Quand’ero giovane, anche gli allievi di quinta elementare conoscevano la frase del “bieco” Metternich secondo cui il libro di Silvio Pellico Le mie prigioni avrebbe danneggiato l'immagine dell’Austria più di una battaglia persa.
Oggi temo che non sia più così, ma la figura del patriota italiano imprigionato nel tetro carcere dello Spielberg resta degna di essere ricordata, soprattutto per un appassionato di Risorgimento come me.
E poiché vivo a Vienna, a un tiro di schioppo da Brno, in Moravia, dove si trova il carcere, mi è stato agevole recarmici, alla ricerca delle sue tracce. Non senza prima aver riletto il suo famoso libro autobiografico, di cui conservavo solo vaghe memorie scolastiche (come la maggior parte dei lettori ne ricordavo soprattutto la parte più “splatter”, quella sull’amputazione della gamba subita in carcere per un tumore dal compagno di sventure Pietro Maroncelli, che descrive dettagliatamente pelle rivoltata, taglio di muscoli scorticati, ossa segate, sangue a torrenti e altre piacevolezze…).
Prima di descrivere la visita allo Spielberg, vale ricapitolare per sommi capi la figura e la vicenda di Silvio Pellico.
Silvio Pellico e Le mie prigioni
Poeta, scrittore e drammaturgo, Pellico fu arrestato il 13 ottobre 1820 a Milano, dove era giunto dalla natia Saluzzo per fare l’insegnante privato. Nella città lombarda aveva iniziato a frequentare e a scrivere per Il Conciliatore, rivista oggetto delle attenzioni della censura dell’impero austriaco.
Sono gli anni delle idee liberali e patriottiche, del sentimento di unità e indipendenza dell’Italia, di ribellione verso l’occupante austriaco. Pellico entrò a far parte dei “Federati”, una delle tante cellule carbonare. Il gruppo fu scoperto e soppresso dalla polizia quando Pietro Maroncelli, uno dei suoi affiliati, fu arrestato mentre era in possesso di alcune lettere indirizzate ad altri componenti del gruppo. Iniziarono così una raffica di arresti e confessioni che annullarono ogni intento politico. Dopo l’arresto, nell’ottobre del 1820, nel 1822 si ebbe il processo: tutti condannati a morte per alto tradimento. Come capitava spesso, sopraggiunse poi la grazia dell’Imperatore, il quale cambiò la sentenza in 15 anni di carcere duro nell’antica fortezza dello Spielberg, a Brünn (l’odierna Brno, nella Repubblica Ceca).
Dentro alle celle umide e insalubri, nella solitudine, Pellico visse la sua esperienza di vita più drammatica, tra cibo scarso e di cattiva qualità, lunghe giornate vuote, malattie. Dopo nove anni di reclusione, fu graziato dall’Imperatore e tornò in libertà. Ma la segregazione lo aveva profondamente cambiato. Da uomo di pensieri liberali era diventato sostenitore di un cattolicesimo intransigente, quello che disprezzava modernisti e repubbliche. E quando pubblicò le sue memorie dal carcere, Le mie prigioni, il suo intento non fu tanto quello di denunciare il sistema carcerario austriaco, ma piuttosto di evidenziare come il senso religioso potesse essere di conforto nei momenti di sofferenza e isolamento. In altri termini, le sue memorie non erano tanto finalizzate a sollevare gli animi degli insorti, quanto a raccontare la sua conversione alla religione cattolica nei difficili anni trascorsi allo Spielberg.
Dal libro di Pellico il pubblico europeo apprese che il regime austriaco teneva in prigione anche i suoi avversari politici. L’opera, pubblicata nel 1832, fu subito tradotta in francese, tedesco e inglese e diffusa in mezza Europa. Per una sorta di malinteso il libro ebbe una notorietà inaspettata. Non per volontà dello scrittore, ma piuttosto per l’interpretazione che gli diedero i “progressisti” dell’epoca, che ne fecero un simbolo di libertà di fronte all’oppressione. Il timbro liberale prese il posto di quello spirituale e il libro divenne per la storia la denuncia dell'agghiacciante comportamento dell’Impero contro i suoi oppositori, anziché il resoconto dell’evoluzione interiore dell’autore. In realtà Pellico riempì i suoi ricordi soprattutto con la gentilezza e la comprensione per quelli che l’avevano incarcerato, con la rassegnata e cristiana accettazione della propria sorte e l’amore per i suoi compagni di prigionia.
Quel che è certo è che Le mie prigioni non sono un libro politico. Pellico mette subito in chiaro: “Ho affermato di non parlare di politica, e bisogna quindi ch’io sopprima ogni relazione concernente il processo (…) di ciò non dirò nulla. Simile ad un amante maltrattato dalla sua bella, e dignitosamente risoluto di tenerle broncio, lascio la politica ov’ella sta, e parlo d’altro”.
Alla fin fine, il povero Pellico fu un incompreso. Sia dai cattolici fondamentalisti, visto il suo passato di carbonaro, sia dai carbonari stessi, vista la sua successiva evoluzione intellettuale. Uscito di galera, Silvio Pellico non frequentò più gli ambienti rivoluzionari. Si trasferì a Torino, si dedicò alla composizione di tragedie che non ebbero grande fortuna, continuò ad insegnare ai figli dell’aristocrazia, divenne terziario francescano. Quando morì, a Torino, nel 1854, Pellico era diventato celebre per il suo libro autobiografico, ed entrato a pieno titolo nella storia del Risorgimento.
Il carcere dello Spielberg
Lo Spielberg, creato nella seconda metà del secolo XIII, subì molte ristrutturazioni nel corso dei secoli. Da sede gotica dei re di Boemia e dei margravi di Moravia fu trasformato, nella seconda metà del secolo XVII, in una vasta fortezza di stile barocco. L’Imperatore Giuseppe II decise nel 1783 di creare nello Spielberg una prigione per i delinquenti particolarmente pericolosi (soprattutto assassini, rapinatori ed incendiari), condannati a vita o a pene lunghe, e rinchiusi in celle collettive nelle casematte della fortezza.
Com’è noto, dopo il Congresso di Vienna ed il rafforzamento delle correnti reazionarie in tutta Europa l’Austria s’era incaricata del mantenimento dell’ordine nell’Italia settentrionale. Di conseguenza, il regime dell’Imperatore Francesco I scatenò il terrore poliziesco contro i carbonari, condannandoli a molti anni di carcere duro. Da quel momento in poi allo Spielberg non furono incarcerati solo i criminali comuni, ma anche coloro che si erano battuti per la libertà dei popoli, contro l’oppressione e l’ingiustizia.
Le persone di ceto superiore, i cosiddetti “prigionieri di stato” scontavano la pena in celle individuali, al piano superiore della prigione. Il trasporto dei condannati veniva celato, ed il percorso evitava Vienna e altri centri maggiori. Nessuno doveva supporre che allo Spielberg erano imprigionati oltre ai criminali anche i prigionieri politici. Essi venivano trasportati in speciali carri chiusi e in piccoli gruppi, e l’arrivo a Brünn avveniva a tarda ora o all’alba per mantenere la massima segretezza.
Il Gruppo dei prigionieri italiani era costituito da persone colte, per le quali la lettura, lo studio e l‘attività letteraria erano una necessità di vita. Tutto questo era negato. Dopo l’arrivo allo Spielberg ai prigionieri politici venivano ritirati oggetti personali, libri, soldi e tutto quello che poteva ricordare la loro vita precedente.
Oltre a Pellico e Maroncelli furono rinchiusi allo Spielberg molti altri carbonari (e in seguito aderenti alla Giovane Italia), fra cui si ricordano Antonio Fortunato Oroboni, Cesare Albertini e Giovanni Vincenti, tutti morti nel carcere per tubercolosi o malattie dovute all’eccessiva umidità, o il più famoso Federico Confalonieri, grande magnate lombardo di antica casata, , fra i fondatori del periodico letterario Il Conciliatore, carbonaro e massone (quasi un antesignano degli odierni radical chic?), rilasciato nel 1832.
La visita al carcere
Sceso dal treno alla stazione centrale di Brno, non ho avuto difficoltà a individuare subito la mia meta. Il carcere dello Spielberg è infatti facilmente visibile sulla sommità di una ripida collina al limitare del centro storico della città.
Lasciamo la parola al Pellico stesso: “La città di Brünn è capitale della Moravia, ed ivi risiede il governatore delle due provincie di Moravia e Slesia. È situata in una valle ridente, ed ha un certo aspetto di ricchezza (…) la popolazione era di circa 30 mila anime. Accosto alle sue mura, a ponente, s’alza un monticello, e sovr’esso siede l’infausta Rocca di Spielberg, altre volte reggia de’ signori di Moravia, oggi il più severo ergastolo della monarchia austriaca. Era cittadella assai forte, ma i Francesi la bombardarono e presero a’ tempi della famosa battaglia di Austerlitz (il villaggio d’Austerlitz è a poca distanza (…) Circa trecento condannati, per lo più ladri ed assassini, vi sono ivi custoditi, quali a carcere duro, quali a durissimo. Il carcere duro significa essere obbligati al lavoro, portare la catena ai piedi, dormire su nudi tavolacci, e mangiare il più povero cibo immaginabile. Noi prigionieri di Stato, eravamo condannati al carcere duro”.
Salito anch’io sul “monticello”, ho attraversato il fossato in cui si trova il cimitero dei patrioti italiani morti durante la prigionia e ho infilato la stretta porta d’accesso alla fortezza, la stessa che Pellico attraversò di notte, chiuso in una carrozza cellulare, quando giunse allo Spielberg nel 1822 e quando l’abbandonò nel 1830, dopo la grazia. All’interno, si visitano le celle di Pellico e degli altri prigionieri, in cui si trovava un tavolaccio in legno, un pagliericcio, un guanciale imbottito di paglia tritata, un lenzuolo in lino, una coperta, un tavolino per vasi destinati al cibo, uno scaffale, un piccolo attaccapanni, un vaso da notte, un catino, un ruvido asciugamano, un pettine, un vaso per bere ed un cucchiaio. Le celle davano al nord, dove non entrava il sole. Di qui le frequenti malattie dei prigionieri, quali artrosi, reumatismi ed affanni di petto, per non parlare dell’inappetenza, dei dolori allo stomaco, della dissenteria e dei problemi psichici.
Sono anche esposti altri cimeli: i ferri ai piedi, che venivano messi da un fabbro al prigioniero subito dopo l’arrivo allo Spielberg, e con i quali egli doveva lavorare e dormire. O la divisa carceraria, in grezzo tessuto di lino, bicolore (marrone e cappuccino) per maggior vistosità. Ovunque, memoriali e placche commemorative ed esposizioni dedicate ai patrioti italiani, principalmente finanziate dal governo italiano in occasione del primo centenario dell’incarcerazione di Silvio Pellico, nel 1922.
Durante la mia visita ho anche scoperto, grazie alle lapidi e ai cimeli, che, oltre agli Italiani, i cittadini di molte nazioni europee ebbero qui i propri eroi e martiri: sostenitori della Rivoluzione francese, giacobini ungheresi, rivoluzionari polacchi. Non per nulla lo Spielberg è stato anche chiamato “carcere delle nazioni”.
Conclusione
Oggi, pur in tempi molto mutati rispetto al passato, Pellico rimane un simbolo. La sua testimonianza, da qualunque parte politica o ideologica la si guardi, rimane un importante tassello della narrazione di quegli anni che portarono all’indipendenza e all'Unità d’Italia, oltre che una riflessione ancora pienamente valida sui diritti umani, sulla spiritualità e sulla libertà.
Mi piace finire il mio pezzo con le sagge e belle parole che concludono “Le mie Prigioni”: “Ah! Delle passate sciagure e della contentezza presente, come di tutto il bene ed il male che mi sarà serbato, sia benedetta la Provvidenza, della quale gli uomini e le cose, si voglia o non si voglia, sono mirabili stromenti ch’ella sa adoprare a fini degni di sé”.