Sostiene Pereira (Antonio Tabucchi, 1994) è un romanzo incentrato sulla figura di un vecchio e stanco giornalista che cura la pagina culturale del “Lisboa”1: Pereira, appunto. Sullo sfondo, il Portogallo della dittatura di Salazar, la guerra civile spagnola e tutta un’Europa sul baratro della Seconda Guerra Mondiale.
La vicenda di Pereira, vedovo e solo (che si trova a raccontare le sue giornate al ritratto della moglie), si snoda nel caldo agosto del 1938. Pereira è un’anima buona che, però, non è conscia della propria forza e del proprio coraggio. Ha bisogno di qualcuno che gli consigli come agire e che gli faccia aprire gli occhi sulla situazione tragica che sta attraversando la sua Lisbona, il suo Portogallo: censura, Polizia di Stato, ghettizzazione, omicidi indiscriminati.
Pereira ha un confessore: il francescano padre Antonio, uomo aperto e di idee democratiche che rappresenta, in realtà, l’unica persona con cui il giornalista faccia lunghi discorsi. Ciò che dà una svolta alla sua vita è il giovane Monteiro Rossi, da lui assunto per redigere ricorrenze e futuri necrologi ai letterati ancora in vita, in modo che non ci si trovi impreparati al momento del loro trapasso. Un’anticipazione necrologica per persone illustri.
Pereira non è soddisfatto, nonostante li paghi di tasca sua, dei lavori di Monteiro: i suoi articoli, apertamente critici nei confronti del regime, sono animati di un furor di incontenibile odio per qualsiasi forma di dittatura, di violenza e di guerra. Essi cantano l’apologia di scrittori antifascisti come Garcίa Lorca, ucciso in misteriose circostanze, di un poeta rivoluzionario come Majakovskij, morto suicida dopo gli arresti e le torture della polizia zarista. Essi, ancora, urlano il disprezzo per letterati e artisti come D’Annunzio e Marinetti, asserviti al Potere e dichiaratamente guerrafondai.
Pereira non pubblicherà mai nessuna di queste ricorrenze o di questi necrologi: li conserverà, però, ordinatamente in una cartelletta. Monteiro è un rivoluzionario che lotta per la democrazia nel suo Paese, vivrà clandestinamente per un lungo periodo e poi chiederà asilo proprio a Pereira. Questi lo aiuterà, grazie anche ai consigli del Dottor Cardoso, medico dal carattere “illuminista”. L’incontro col Dottor Cardoso sarà per Pereira un’autentica rivelazione, il primo passo per conoscere se stesso e per far emergere un io combattivo e impavido troppo a lungo sopito.
La casa di Pereira, apparentemente tranquilla, sarà invece una trappola per Monteiro: lì, la Polizia politica (forse) ̶ in abiti borghesi ̶ lo picchierà fino alla morte. Ma Pereira, conformemente alla sua etica e alla sua onestà intellettuale scriverà un articolo dove racconterà minuziosamente l’accaduto, con parole commosse e affettuose nei confronti di Monteiro:
Si chiamava Francesco Monteiro Rossi, era di origine italiana. Collaborava con il nostro giornale con articoli e necrologi. Ha scritto testi sui grandi scrittori della nostra epoca, come Majakovskij, Marinetti, D’Annunzio, Garcίa Lorca. I suoi articoli non sono stati ancora pubblicati, ma forse lo saranno un giorno. Era un ragazzo allegro, che amava la vita e che invece era stato chiamato a scrivere sulla morte, compito al quale non si era sottratto. E stanotte la morte è andata a cercarlo. [...] Monteiro Rossi era orfano e non aveva parenti. Era innamorato di una ragazza bella e dolce di cui non conosciamo il nome. Sappiamo solo che aveva che aveva i capelli color rame e che amava la cultura. A questa ragazza, se ci legge, noi porgiamo le nostre condoglianze più sincere e i nostri più affettuosi saluti. Invitiamo le autorità competenti a vigilare attentamente su questi episodi di violenza che alla loro ombra, e forse con la complicità di qualcuno, vengono perpetrati oggi in Portogallo2.
Ironia della sorte in un nome: Rua da Saudade, Via del Rimpianto. E non credo sia un caso che Tabucchi abbia scelto proprio questa via come l’indirizzo di Pereira, la sua vita è stata tutta un rimpianto: la nostalgia per i suoi tempi a Coimbra durante gli studi universitari, per il suo amore per una moglie debole e malata, il suo rimpianto per un figlio mai avuto, la nostalgia di una parola veramente etica. Pereira è il rimpianto.
Firma l’articolo con il suo cognome, Pereira, come faceva un tempo per gli articoli di cronaca nera e riesce a pubblicarlo eludendo l’imprimatur della censura preventiva, grazie all’intervento del Dottor Cardoso che si finge un tal maggiore Lourenço, funzionario della Polizia di Stato. Pereira, è ovvio, da quel momento si appresta a vivere una nuova esistenza: con un passaporto falso (di quelli appartenuti a Monteiro Rossi), è ora, François Baudin. “Era meglio affrettarsi, il “Lisboa” sarebbe uscito fra poco e non c’era tempo da perdere, sostiene Pereira”3.
Il leit-motiv o, meglio, la vera protagonista del libro è la letteratura, l’importanza e la potenza del suo valore: la letteratura può cambiare lo stato delle cose ed è la sola che possa rendere giustizia a vittime e perseguitati. Lo stesso Pereira, laureatosi in lettere a Coimbra, è un inno alla letteratura, sarà proprio lui a dire che ha sempre creduto che questa fosse la cosa più importante nella vita.
Ciò che colpisce maggiormente in questo romanzo è che, nell’abisso generale, ruotino - come piccoli grandi/satelliti - solo persone positive attorno a Pereira. Egli è il centro, inconsapevole, delle loro preghiere e dei loro consigli.
Come apprendiamo dalla nota dello stesso autore, Pereira è ricalcato sulla figura di un vecchio giornalista da lui conosciuto a Parigi, esule portoghese, di cui Tabucchi non vuol svelare il nome. Egli ha porto l’ultimo saluto nella camera ardente, dopo aver saputo della sua morte attraverso il giornale. Questo giornalista era riuscito a giocare una beffa alla dittatura salazarista pubblicando su un giornale portoghese un articolo feroce contro il regime4.
Per questo motivo fu costretto all’esilio. E in un Portogallo nuovo, libero (dopo i 50 anni di dittatura), nessuno si ricordava più di un vecchio giornalista che con l’unica forza della sua parola si oppose a quel regime. Quel giornalista diventò, nella pagina letteraria, Pereira: albero del pero. È, questo, un cognome di origine ebraica, come tutti i nomi di alberi da frutto. “Con questo - scrive Tabucchi - volli rendere omaggio a un popolo che ha lasciato una grande traccia nella civiltà portoghese e che ha subito le grandi ingiustizie della Storia”5.
Sostiene Pereira è costruito tutto sulla ripetizione, sulla duplicazione, sull’anafora (è la ripresa in forma di ripetizione di una o più parole all’inizio di enunciati o di loro segmenti successivi. È tipica delle preghiere, delle invocazioni, degli scongiuri, oltre che di cantilene e filastrocche. È figura dell’insistenza). L’anafora funziona da coesivo del testo, e tale è la sua identità dal punto di vista testuale. Essa è una delle forme (o “figure”) della ripetizione.
E la ripetizione è, costituzionalmente, un coesivo del testo. Tra le ripetizioni che costituiscono anelli di una catena anaforica può aver luogo anche la ricorrenza della stessa espressione (o di una parola singola) all’inizio di segmenti successivi di un discorso.
Sostiene Pereira ce ne offre tantissimi esempi; anzi può essere considerato un romanzo all’insegna dell’anafora, a partire dal titolo stesso. Ci son capitoli che iniziano con la frase “Sostiene Pereira” e che si concludono con medesima espressione6. Il romanzo è organizzato totalmente sull’effetto copia o quasi-copia che abbonda anche in ogni singola pagina, anche tra due o più frasi consecutive.
Ciò perché il tutto è finalizzato a rendere la fluidità e l’iteratività del parlato: in realtà, nel romanzo alla terza persona, Pereira sta raccontando, sta “sostenendo” questi avvenimenti davanti a qualcuno, forse un pubblico, forse un tribunale. Come scrive Giorgio Bertone sul retro della copertina: “Al lettore non è dato sapere di fronte a quale tribunale Pereira “sostiene”. O meglio, lo si capirà presto e benissimo: il tribunale della letteratura; meglio ancora, il tribunale del testo letterario”.
Elemento caratterizzante del romanzo è la particolare punteggiatura: nessun dialogo (mai!) è marcato dai segni di interpunzione (elemento che ricorda moltissimo i testi di Saramago); ancora una volta per sottolineare che si tratta di un romanzo “parlato” e pertanto anche il dialogare, concatenato a tutto il resto, non deve distinguersi (a livello visivo), né dalle riflessioni, né dal racconto degli avvenimenti (non dimentichiamo che “Pereira sostiene” davanti a un tribunale, seppur immaginario).
Vengono virgolettati solo gli articoli di giornale scritti da Pereira e da Monteiro Rossi, il ragazzo che gli ha fatto conoscere le atrocità della Storia e che lo ha allontanato da quel “mondo a parte” in cui fino ad allora aveva condotto la sua esistenza.
Sostiene Pereira è, ancora, un inno al Vero: risponde all’ideale di quanto potente possa essere la parola scritta che dichiara e racconta la verità: non bisogna temere di denunciare quelle scomode, questo il valore civile della letteratura a cui Tabucchi ha consacrato l’intera opera. E che nell’omonimo film di Roberto Faenza del 1995, Marcello Mastroianni ha magistralmente dato voce e corpo a uno dei personaggi più struggenti dell’intera letteratura, e cinematografia, italiane.
Note
1 Il “Lisboa” si propone come apolitico e indipendente, ma il suo Direttore appoggia dichiaratamente il regime di Salazar.
2 Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2006, pp. 202-203. Ho voluto riportare per intero le parole di denuncia e dolci assieme di Pereira perché intraducibile è l’orrore di cui fu vittima Monteiro, e parole che mostrano la grande bontà e sensibilità di Pereira e il suo attaccamento verso il giovane.
3 Ibidem, p. 207.
4 Ibidem, p. 211.
5 Ibidem, p. 213.N.B: Queste parole risalgono al 1994.
6 In questo caso si parla di epifora: è la ripetizione-duplicazione in posizione finale, diversamente dall’anafora che è in posizione iniziale. L’epifora è l’anafora alla fine di un discorso/frase.