La leggenda, quella che raccontavano i vecchi, che ancora ricordiamo e non vogliamo vada perduta e la storia, difficile da ricostruire con i documenti, a volte persi, bruciati tra gli incendi delle chiese, o nascosti in qualche archivio, vuole in qualche modo un legame stretto e nobile, con l’isola di Burano di Venezia, o con i ceti elevati della città.
Per quanto ne so è solo una leggenda, ma sembra proprio che racconti la verità. Sta di fatto che la realtà si confonde con le storie raccontate dai vecchi, quella tradizione di tramandare di fronte al fuoco, un modo di non perdere le radici, i legami preziosi, i ricordi di nobiltà perduta; e viceversa, la realtà della rara documentazione regala un fondo di verità alla leggenda, ai racconti, in un affascinante corrispondenza dai confini sfumati, in un mistero intricato nella storia, con un capo ed una coda difficili da scoprire, con nodi difficili da districare, documenti che si perdono e chiese bruciate dai roghi del tempo.
Ecco che così, come tutti i misteri che avvolgono la storia, forse, anche questo resterà sospeso ed ognuno vi leggerà la sua di verità, almeno fin quando la leggenda verrà tramandata, ricordata, ripercorsa; fin tanto che riusciremo a trovare ancora qualche altro documento che ci regali una visione d’insieme, più chiara e nitida; fino a che qualche studioso potrà incuriosirsi e trovare altri legami e verità nascoste.
Credo che un po' tutti nella città di Gubbio conosciamo la storia raccontata dai vecchi di Burano, più nota è a chi vive in queste zone montane, impervie e affascinanti, dove restano solo molti vecchi e pochi giovani ancora fortemente legati alla vita e all’aria che si respira qui.
La leggenda tramandata solo oralmente, vuole che un gruppo abbastanza consistente di nobili veneziani, scappavano dalla città a causa della peste e si sia rifugiata su queste terre, donate in soccorso dal duca d’Urbino Federico da Montefeltro. Da qui i vecchi raccontano il legame con il nome della storica isola e il vanto di alcuni cognomi doppi che non sono caratteristici di queste montagne e dei comuni di appartenenza, ma sembrano essere importati.
Sembra, inoltre che ci siano dei riscontri dialettali, in alcune parole che troverebbero un collegamento con la Serenissima, ma negli archivi nascono veramente tante difficoltà di rintracciare dei legami storici, e originali che diano una certificazione e una consistenza alla leggenda che tanto è amata da chi vive questi luoghi. una tradizione orale che attesta le radici, in più nobili, di un popolo che non si sente emarginato, ma in un certo senso privilegiato.
Il toponimo Burano, è caratteristico di molte parti d'Italia, e sta ad indicare, come altri, un'origine di tipo climatica e riferita al vento che in inverno viene dal nord.
Nel comune di Gubbio, il toponimo Burano è attestato fin dall’anno Mille, sia in documenti di archivio, che nelle decime. Il documento più antico risale all’anno 1057 e riguarda la donazione di alcune terre, tra le quali quelle in Burano, da parte di Nicolò II “…publicum de Burano meditate…”. Nel 1140, si parla di un Castrum Burani, che si ritrova in diversi documenti, conservati nell’Archivio Storico di Gubbio, datati 1172, 1192 e riguardano privilegi per il castello di Burano. Ma si possono trovare pure controversie, vendite di terre, che riguardano le terre di Burano negli anni 1315, 1477 e 1600.
Il castello che dominava la zona sembra essere stato localizzato vicino la chiesa di S. Maria di Burano, in una zona di altura, ma di esso non se ne ha più alcuna traccia. Sono del Quattrocento, invece, documenti che parlano di una turris fraternitatis de villa Burani vicino alla quale, probabilmente, è sorta la chiesa di S. Maria di Burano; dell’antica struttura non ne restano tracce visive sul territorio. Insomma, la documentazione che si riferisce alle terre di Burano, intorno alla fine dell’alto e l’inizio del basso Medioevo, non mancano ad attestare l’effettiva esistenza e, con lo stesso toponimo di oggi.
Molti sono inoltre i toponimi Cà- Ca- Cai- ad indicare casa, un termine, quindi di specificazione, sparpagliati tra le colline sotto la dorsale costituita dalla Serra di Burano. Ne risulta una diffusione considerevole, con numerose case sparse e piccole sedi, che sono case e nuclei familiari. I temini che si riferiscono a casa, infatti, sono l’elemento più comune che riguarda l’insediamento umano. I luoghi, i paesaggi geografici e la storia, sono in continua evoluzione e corrispondenza gli uni con gli altri, a dimostrare il rapporto di evoluzione umana.
L’importanza della toponomastica specifica, in questa zona del Buranese, evidenzia come il toponimo scelto ad indicare un luogo, resti fondamentalmente le stesso, anche quando cambiano le condizioni che lo hanno generato. In questo caso, gli abitanti del posto danno una spiegazione come prova provata di quello che è il lontano insediamento della colonia veneta, di Venezia per essere precisi, che hanno dato vita ad una concentrazione incredibile dei toponimi sopracitati in questa area tra Gubbio, Cagli e Pietralunga. Vocabolo che non esiste nel resto dell'Umbria.
Alcuni vocaboli sono attestati anche dalle carte e Brogliacci del Catasto Ghelliano, risalente al XVIII, come Caibelli, Caicambiucci, Caimariotti.
E la leggenda? Quella non scritta, ma conosciuta da tutti, sempre fedele a sé stessa, ripetuta sempre uguale come tutte le leggende che si rispettino, è tramandata nei secoli in modo orale, da madre ai figli, ai nipoti, magari davanti agli scuri focolari affumicati, la sera, con il buio, in inverno, quando tutti sembrano più propensi ad ascoltare e a ricordare. Insomma, a tramandare una realtà storica. Di essa sembra che i diversi toponimi sparsi un po’ ovunque in questa zona, ne siano un ricordo: ca’, cai, come dicevamo, ad indicare casa; come già accennato, anche alcune parole, sembrano ricordare parole veneziane, come ad esempio carega che indica la sedia dei vecchi, ed alcuni cognomi portati con orgoglio.
Ma poi, come a mettere i puntini sulle i della storia, non è cosa scontata e facile, anche quando emergono alcuni documenti che senz’altro vanno approfonditi, e la mia ricerca magari può dare un nuovo punto di vista e di ricerca. Santa Maria di Burano è attestata fin dal 1295 nelle decime della diocesi di Gubbio. Il primissimo toponimo composto da CAI, Cailabilia, è identificabile attraverso l’ausilio di altri toponimi.
In un documento medievale che risale al XII secolo vi è l’indicazione geografica di una “Val Cai”; da questo si può quindi dedurre che all’epoca il toponimo Cai era già esistente, anche se di fatto, è quasi impossibile dargli un’esatta collocazione geografica.
Un altro documento riguarda, invece, un atto di compravendita di un appezzamento di terra a Burano:
…Nanni de Ubaldinis abitante in Gubbio vende un podere sito in Villa Nova de Burano… la spect. Et generosa Dna Dna Altadonna de Canterini de Venetiis, moglie di Guidantonio, acconsente.
Da notare che Contarini Jacopo fu Doge veneziano fino al 1280.
Inoltre, una tela di stile bizantino, conservata nella chiesa di San Bartolomeo, fu commissionata da una famiglia veneta. Sicuramente sono indicazioni importanti e che non andrebbero trascurate, ma approfondite. Ma, non voglio trascurare nulla.
La leggenda dice che delle famiglie nobili veneziane nel corso del Trecento siano scese verso sud per scappare dalla peste che in quegli anni incombeva terribile. La storia ci parla in modo chiaro di un processo verso molti veneziani che avevano cospirato contro la Repubblica, complice il Doge Martin Faliero; il resoconto lo troviamo negli Annali dello storico Lodovico Antonio Muratori: nel 1355 Marin Faliero tenta un colpo di stato, a scapito dell’aristocrazia veneziana, al fine di rendere ereditario lo scranno ducale. I congiurati furono scacciati dal Consiglio dei Dieci, alla pena dell’esilio con i loro familiari nell'isola di Candia, oggi Creta. Sembra che si trattasse di 116 esiliati, con un numero imprecisato di familiari.
Da allora nella Sala del Maggior Consiglio, nel Palazzo Ducale di Venezia, al posto del suo ritratto è stato dipinto un drappo nero.
L’equipaggio però riuscì a dirigersi verso le coste marchigiane. A questo punto sembra proprio che Federico, Nonno di Federico da Montefeltro Duca d’Urbino, avesse legami politici molto stretti con la Serenissima (tanto che il Duca da giovane era stato dato alla Serenissima come ostaggio) e abbia permesso alle navi galere che trasportavano i nobili con i cortigiani di attraccare nelle coste marchigiane e non proseguire verso Candia, dove erano destinati all’esilio.
Altro dato da non sottovalutare è che le terre di Burano sono un luogo impervio, lontano e isolato e qui la dinastia dei Duchi d’Urbino ancora prima di legittimare il titolo ducale, isolavano i prigionieri di guerra, che generalmente erano esponenti nobili. E i Turchi con le lotte continue minacciavano i confini di Venezia. Sono evidenti anche toponimi che in tal senso danno una prova di origine turca.
Altro fattore di una certa importanza, riguarda un cognome caratteristico della zona rinvenuto in un documento: un certo Marinum Bei compare tra i Contestabili Eugubini di estrazione popolare, il 29 aprile 1441. Anno di nascita, inoltre, di Federico da Montefeltro Duca d’Urbino. Sono questi gli unici documenti rintracciati fino ad ora che ci possono dare una parvenza cronologica e storica della leggenda.
Altro elemento, come la famosa sedia, la Carega, troviamo un elemento architettonico sulle case rurali, indicate dai toponimi Ca- e non si trova invece in altri casi; si tratta del marcapiano, elemento aggettante che delimita un piano da un altro.
In ultimo un legame di sangue. Sembra che almeno un terzo agli abitanti della zona di Burano, manchi nel sangue il fibrinogeno, proprio come negli abitanti della zona di Chioggia.
Tanti piccoli pezzetti di un puzzle che forse un giorno tra studi e ricerche, si riuscirà a trovare qualche riscontro o qualche collegamento più forte, per ora ci accontentiamo di non dimenticare la leggenda, e legarla ad una storia particolarmente significativa.
La cosa più triste, a parere mio, è che questi territori si stanno spopolando sempre più. I giovani che resistono lo fanno con tenacia, ma prima o poi, anche loro lasceranno le antiche case. Ma allora, chi mai continuerà a narrare le vecchie storie? Il patrimonio storico, narrato da generazioni, se ne andrà, perso per sempre. O forse ancora non tutto è perduto, fin tanto che qualcuno leggerà.
Fonti archivio per la ricerca su Burano
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