’ufficio dell’ONU di Vienna che si occupa di droga, crimine e terrorismo. Qui mi si apre un mondo nuovo, quello dell’alta politica internazionale, nella sua cruda spietatezza. Partecipo alla gestione di negoziati multilaterali fra Stati e maturo la convinzione che quando si parla di relazioni internazionali non ci sono ideali, ideologie o valori che tengano (se non per farne un uso strumentale). Si ragiona in termini di pura forza e potenza e i diplomatici sono vere e proprie “macchine da guerra”. A quante maratone di sherpa ho partecipato, che si prolungavano dalle dieci di mattina alle quattro della mattina successiva! Insomma, un’esperienza che ha rafforzato l’idea di Realpolitik che già mi ero fatto. Poiché alcune delle riunioni si svolgevano regolarmente in America Latina o Medio Oriente, ho potuto continuare ad approfondire la mia conoscenza di quelle regioni. In questo periodo, ho avuto anche la fortuna di incontrare mia moglie, una donna di Beirut (ancora il Libano!) dalla saggezza antica, che mi ha dato due splendidi figli di cui vado molto fiero. Infine, ho potuto godere della vivibilissima Vienna, al centro di quell’area un po’ misteriosa che si usa definire Mitteleuropa.
E veniamo all’oggi. Nel 2020, dopo quasi quarant’anni di onorato servizio ONU ho deciso di andare in pensione e di restare, almeno inizialmente, a Vienna. Occupo il mio tempo con le letture, i viaggi, le mostre e l'hobby della pittura. Dal marzo del 2022 collaboro con la rivista “Turisti per caso - Slow Tour” di mio cugino Patrizio – noto personaggio televisivo - con articoli di viaggio. Mi sono ritirato sulla riva del fiume e osservo con una certa perplessità fenomeni a me fondamentalmente estranei come l’intelligenza artificiale, l’ideologia gender, o la cancel culture, fiero di essere definito - a cominciare dai miei figli - un “vecchio bacucco”. Quando mi è stata offerta la possibilità di collaborare con la rivista Meer, ho preferito scegliere temi di “turismo letterario” anziché quelli di politica internazionale a me familiari. Ma si sa, la politica “è una cosa sporca…”.