Nel 1973 hanno vent’anni, la convinzione di poter cambiare il mondo in meglio, una rete di compagni e amici con i quali farlo. Intorno, una società capace di incoraggiare e sostenere quest’ambizione. Entrambi attivisti politici: Gloria ha una prospettiva futura di funzionaria dell’UDI (Unione Donne Italiane) in quota al PCI (Partito Comunista Italiano), ragazza carismatica con eloquio fluido, determinato, convincente, sarcastico, ficcante. Una leader, senza sentire di esserlo. Dano, un ragazzo con un’etica integerrima, ligio all’idea che se si milita si fa anima e corpo, senza risparmio. Un Don Chisciotte autentico.

La loro storia nasce come amicizia che presto si trasforma in amore di amanti, ma tutto con la libertà che all’epoca è sovrana: coppia aperta, quasi senza dirselo. «Gloria era la parte logica, razionale dei due. Io ero più tormentato, inquieto e soprattutto volevo esperire il mondo senza remore», racconta oggi Dano. In quegli anni si forma con loro una rete di relazioni che – com’è consueto negli anni Settanta – intreccia privato e politico e buona parte di quei legami saranno destinati a restare per sempre nelle loro vite: come una roccaforte, una famiglia alternativa a quelle di origine, spesso profondamente disfunzionali com’era capitato in sorte a Gloria. Insieme viaggiano, militano, lavorano. A ventisette anni, entrambi a Bologna, entrano nella redazione di Punto Radio, emittente che il PCI compra da Vasco Rossi quando diventa famoso, ricorda Dano, all’epoca giornalista pubblicista:

Eravamo in sei, facevamo di tutto, era molto appassionante e anche lì proseguivamo il nostro attivismo politico, provando a superare gli strascichi degli anni di piombo.

Nel 1980, però, tutto cambia. Gloria, che sta per compiere ventotto anni, è colpita improvvisamente da una febbre violenta. Entra in coma. La diagnosi è endocardite da stafilococco aureo ed encefalopatia multifocale, provocata dalla violenta reazione autoimmune all’infezione batterica. L’organismo per difendersi ha iniziato ad autodistruggersi.

Il medico usò questa metafora: è come se i soldati di un esercito, che sta per perdere una battaglia, bombardassero le proprie postazioni e si uccidessero in massa per evitare di essere uccisi.

Dano che di congnome fa Turrini, ha raccontato questa storia – l’amore e la malattia impietosa che tutto muta – in un memoir, simile a una lunga e struggente lettera d'amore (Il corpo di lei, Format Edizioni).

Non è solo il racconto di un'esperienza personale è anche una riflessione sul significato dell'esistenza, sul valore delle relazioni e sulla forza delle piccole cose. Il libro intreccia due piani narrativi: da un lato la cronaca della malattia che inesorabile negli anni piega Gloria; dall'altro la storia di una generazione, l’importanza delle amicizie costruite intorno a un credo comune e l’imponderabile forza “di chi vuole bene”.

Il coma di Gloria dura due mesi. Al risveglio, corpo e parte del cervello sono molto compromessi. La paralisi toglie la libertà di movimento e anche il linguaggio diventa un territorio da riconquistare con fatica. Dano deve riorganizzare tutto, anche la sua vita e sceglie di farlo intorno alle esigenze di Gloria.

La cura è stata a mio carico, non era pensabile altrimenti né per l’amore che provavo per lei, né per l’assenza emotiva e, all’epoca, anche organizzativa di sua madre.

Racconta Dano. Iniziano un percorso di riabilitazioni con fisioterapisti e logopedisti, con un continuo adattamento della quotidianità.

Gestivamo tutto a casa, ma andavamo anche da esperti per essere sicuri di non tralasciare eventuali nuove cure, percorsi ad hoc per raggiungere il massimo dei risultati. Il primo anno e mezzo il Servizio Sanitario Nazionale ci ha assicurato la riabilitazione fisica e anche del linguaggio, poi per loro non potevano esserci ulteriori miglioramenti. Così abbiamo proseguito privatamente.

Per sette anni le sta accanto, affrontando non solo la gestione pratica della malattia, ma anche le sfide emotive e psicologiche di una relazione che cambia.

Più lei perdeva contatto con la vita più l'amavo, anche perché l’invalidità non ha mai cancellato la sua essenza. Per me non c'è mai stata differenza tra la Gloria prima e quella dopo. Era un legame profondo, per quello vedevo oltre i limiti fisici e cognitivi imposti dalla sua condizione.

Nel frattempo Dano lascia la radio e nel 1985 entra a scuola come docente di letteratura e storia e in seguito di filosofia, materia nella quale è laureato. La maggiore stabilità economica è richiesta dalla situazione.

Mi sono dedicato a lei, occupato degli aspetti amministrativi, burocratici e medici e, ovviamente, anche l’assistenza a casa quando all’inizio Gloria non aveva autonomia, che fisicamente ha riconquistato, anche se non totalmente, dopo quattro anni. E sul fronte del linguaggio qualche passo avanti ci fu, però essendo colpito l’emisfero sinistro erano saltati la logica e la parola, quel che restava intatto erano le emozioni. Bisognava interpretarla, era necessario un ascolto con il cervello emotivo più che con l’udito.

Spiega Dano, che questo ha fatto con Gloria, diventando in qualche modo il suo “interprete”.

La costanza e l’impegno richiedono una dedizione grande, finché gli oneri da caregiver presentano il conto in termini di sfinimento psicofisico:

Non riuscivo più a gestire tutto e avevo bisogno di essere sostenuto per recuperare energie. Pur con l’intento di continuare a prendermi cura di Gloria, decisi di non vivere più con lei.

È il 1987, Gloria torna da sua madre, con tutte le difficoltà del caso e Dano, pur sentendosi in colpa per questo, sa di avere bisogno di un distacco, di prendere in mano la sua vita che, da ventisette a trentaquattro anni, aveva necessariamente accantonato.

Però ero sempre da lei, abbiamo fatto rete tra noi compagni di gioventù e nuove persone arrivate nella nostra vita quando Gloria decise di seguire il buddismo. Il giorno in cui le comunicai la mia decisione manifestò rabbia, dispiacere. Dopo un reciproco allontanamento, però, comprese che se non avessi fatto quella scelta, non avrei saputo starle ancora accanto. Negli anni successivi iniziai a costruirmi una nuova affettività, fino al momento in cui incontrai il partner “della vita” grazie al quale ho potuto trovare tutte le risorse, pur consapevole delle difficoltà in cui lo mettevo: viveva con me e sentiva parlare di Gloria continuamente. Lei restava al centro della mia esistenza.

Nel 2003 Gloria cade rovinosamente. Questo evento è definitivo: il verdetto di tetraplegia si somma a tutto il resto. Dano continua a frequentarla regolarmente, affrontando insieme quello che molti definirebbero “un accanimento della vita”. Invece lui le racconta del mondo mentre spinge la sedia a rotelle di Gloria: passeggiano e trovano nel loro rapporto un senso che va oltre le parole. È così che la malattia diventa anche una lente attraverso cui riflettere sul significato della vita.

Le piccole cose erano tutto per lei. Un sorriso, un raggio di sole, il canto degli uccellini nel giardino. Ogni gesto quotidiano diventava motivo di gioia.

Racconta Dano e quasi con timidezza riporta quel che tra le righe confessa nel suo libro:

Più volte ho pensato che forse Gloria era più felice di me. Io avevo perso tutte le mie battaglie - la politica, l'idea di un mondo migliore - ma lei sembrava aver trovato uno scopo nella lotta contro la malattia.

Uno dei temi più delicati del libro è il fine vita.

Lei non l’ha mai chiesto esplicitamente ma, nel 2020, in un momento di disperazione ha gridato come meglio poteva, "voglio morire". È stato il momento più difficile di tutta la nostra storia: un grido di aiuto che mi ha spinto a scappare, incapace di affrontarlo.

Due anni dopo Gloria lascia questa Terra, la sofferenza, il dolore ma anche la gioia e una vitalità che in qualche modo non l’hanno mai abbandonata e ritroviamo nelle parole di Dano, messe nero su bianco nel suo racconto che è la storia di un pas a trois durato 42 anni: lui, lei, la malattia.

Dare forma al memoir è stata un'opera di “scorticamento” lunga un anno e mezzo. Un processo doloroso ma necessario, che mi ha aiutato a elaborare un lutto complesso. La morte di Gloria, infatti, si è accompagnata a un altro dolore: la fine della relazione con il mio partner, evento che però, in qualche modo, mi è perfino sembrato “naturale” perché per ventisei anni quel nuovo amore è rimasto per sostenere anche il mio amore per Gloria. Andandosene lei, tutto è cambiato di nuovo.

Negli anni di vicinanza a Gloria ammalata, Dano racconta di averle spesso formulato domande “sciocche” tipo come stava, che cosa provava e dove trovava la forza.

La risposta alla sua sofferenza è sempre stata questa: "si vive per vivere". Era una donna così curiosa e intelligente che forse trovava nella vita stessa un motivo per continuare.

Qualcosa di simile a: “L'amore è la felicità di esistere” (Victor Hugo).