Zagreus! Iò Zagreus! With the first pale clear of the heaven And the cities set in their hills, And the goddess of the fair knees Moving there, with the oak-woods behind her, the green slope, with white hounds lepaing about her…

(Ezra Pound, Cantos XVII)

…mi venne Filippo Tomaso dicendo: be’, sono morto ma non voglio andar in Paradiso, voglio combatter’ancora Voglio il tuo corpo, con che potrei ancora combattere…

(Ezra Pund, Cantos LXXII)

Leggere/ascoltare i Cantos implica un’esperienza iniziatica. È come ascoltare/vedere l’opera di Carmelo Bene: all’inizio senti fastidio, disagio e vieni come respinto, allontanato. Non c’è dis-corso, la logica salta, il senso comune pure. Sembra un vaniloquio inconcludente e irritante. Sembra un perdere e lo è. Ogni iniziazione è perdita, ancor prima che varco. Poi qualcosa accade, si accende una scintilla e il buio si rivela tanto fitto quanto abitato, possibile, profumante, liberante. Allora capisci che sei un privilegiato tu che cammini con Pound e con Carmelo Bene perché loro ti portano dentro le radici carnali di Poiesis, nella sorgente/aurora musicale di Mithos. Allora ti arrendi e ti lasci sopraffare, vincere.

Pound amava visceralmente l’Italia del Quattrocento, come l’Italia coeva con la sua anima mediterranea, ardente, festiva, ancora greca. Nei Cantos la sua voce si presenta Isotta degli Atti come Sigismondo Malatesta e il Carmagnola e Borso d’Este e ce li presenta carnalmente in uno stupore erotico-mistico come vicini di casa, complici e confidenti. La Voce di Pound padroneggia ogni registro: dai toni epici e declamatori al sussurro intimo, delicato, sognante. Il ritmo è la genesi mitogonica di Poiesis; rta. Ora cantilena ora inno quando non filastrocca o limerick o sonetto. Italiano, inglese, provenziale, latino, greco, francese e ideogrammi cinesi antichi.

La Lingua che è Poiesis declina ogni lingua. Ecco Joyce prima di Joyce e non a caso si deve a Pound la pubblicazione dell’Ulisse. Un flusso disarticolato, totale, immediato di sole sensazioni, colori, suoni, profumi, gesti, movimenti. Immagini non visibili, echi, risonanze, iterazioni, lettere iniziali maiuscole, sensi non detti ma presenti, orchestrazioni fluenti.

In quale bordello o ristorante ha incontrato la sua Titania o Isotta degli Atti e quale Giangaleazzo gli passa accanto? Il tempo è un istante totale in flussi centripeti, concentrici, fluttuanti. Circe e Nerea sono nomi dati a sensazioni, percezioni di bellezza, semitoni dove non si distingue fra dentro e fuori, sguardo e attimo. La Storia grazie a Pound si reinventa e si trasfigura sopportabile perché la sua alchimia la trasforma in conversazione, pettegolezzo, incontro, confidenza intima, urlo, canzone.

Lo stupore poetico rende tutto eloquente e incantante, persino la nascita politico-economica della cartamoneta nella Cina imperiale o i maneggi industriali e lobbistici nei retroscena della grande ferrovia americana transoceanica. Epos e ferro, volti e parole; tutto è visione e canto. Fra le sue facili e aggraziate parole c’è sempre un vento, un fremito, un sussulto che manda avanti come in sogno il susseguirsi imprevedibile dei colori, delle immagini, del sostare come del fuggire di uno sguardo pensoso quanto sognante.

Ezra come Esiodo e come Pindaro ci appare posseduto dalla manìa parnasica delle Muse selvagge d’Apollo dalle chiome color ciano. Poiesis è sempre dentro, latente, covante come brace sotto lieve cenere. Balugina in un verbo, in un termine, tra un accostamento lessicale o un salto narrativo.

And he said: I haf a messache from d’professor, there’s lots of’em want to go over, but when they try to go over dh’hRussian boys shootem, and the want to know how to go over…(XIX).

Il racconto è sempre un evento, risuona come fatto, accadimento naturalmente ed istintivamente evocativo. Altrimenti non accadrebbe, non apparirebbe come racconto di un’essenza, di un enigma che sfugge ma risuona. Poiesis alita dentro, mai fuori. Ezra possiede tanti corpi che agiscono come sismografi speculari, come un clavicembalo pizzicato dai venti:

and with hay fields under sun-swath…sound: as of the nightingale too far off to be heard…(XX).

La parola è colta nel suo affiorare amplessivo, verginale, improvviso, infante. Da dove viene? Ovunque. Dai ricordi, dalle letture, dall’immaginazione, dall’istinto, dall’eros. L’iper-narcisismo di un cantore solitario abitato da fantasmi, voci, volti, donne compie la magia rituale del carmen arcaico, la sinestesia della parola pre-socratica, empedoclea. Tutto accade subito, insieme, fittamente traboccante. Il tempo non c’è più, aveva ragione Marinetti ma solo Pound attua questa fine che rende coevo ogni tempo, vivace ogni discorso che sia in veneziano o occitano o greco antico.

Parola che attraversa sé stessa; parola attraversata in una trasparenza estrema, epica, audace, delirante. L’Eros vola ovunque, senza muoversi dal suo letto sfatto e ritorto; senza uscire dal suo tendersi nel farsi silenzio, opera, canto, sonno/gesto. Pound sembra aver vissuto e vivere tutte le epoche dell’umano come il magico conte di Saint Germain. È lui Cagliostro redivivo? È il Ponzio Pilato di Bulgakov? È l’Angelo della finestra d’Occidente di Meyrink? La Parola induce ossessione, è ossessione e i nomi si sfaldano, ardono, impazziscono, s’affollano.

Quando per un momento il delirio intimo si erge autorialmente, ecco comparire il fantasma parlante di Filippo Tommaso Marinetti che vuole il corpo di Pound per combattere ancora e il poeta gli risponde: “ti darò posto nel Canto”.

Ecco Poiesis: parlare ai fantasmi, dare voce e carne agli spiriti i cui tempi sono sempre i nostri tempi. È Pound che vorrebbe abitare il corpo astrale di Marinetti e lo abita insieme ai corpi di Confucio, Jefferson, Ferdinando di Lorena, Leopoldo, Cavalcanti e molti altri spirti sanguigni, vitali, danteschi. Il terribile idolo hegeliano della Storia si trasforma alchemicamente in Pound nelle classiche “storie” alla Plutarco, alla Svetonio e Guicciardini ricche di pathos, colori, sudore, colori, musiche.

È così tra le innumeri storie ri-create e inventate, più vere del vero della ragione, ecco la captazione rabdomantica dei carismi di Mithos: la Pietà è la nemica del Racconto, di Aprile e di Artemide. Solo Pound sa ancora padroneggiare, come uno spirto del Quattrocento, la danza delle grandi allegorie. L’Artefice ci insegna la genesi musicale del Racconto e di Poiesis tanto che il traduttore per l’edizione dei Meridiani è costretto a ricorrere ai sonetti stilnovistici in rima per rendere la musicalità del Cantos XXXVI.

Carmelo Bene sapeva che la lingua inglese era stata rinnovata da Pound come Paganini aveva reinventato il violino. Sapeva che Pound cantava dentro il dramma di Narciso e scriveva in modo lampeggiante come gli ideogrammi cinesi, come sapeva inventare paesaggi smaltanti simili ai paesaggi metafisici dei paraventi dell’antico Catai. Non erano così anche i paesaggi pompeiani dipinti dall’antica Roma? Solo Pound sa congiungere il senso del destino dei Ching con la processione rituale zodiacale dell’antichità contadina occidentale:

tra marzo e aprile scorre la linfa tra i rami. I pruni fioriscono e i mandorli sui neri rami…(XXXIX)

E ancora:

autumn moon; hills rise about lakes agaist sunset. Evening is like a curtain of cloud, a blurr above ripples…(XLIX)

Fino al trionfo dell’immaginifico diacronico e ciclico:

Primo aestatis mense, sol est in Hyadibus; Sovrano il Signore del Fuoco, il mese è degli uccelli…(LII)

Qui si sente l’Arcadia, Petrarca, la potenza del gotico italiano che congiunge violento misticismo a dolcezza, l’ossessività dell’Ariosto, le inquietudini del Tasso e di Tintoretto, l’indicibile dei sogni dei letterati. Si sente il pathos del Fato, la pace dell’Ineluttabile Saturno, le Lettere che nella loro Res Publica si autoliberano dal peso di un passato mai passato, il vagabondare del Nomade che s’incorpora negli spiriti dell’Etnos, dell’Altro e dell’Altrove. Il reale è l’Immaginale, non altro. Il Canto poundiano sembra non avere né inizio e né fine; si avviluppa su sé stesso attorno all’asse di un corpo sonoro, risuonante.

È il situazionismo estremo di Narciso, la sua esperienza diretta che sopravanza e bypassa l’Io/Mondo. Solo i Cantos insieme all’Ulisse ci riescono. Sono i poemi sirenici dell’a-peiron. Narciso affinché il canto non cessi moltiplica gli specchi, si lascia squartare dalle Menadi del bosco nel tripode di Apollo delfico ritorna. Ci vuole metodo nella follia; gli esametri della Pizia parnasica.

Nel 1936 inizia la narrazione asemantica di massa con la canzone di Chaplin dentro Tempi moderni; nel Cantos XXXVI Pound risponde con la sua narrazione asemantica dentro Poiesis: un codice occulto che si cela dentro la lingua poetica quale iniziazione, dialetto esoterico. E da allora non si torna indietro: se vuoi che sia Poiesis devi torcere i significanti e quelli orchestrare.

Il Cantos LXXXI diventa un libretto d’opera lirica, il XVI una cantilena che celebra spiriti unici falciati dalla mitraglia nelle trincee della Guerra Europea. Giangaleazzo insegue Artemide, le linci s’accostano a Talleyrand, le pantere di Dioniso circondano Gemisto Pletone, Ford discute con Napoleone III, Scoto Eurigena chiacchiera con Cesare Borgia, Ceccobebbe fuma con Clemente d’Alessandria, l’America sembra la Terra dei potenti Feaci, Cadmo si aggira a Venezia, Cosme Tura venera Saturno a Ferrara e Francesco del Cossa pesca in laguna, Hermes gioca a Rapallo, Teti canta fra i pesci volanti di Zoagli. Tutto s’agita presente. Aiòn impera in una mente-sonaglio.

Nel Cantos LXXIX l’immagine mitografica della lince diventa un ritmo ossessivo con il poeta che penetra e cavalca i vortici di Mithos. Avverso l’a-peiron della dissoluzione retorica di massa, il Poeta eleva dal proprio delirio intimo, dal tamburo ossessivo della propria mente solitaria l’a-peiron di una Voce incessante, fluente, acefala. “Nebbia copre i seni di Elena-Tellus and drifts up the Arno”. L’Aura si impone. Cambiando il Canto, declinando i Nomi la Fenice spicca il volo. Non ha bisogno di permessi. Chi canta Mithos vincerà sempre chi ne viviseziona i cadaveri olezzanti, i feticci relitti.

Il delirare poetico di Pound procede per associazioni fulminee d’immagini, di gesti, di sonorità. Potenti come l’intensità eloquente ed enigmatica di un geroglifico, eleganti e autarchiche come un ideogramma. Appena dopo la conversazione affettuosa con il fantasma di Marinetti il Cantos LXXII assume la voce di Dante. Pound non imita Dante: è Dante stesso che prende la mano e la bocca del poeta americano come un demone si impossessa del suo medium.

Così sorge Poiesis: per risonanza orale, per una bocca che parla come ha ascoltato. Una sapienza orale da bocca a orecchio. Così è stato per millenni e così è per sempre nei Cantos folli dell’omerico Pound, figlio di Tiresia e di Calcante. Non c’è Mithos, non c’è Poiesis senza una scure che spacca il legno secco, senza una vela in mare, senza l’inverno di Saturno e i fiori di Calipso.

pollà pathein

Nothing matters
but the quality of the affection
in the end
that has carved the trace
in the mind

Dove sta memoria