Nel mondo alimentare dell’antichità, e sino all’avvento della rivoluzione industriale, una buona parte dei cibi consumati era costituita da prodotti locali facilmente deperibili, difficili da conservare e conseguentemente da trasportare per lunghe distanze. Il trasporto era comunque necessario dal luogo di produzione al mercato interno della città o al centro in cui i prodotti sarebbero poi stati venduti.
Era questo un pendolarismo che si effettuava a dorso di somari o usando semplici carretti e copriva comunque una breve distanza data la facile deperibilità dei prodotti. Per tutti quegli altri alimenti, invece, che erano in grado di essere trasportati per lunghi tragitti senza pericolo di finire guastati, lo sviluppo di un’efficiente rete stradale e il grado di sicurezza assicurato dall’amministrazione romana, fecero sì che anche cibi che non fossero a ‘chilometro zero’ potessero raggiungere i mercati dei grandi centri dell’Impero come Roma, Alessandria o Efeso.
L’antica rete stradale romana fu di fondamentale importanza non solo per la circolazione di merci e persone ma anche per la diffusione di nuove idee filosofiche, politiche, religiose e culturali. I Romani realizzarono almeno 80.000 chilometri di strade disseminate lungo tutto l’Impero. Questa distanza è circa due volte la circonferenza della Terra e spiega bene come le strade rappresentino uno dei più grandi lasciti degli ingegneri romani dell’antichità. Questa immensa rete stradale collegava tutti i più importanti centri urbani dell’Impero ed era talmente capillare che l’Europa non conobbe un migliore e più sviluppato sistema di collegamento fra centri urbani fino agli inizi del XIX secolo, praticamente fino a ieri.
Buona parte dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente divennero parte di un unico sistema efficientemente unito dove eserciti, mercanti, imperatori, impiegati dell’amministrazione imperiale, artisti in trasferta di lavoro, lavoratori del sistema postale etc. potevano raggiungere tutti i centri urbani e non nel modo più diretto possibile. Proprio grazie alle strade l’Europa venne unificata per la prima volta molti secoli prima della moderna unificazione avvenuta non molti anni fa.
Queste grandi vie di comunicazione nacquero inizialmente per ragioni militari ma mano a mano che l’Impero si espandeva, si avvertì sempre di più il bisogno che le legioni riuscissero a spostarsi con più rapidità dapprima in Italia e poi via via sempre più lontano. Nella maggioranza dei casi erano proprio i militari che costruivano le strade coadiuvati da prigionieri di guerra e schiavi.
Esse superavano ostacoli e barriere naturali grazie a ponti e viadotti e gli ingegneri romani, a seconda del territorio, si adattavano alle circostanze, ad esempio sopraelevando la strada rispetto al terreno in quelle zone dove nevicava frequentemente, oppure intagliando speroni di roccia per ricavare strade a picco sul mare o sventrando l’area interessata nel caso di ostacoli come grandi massi o terreni montuosi o collinari. Più rari erano i tunnel anche se non completamente assenti, come quello della gola del Furlo nelle Marche, realizzato da Vespasiano nel I secolo d.C.
Lungo le vie consolari vi erano anche i marciapiedi e a intervalli regolari erano posizionate le pietre miliari, cippi iscritti che venivano usati per scandire le distanze lungo le strade. Questi cippi erano generalmente delle piccole colonne con un’iscrizione che riportava la distanza dalla città di partenza della strada o a quella più vicina, il nome del magistrato o dell’imperatore a cui si doveva quella particolare strada o colui che la fece restaurare e a volte informazioni tecniche come il materiale usato per la costruzione della strada. Queste colonnine erano presenti ogni mille passi romani, da cui il nome di pietra miliare. Gli antichi Romani misuravano infatti le distanze in miglia e un miglio corrispondeva alla distanza percorsa dopo mille passi. Un miglio antico terrestre era più corto di uno attuale attestandosi a 1.478,50 metri. La ragione di ciò risiede nel fatto che nell’antichità i Romani avevano una statura più bassa e di conseguenza mille passi coprivano una distanza mediamente minore.
Questi cippi, utilissimi per chi viaggiava nell’antichità, possono essere considerati gli antenati delle nostre indicazioni sulle autostrade o dei nostri GPS. Per la prima volta nella storia dell’uomo, grazie a queste indicazioni, i viaggiatori sapevano esattamente dove si trovavano e la loro posizione. Il ritrovamento di alcuni di questi cippi in molti casi è stato anche importante poi nel fornire indicazioni agli archeologi dell’esistenza di strade in zone in cui se ne era persa la memoria.
Tutte le strade dell’Impero iniziavano idealmente dal Miliarium Aureum, una colonna di bronzo dorato eretta da Augusto nel 20 a.C. e che era posta nel Foro Romano non lontano dal Tempio di Saturno. Da questa colonna, secondo un’ipotetica ricostruzione (che manca però di riscontro nelle fonti oltre al fatto che le distanze delle strade venivano conteggiate a partire dalle Mura) i Romani conteggiavano le distanze che intercorrevano tra Roma e le più importanti città dell’Impero.
Quel punto esatto veniva quindi considerato il centro ideale dell’Impero che, grazie alle strade, possiamo dire fosse ‘globalizzato’ e questa fu forse la prima globalizzazione della storia umana. Si poteva andare dovunque e da dovunque nell’Impero si poteva arrivare a Roma: per questo motivo ancora oggi si dice che ‘tutte le strade portano a Roma’. Questo famoso detto, presente in molte culture e con significati anche leggermente diversi, trae origine proprio da questo efficiente sistema stradale messo in piedi dai Romani in secoli di dominazione.
Come si realizzava una strada romana? L’arte della costruzione delle strade venne inventata dagli Etruschi ma ai Romani dobbiamo però importanti migliorie nella tecnica della realizzazione di queste vie di comunicazione. Si iniziava scavando una specie di trincea che veniva riempita di uno spesso strato di sassi e argilla, una specie di fondamenta della strada.
Il secondo strato era costituito da resti di mattoni, pietre e sabbia, il tutto mischiato con calce; il terzo era realizzato con pietrisco e ghiaia e aveva l’importante funzione di drenare il manto stradale dall’acqua in caso di pioggia e il quarto e ultimo strato è anche quello che possiamo vedere ancora noi oggi in molte strade a Roma e dintorni: ovvero una copertura di massi di pietra basaltica durissimi ed estremamente resistenti.
Le strade, poiché erano costruite a strati, venivano chiamate via strata, e dalla parola strata deriva il nostro termine ‘strada’, in inglese street, in tedesco strasse, in olandese straat e così via. A differenza di come sembrano oggi, le strade al tempo dei Romani erano lisce e levigate ed erano perfettamente resistenti a pioggia, gelo o inondazioni. Addirittura venivano ‘testate’ a piedi nudi per verificare la levigatezza delle pietre.
Un’altra caratteristica delle strade romane che le rendeva simili alle nostre autostrade, era la presenza di stationes, una sorta di bar-ristorante dove ci si poteva rifocillare mangiando qualcosa e dove si potevano anche cambiare i cavalli. Disseminate lungo tutte le arterie principali erano anche le mansiones, specie di motel, alcuni dei quali presentavano anche delle piccole terme e offrivano dei servizi extra per i viaggiatori stanchi (come ad esempio le prostitute).
Idee, correnti di pensiero, movimenti artistici, religioni ma anche merci e tantissimi alimenti hanno viaggiato per secoli lungo le strade romane spostandosi da una parte all’altra dell’Impero nella maniera più diretta possibile e soddisfacendo così le richieste dei consumatori negli angoli più remoti di una bella fetta del mondo allora conosciuto. I cibi che venivano trasportati lungo le arterie dell’Impero non viaggiavano soltanto in recipienti di argilla come orci, giare o anfore (e come si potrebbe pensare data la grande abbondanza di frammenti di ceramica che ci sono giunti).
La merce infatti viaggiava anche in contenitori realizzati con materiali deperibili come ceste di vimini, sacchi di tela o cassette di legno. Nel caso del vino invece, nell’area mediterranea viaggiava, come visto, all’interno delle anfore ma nelle province settentrionali, invece, già si usavano le botti di legno sia per il trasporto che per la conservazione. Oltre a queste si utilizzavano anche otri di pelle mentre l’uso del vetro per il vino, com’è comune oggi, era ancora di là da venire.
Così quindi si spostava il cibo per le strade romane che, come il sistema arterioso di vene e capillari di un corpo umano, costituivano un insieme straordinariamente efficiente e una delle migliori armi mai create dagli antichi Romani per unire le lontane province dell’Impero. In un’epoca in cui i trasporti aerei o su gomma non esistevano, grazie alle strade si potevano trovare nelle principali città dell’Impero prodotti che venivano da posti lontani anche migliaia di chilometri. La combinazione fra un sistema stradale così capillare e le tecniche di conservazione dei cibi allora note, faceva sì che, come diceva il medico Galeno nel II secolo d.C., a Roma si potesse mangiare una crostata di mele cotogne prodotta in Siria! Era questo un aspetto sorprendentemente moderno del mondo romano.