Prendiamo in mano un foglio di carta. Sì, prendiamolo e osserviamolo: dimensione, spessore, colore, posizione nel contesto. Al tatto comprendiamo se la superficie sia liscia o rugosa, passiamoci sopra i polpastrelli delle dita di entrambe le mani. Proviamo ad annusarlo per comprendere se racconta qualcosa alle nostre narici. Orientiamo quindi la nostra attenzione consapevole a quel foglio, facciamo in modo che diventi l’oggetto della nostra momentanea concentrazione.

Poi iniziamo a piegarlo. Prima in due, poi in quattro, poi in otto e così via. C’è chi dice che se potessimo piegare quel foglio per 23 volte raggiungeremmo l’altezza di un chilometro. E che se lo piegassimo 42 volte raggiungeremmo la Luna, a 400.000 chilometri di distanza dalla Terra.

E già qui potremmo restare abbacinati e ammutoliti ad ammirare il concetto della crescita esponenziale, che è un concetto proprio della complessità: il mondo non è al contrario, bisogna saperlo leggere e interpretare informando i migliori occhiali.

Pieghiamo e ripieghiamo dunque il foglio. Piegarlo significa generare un’altra forma, procedere da una forma all’altra, essere artefici di una metamorfosi.

Quando non riusciamo più a piegare il foglio perché è diventato troppo spesso, fermiamoci un istante, inspiriamo ed espiriamo con consapevolezza, osserviamo la nuova dimensione del foglio piegato. E poi cominciamo a togliere le pieghe, una a una, lentamente.

Togliere le pieghe a un foglio significa spiegarlo. Già, proprio così. Aver reso un foglio senza pieghe, vuol dire averlo spiegato.

Quando noi spieghiamo qualcosa, togliamo le pieghe da un contenuto per renderlo chiaro e comprensibile. Nello spiegare noi rendiamo un concetto semplice. Sì, perché semplice etimologicamente significa senza pieghe. O, secondo alcuni, vuol dire con solo una piega.

Con una piega un’idea è semplice, con molte pieghe un’idea è complicata. Il contrario di semplice è quindi complicato. Complicato, cioè difficile, oscuro, contorto, macchinoso, è opposto di semplice, cioè facile, chiaro, puro, singolo.

E tutto questo ha una connessione con la complessità? No. Proprio per nulla.

Il contrario di semplice è complicato, non è complesso.

E allora cos’è complesso? Complesso è qualcosa di annodato, di intessuto, di abbracciato. Perché nella complessità è racchiusa l’idea di qualcosa che è composto di più parti, che sono collegate tra loro e dipendenti le une dalle altre.

La parola complesso ha genitori che provengono dalla Grecia antica: il verbo plèkein era il suo prolifico nonno usato da Aristotele e da Platone. Plèko significava annodo, raccordo, concateno, congiungo, intesso.

Il greco plèko, nei secoli, ha figliato e nella nostra lingua incontriamo alcuni suoi nipoti. Amplesso, ad esempio, cioè abbraccio ma anche accoppiamento erotico. Ed è suo discendente anche perplesso, detto di chi è esitante, titubante, indeciso e per questo s'inviluppa nella selva di cose confuse e intricate.

Ma se il contrario di semplice è complicato, qual è il contrario di complesso? Ebbene, il contrario di complesso è sfilacciato, sbrindellato, è un singolo filo che non sta in relazione con altri, è lineare, è deterministico, è banale, è lo slogan.

Quando ascoltiamo uno slogan, soprattutto se detto da chi dovrebbe occuparsi della polis che di per sé è una struttura complessa, è bene che attiviamo un approccio innervato di sano sospetto, di consapevole circospezione e di una buona dose di diffidenza. La banalità e la complessità sono due poli che si respingono, con disgusto reciproco.

Lo schema a forma di x è questo: il contrario di semplice è complicato, il contrario di complesso è banale.

Usando il telaio della nostra mente, del nostro cuore e del nostro corpo possiamo quindi dare un senso personale, individuale e collettivo, alla complessità della nostra esistenza.

Così è la vita, complessa, imprevedibile, incerta come ci insegna il maestro Edgar Morin, autore dei volumi sul Metodo per comprendere la complessità; vaga come l’ha rappresentata Giacomo Leopardi; né bella né brutta ma originale come ha detto Italo Svevo nella Coscienza di Zeno.

Per apprezzare la complessità possiamo quindi lasciarci trasportare dallo stupore, che ci rende stupefatti e anche un po’ instupiditi. Possiamo accogliere in noi la meraviglia che significa allenare la mente alla curiosità e affinare lo sguardo per mirare cioè per osservare con grande cura. Possiamo immergerci nell’incanto, che è un canto dentro di noi. E possiamo essere pronti alla sorpresa, cioè all’essere colti dall’alto, perché nella parola sorpresa troviamo il concetto di presa da sopra, come se fossimo ghermiti da un’aquila che ci porta a un altro luogo, lontani dal luogo in cui stiamo leggendo questa pagina, in un altrove in cui stupore, meraviglia, incanto e sorpresa si abbracceranno tra loro e abbracceranno anche noi in una favolosa, meravigliosa complessità.

La semplicità è in definitiva un'arte che richiede pratica quotidiana e dedizione costante. Non è un obiettivo da raggiungere, ma un percorso da intraprendere (el camino es la vida è scritto nel bracciale che porto al polso). In un mondo che ci spinge talvolta verso il banale, la semplicità ci invita a riscoprire la bellezza dello stormo degli uccelli nel cielo, un assetto di volo semplice e insieme complesso. È un invito a vivere con grazia e consapevolezza, abbracciando l'essenza della vita in tutta la sua pura, chiara e semplice bellezza.