Le nostre vite sono fatte di gesti.
La maggior parte dei quali sono automatici: sorridere, salutare, stringere le mani.
Gesti spontanei, fatti senza pensare.
Le nostre vite sono fatte di azioni, alcune consapevoli, altre meno.
Siamo fatti di raziocinio e istinto, di cuore e cervello.
A volte ci lasciamo andare in uno scatto d’ira, altre volte riusciamo a contare fino a 100 e respirare.
Le nostre vite sono un mix di controllo e libertà.
La libertà di camminare per strada e guardare il cielo, di scrivere i propri pensieri, di baciarsi per strada.
Le nostre vite sono un mix di gesti quotidiani, normali, scontati.
È difficile pensare a un mondo in cui non possiamo semplicemente uscire per strada e camminare.
Il nostro mondo però non è il mondo intero, è solo una parte di mondo.
Esiste un mondo in cui è illegale che un uomo e una donna si stringano la mano per salutarsi, o che una donna cammini con il capo scoperto, o che canti, danzi, vada in bicicletta.
Ci sono posti in cui le persone vengono arrestate senza motivo, e rinchiuse in condizioni disumane per mesi, senza che nessuno sappia in quale buco nero siano finite.
In cui una donna viene arrestata e uccisa per una ciocca di capelli fuori dal suo hijab.
Una ciocca di capelli.
Penso spesso a come facciamo a vivere le nostre vite tutti i giorni, ignorando i problemi del mondo.
Credo che sia una sorta di istinto di sopravvivenza; il nostro cervello ci protegge e ci tiene incollati ai binari su cui viaggia la realtà dei nostri giorni.
La spesa da fare, le bollette da pagare, i figli da mandare a scuola.
Siamo fatti così noi persone normali, mica siamo eroi.
Ci sono persone che decidono di dedicare la propria vita a raccontare storie, storie che possano ogni tanto farci spostare lo sguardo da noi stessi, come un colpo di clacson che ci fa sobbalzare al semaforo e ci distoglie dai nostri pensieri, per spronarci a ripartire.
Li guardiamo come se non fossero persone come noi, ma esseri diversi che hanno deciso di raccontare la storia, che “corrono il rischio”.
Quando succede qualcosa di spiacevole a un giornalista pensiamo che forse un po’ se l’è cercata, come se morire o finire in prigione fosse un normale rischio del mestiere.
Pensiamo la stessa cosa dei volontari che vengono arrestati all’estero, no? “Che ci vanno a fare in quei paesi dimenticati dal mondo a manifestare, con tutti i problemi che abbiamo qui in Italia?”
E se capita a una turista che è semplicemente in giro a visitare il paese? Se l’è cercata anche lei?
“Ma che ci vai a fare in quei posti che si sa che sono pericolosi”!
E se succedesse a noi, mentre siamo in giro per strada, di essere scambiati per terroristi e sbattuti in prigione, ce la saremmo cercata?
Ieri ho finito di leggere “Azadi, un diario di viaggio, prigionia e libertà”, di Alessia Piperno.
Una storia di una ragazza normale che segue un percorso eccezionale, fatto di incontri meravigliosi su catene montuose mozzafiato, di avventure, di bellezza.
Di una ragazza normale che si ritrova, all’improvviso e senza motivo, in una prigione di massima sicurezza a Teheran.
Alessia era in viaggio in Iran nei giorni delle manifestazioni per Mahsa Amini, la ragazza che fu arrestata il 13 settembre 2022 e poi picchiata a morte per non aver indossato correttamente il suo velo.
Il 28 settembre 2022 Alessia viene fermata e arrestata, senza accuse e senza spiegazioni e sottoposta per settimane a interrogatori senza fine, che scavano nella sua vita privata e cercano qualsiasi elemento che possa incriminarla.
Rimane in prigione per 45 giorni, in condizioni disumane, a torturarsi con migliaia di domande, a scoprire, per la prima volta, a quali atrocità vengono sottoposte le detenute.
Picchiate, private di ogni diritto, arrestate in piena notte con accuse infondate.
Scopre la condizione delle donne in Iran, che i piccoli gesti quotidiani a cui era abituata in Italia, in Iran sono invece punibili con la reclusione o la morte.
Alessia è una ragazza romana piena di vita e amore, che cerca di sopravvivere all’orrore rifugiandosi tra i ricordi dei suoi viaggi, ripensando agli occhi delle persone che ha conosciuto, alle loro storie, alle stelle che sono là fuori a splendere in un cielo nascosto da cemento e sbarre.
Alessia Piperno scrive e ci porta in moto sulle valli del Pakistan, ci fa sognare mondi mai visti e storie magiche, per poi riportarci bruscamente in una cella lurida di Evin.
Scrive un libro che parla dell’amore sconfinato per gli esseri umani e per la bellezza, della capacità di creare relazioni profonde in un ostello o in una cella di una prigione.
Parla di legami, della famiglia che è parte di noi, del nostro sangue e del nostro corpo.
Parla di resistenza, di rabbia, di coraggio e paura.
Parla di quanto sia importante riuscire ad aggrapparsi alla speranza e cercare di sopravvivere in ogni modo.
Una ragazza di 30 anni, in giro per il mondo, che viene sottoposta a 45 giorni di prigionia, senza motivo.
Chi sarà punito per questo?
E quante altre donne e uomini finiranno in prigione allo stesso modo?
Alessia in prigione esprime un desiderio: raccontare la sua storia in un libro, la sua e quella delle sue compagne di cella.
Storie di donne che sono altre donne, che sono migliaia di voci non ascoltate, dimenticate.
Pensiamo sempre che queste realtà non ci riguardino, che appartengano a un mondo che non è il nostro, che a noi non potrebbe mai succedere.
Ma c’è una realtà devastante da non ignorare: l’Iran non è sempre stato così.
Durante gli anni di governo dello Scià Mohammad Reza Pahlavi le donne potevano studiare, guidare, andare in bici, cantare, votare, candidarsi ed essere elette.
L’Iran era lanciato verso un processo di occidentalizzazione estremo, che inaugurava una nuova stagione di diritti per le donne, ma andava a toccare le tradizioni di un popolo imponendo dei cambiamenti radicali con la forza.
Il popolo iraniano, donne incluse, non si sentì rappresentato, e questo scatenò una rivoluzione e la caduta di Pahlavi.
Dal 1979 in poi, sotto il regime di Khomeini e la nascita della Repubblica Islamica, l’Iran iniziò il processo che lo portò gradualmente ad essere quello che è oggi.
Legge dopo legge, l’Iran divenne un altro mondo.
Le donne dell’Iran videro la loro realtà sconvolgersi in pochi anni, la loro realtà cambiare.
E questo mondo continua a privarle della loro libertà, giorno dopo giorno.
Siamo sicuri che non possa capitare anche a noi?
Siamo sicuri che i nostri diritti siano acquisiti e non possa accaderci mai niente?
Che la presenza delle associazioni pro vita nei consultori non sia l’inizio di un processo di privazione dei diritti fondamentali?
Siamo sicuri che in Italia non ci sia alcuna possibilità di ritrovarci private della nostra libertà?
C’è stato un tempo in cui le donne non potevano divorziare dai mariti, in cui le donne erano costrette al matrimonio riparatore dopo aver subito uno stupro, c’è stato un tempo in cui in Italia le donne non potevano votare.
Le donne in Italia possono votare da meno di 100 anni.
Se un giorno fossimo noi le donne private della libertà, come ci sentiremmo se tutto il resto del mondo ci ignorasse?