La principale epica cavalleresca giapponese, lo Heike monogatari, contiene un episodio a cui sono particolarmente affezionato: la morte del giovane Taira no Atsumori per mano di Kumagai Naozane. L’evento è probabilmente fittizio, ma il contesto storico è reale e concreto: si tratta della guerra che segnò il tramonto del potere dell’aristocrazia di corte e l’ascesa della classe dei bushi, che avrebbe dominato il Giappone per i successivi settecento anni.
Nel 1180, la storia giapponese vede lo svolgersi di eventi che trasformano la struttura del potere in modo permanente e radicale. L’aristocrazia della corte di Kyōto, all’epoca chiamata Heiankyō, ha da tempo esautorato il sovrano dall’esercizio del potere effettivo. Il protrarsi dei conflitti con le popolazioni indigene Emishi ha dato origine a famiglie di tradizione guerriera. Le operazioni militari vengono condotte da un comandante a cui viene attribuito il titolo temporaneo di shōgun.
Le due famiglie principali si chiamano Taira e Minamoto, e sono condotte da uomini dalle capacità militari e dal prestigio notevole: Taira Kiyomori e Minamoto no Yoshitomo. Nel corso dei prodromi di quella che sarà chiamata Guerra Genpei, Taira Kiyomori ha la meglio. Yoshitomo perde la vita e i suoi figli vengono separati ed esiliati: il maggiore, Yoritomo, viene mandato dalla famiglia Hojo per essere allevato, mentre il minore, Yoshitsune, viene mandato a Kurama, sulle montagne a nord di Kyōto.
Anni dopo, Yoshitsune è il comandante di campo dell’esercito che suo fratello Yoritomo ha radunato per sfidare la supremazia dei Taira. La guerra imperversa da cinque anni. Dopo la vittoria schiacciante nella battaglia di Ichi no tani, in cui la cavalleria di Yoshitsune ha lanciato una carica notturna lungo un pendio scosceso ritenuto impossibile da percorrere, le forze dei Taira sono state spinte sulla costa meridionale, nella baia di Dan no ura. La notte prima della battaglia, le truppe dei due eserciti si affrontano su posizioni fortificate, in attesa dell’alba.
Secondo lo Heike monogatari, nel campo dei Minamoto c’è un guerriero chiamato Kumagai Naozane, un uomo ormai maturo, veterano della campagna contro i Taira. Non è un nobile di alto rango. In quanto Azuma no otoko, o “uomo dell’est”, è pienamente consapevole di non possedere la cultura dei guerrieri del campo avversario. A un tratto, nel buio della notte si sente il suono di un flauto provenire dalle linee dei Taira. Kumagai commenta sulla raffinatezza dei guerrieri dei Taira, che sono capaci prima della battaglia di fare musica.
Nel Giappone dell’epoca, il contrasto fra la parte Ovest e la parte Est è stridente. La gente dell’Ovest, vicina alla corte, è la parte più acculturata ed elegante. La gente dell’Est, essendo quella che viveva lungo la frontiera ed era più spesso impegnata nel combattimento in prima linea, era più rude, più abituata alle asprezze delle campagne militari, e conosciuta per il proprio valore in battaglia, ma mancava del livello culturale dei guerrieri dell’ovest.
Il giorno seguente, Kumagai si ritrova isolato e lontano dai propri compagni. Vede un guerriero dei Taira che sta cercando di allontanarsi in mare in groppa alla propria cavalcatura. Furioso per l’apparente codardia dell’avversario, lo sfida richiamandolo indietro. Questi raccoglie la sfida, presentandosi come Atsumori, non potendo fare diversamente senza perdere il proprio onore, e i due si affrontano in corpo a corpo.
A differenza dei combattimenti cinematografici, in cui le spade cozzano le une contro le altre e i duellanti saltano da una parte all’altra compiendo acrobazie, nel combattimento corpo a corpo della guerra Genpei, chiamato kumiuchi, si cercava di far cadere l’avversario, in modo che il peso dell’armatura gli impacciasse i movimenti, e poi colpirlo nelle zone scoperte dall’armatura.
Kumagai, più forte e più esperto, ha la meglio. Si prepara a uccidere l’avversario, quando si accorge che si tratta di un ragazzo della stessa età di suo figlio. Contravvenendo all’idea secondo cui non c’è compassione possibile per il nemico sul campo di battaglia, gli propone di lasciarlo scappare. In quel momento, i compagni di Kumagai si avvicinano, e comprendendo che non c’è modo per Atsumori di allontanarsi senza essere intercettato, Kumagai gli dice: permetti che sia io a ucciderti, ora che nutro dei sentimenti di affetto per te.
Quando cerca sul suo corpo un segno di riconoscimento, Kumagai scopre nella sua cintura un flauto di bambù, e capisce che era Atsumori il guerriero che suonava la notte prima della battaglia. Addolorato, Kumagai abbandona il mondo, e vive il resto della sua vita come monaco.
Non c’è ragione di ritenere che il racconto dello Heike monogatari costituisca una narrazione storica esatta, e non è questo il punto. La storia di Atsumori deve avere colpito profondamente la fantasia dei giapponesi, ed essere entrata a fondo nel loro immaginario collettivo. Zeami Motokiyō, che sta alla drammaturgia giapponese come William Shakespeare a quella inglese, scrisse un intero dramma Nō su questo episodio. Oltre al rivelare una prospettiva diversa rispetto a come i bushi vedessero se stessi, lontana dai fanatici dipinti dalla propaganda durante la guerra, indica un dato significativo della cultura giapponese: l’eroe, il personaggio amato e ammirato, per essere tale, deve sperimentare la sconfitta.
Il cuore della cultura giapponese batte per chi perde, non per chi vince. Si pensi ai fiori di ciliegio, che sono amati precisamente perché fioriscono con tutte le forze solo per sfiorire pochi giorni dopo. A Yamatotakeru, un eroe culturale che alla fine di una lunga lista di imprese eroiche muore avvelenato in un territorio solitario e distante dalla corte. Al principe Genji, protagonista del Genji monogatari, il romanzo capolavoro della letteratura giapponese, e allo stesso protagonista della guerra Genpei, Minamoto no Yoshitsune, tradito da suo fratello maggiore e braccato fino a costringerlo al suicidio.
È una lezione che dovrebbe essere considerata attentamente, sia da chi è realmente interessato al Giappone, sia da chi non si trova a suo agio in una cultura che premia la supremazia nella competizione senza domandarsi cosa si stia realmente costruendo.