In L’uomo è antiquato Günther Anders muove dalla diagnosi della "vergogna prometeica", vale a dire dall'analisi della subalternità dell'uomo, novello Prometeo, al mondo delle macchine da lui stesso create, per affrontare il tremendo paradosso cui la bomba atomica ha posto di fronte l'umanità, costringendola fra angoscia e soggezione. La vergogna prometeica è legata anche a un senso di "dislivello" tra l'uomo e i suoi prodotti meccanici che, sempre più nuovi ed efficienti, lo oltrepassano, facendo sì che egli si senta "antiquato". Oltre che perfetta la macchina è ripetibile, standardizzata, riproducibile in esemplari sempre identici; quindi, possiede una specie di eternità che all'individuo umano è negata.
Gunther Anders propinò all’uomo l’epiteto di antiquato già negli anni Cinquanta. La sua opera propone il rapporto non più tra uomo e passione ma tra uomo (ormai ricompostosi in totalità) e qualcosa che mina nuovamente, ri-scompone la sua unità: la tecnologia (e non la tecnica). Essa rappresenta la nuova condizione dello sviluppo umano, che tende a occupare il posto della dimensione razionale precedentemente ricomposta, non con poca fatica, da Nietzsche, che aveva definita la ragione come relazione tra passioni. Anders attribuisce all’uomo un nuovo sentimento: la passione della vergogna che non proviene più dall’interno dell’operare umano ma dall’esterno, dalla tecnologia. Essa non si sostituisce alla ragione ma diviene entità autonoma dell’uomo.
La tecnologia diviene ambiente altro, natura altra, sistema auto-referenziale che si separa dall’uomo e soprattutto si sottrae al suo controllo; si sostituisce al principio ordinatore della razionalità. L’uomo da decisore dell’ordine del mondo diviene un “utilizzabile del mondo” (Heideggher). L’uomo diviene un esecutore delle strutture di funzionamento messe in atto dall’autonomia della tecnologia. L’uomo non è più un soggetto di volontà ma un soggetto di funzioni, di decisioni già prese in precedenza, e a decidere è la tecnologia. Struttura auto-poietica (che provvede in altre parole all’auto-accrescimento, è auto-decisa).
L’uomo, un tempo, un essere decidente, un decisore, diviene un deciso. Per tal motivo l’uomo non si riconosce più nel mondo che egli stesso ha prodotto: l'universo tecnologico che, man mano ha costruito, è ormai divenuto autonomo; indipendenza che evidenzia impietosamente il limite dell’uomo rispetto alla natura tecnologica.
L’uomo è inadeguato rispetto al mondo tecnologico che egli stesso ha realizzato perché la sua natura naturale è insufficiente per confrontarsi, per vivere nel mondo delle macchine. L’uomo prova vergogna per la sua condizione. Vergogna che sempre Anders definisce con l’epiteto prometeica, cioè quella vergogna propria del prometeo (pro-meteo: pre-veggente; colui che vede prima; chi prevede, conosce, in precedenza). In quel momento v’è la fine del mondo mitico (tradizione orale) che lascia il posto all’insinuarsi della cultura (la scrittura, la scienza).
Prometeo, secondo la mitologia greca, fu il titano che rubando presuntuosamente (hybris) il fuoco a Zeus, per farne dono agli uomini, fu condannato dagli Dei a rimanere imprigionato ad una rupe per l’eternità a soffrire sotto i colpi del rapace che di giorno gli rodeva il fegato che di notte ricresceva. La vergogna non è più la hybris causata dalla sete di conoscenza, si tratta di una passione passiva: l’uomo si sente inferiore a ciò che è stato fatto dall’homo creator (l’uomo tecnologico). L’uomo si sente inferiore agli strumenti che egli stesso ha realizzato: si vergogna di essere un essere naturale e di non essere un essere artificiale; ciò perché la tecnica supera le sue capacità funzionali.
L’uomo ha creato qualcosa che gli è superiore, a causa di ciò nasce un sentimento di esclusione dal mondo, egli si sente inadeguato. Da siffatta vergogna può scaturire un duplice esito: 1. Reazione di tipo fobico (antropocentrismo di ritorno): è l’idea di rinnegare l’orizzonte tecnologico perché distruttore. Tale tipo di reazione è foriero d’odio rispetto alla tecnologia che viene considerata lontana dalla propria natura... 2. Reazione di tipo euforico (= “buona apertura”; “buon portarsi”): è una scelta di tipo tecnofilo, ed è dettata da una condizione di gioia, esaltazione per la quale l’uomo fa volentieri a meno della sua natura per divenire macchina. L’uomo diviene essere macchinino, non naturale, in quanto, abbandona la condizione naturale per ri-adeguarsi a ciò che ha creato e che l’ha escluso dal mondo. In tal modo cesserebbe la vergogna di sentirsi creato e diverrebbe creatore di sé.
Il sorpasso
Nel suo cammino l’uomo incappa in una necessità: il superamento. L’uomo si supera perché non può fare altrimenti; si supera perché è superato. L’uomo si pone dunque il seguente interrogativo: accettare di divenire altro o resistere?
Anders riprende il concetto di homo creator ma lo fa in maniera differente da Scheler. La posizione di matrice scheleriana inquadrava, infatti, l’uomo come costruttore della realtà; per Scheler è l’uomo a costruire il mondo. L’uomo assume la responsabilità del proprio agire, responsabilità che testimonia la sua libertà. L’uomo si fa da sé, crea se stesso, inventa se stesso, decide se stesso.
Anders considera l’homo creator sotto una luce differente. L’homo creator non è l’uomo che crea ma è homo materia. L’uomo è homo creator naturae, e creando la natura ha creato la condizione per la sua inadeguatezza, perché ha creato qualcosa che è migliore di sé. L’uomo diviene homo materia perché creando è divenuto materia, cosa di se stesso, ha costruito la condizione per il dominio di se stesso. L’uomo, spinto da prometeico impulso creativo, per mezzo della tecnica, ha creato se stesso subordinato alla tecnica: l’uomo non è più il fine dell’uomo, ma il fine della tecnica. L’uomo non esiste più al mondo come uomo ma come cosa del mondo. V’è il passaggio dall’antropocenrismo al tecnocentrismo. L’uomo diviene uno degli utilizzabili del mondo. Ciò avviene perché l’uomo si è separato dalla natura e ha preteso di creare la natura.
L’uomo è spossessato dalla sua capacità di decidere il proprio destino, tant’è vero che il potere decisorio è in mano alla tecnica.
In tal senso Jonas formula il principio di responsabilità, teorizzando la ripresa nelle mani dell’uomo del proprio destino per mezzo dell’euristica della paura, cioè di quella dottrina filosofica fondata sulla dimensione emozionale della paura. La paura è atta alla conservazione della specie, tale sentimento dovrebbe, quindi, fungere da volano per il ripensamento del destino umano. V’è necessità di porre rimedio alla dissoluzione dell’umano causata dall’uomo stesso. M come fermare il prometeo scatenato? Come esposto in precedenza Jonas fa leva sulla paura, Anders (come anche Nietzsche) ritiene sia della fondamentale importanza sviluppare l’aspetto fino ad ora trascurato (l’interiorità).
L’esistenza dell’uomo rischia seriamente di essere ridotta a mera funzione, ciò a causa dell’annientamento della dimensione emozionale. Il dislivello tra dimensione emotiva e dimensione funzionale dà vita a un puer, cioè a un fanciullo non responsabile, a un fanciullo dall’incredibile dotazione tecnologica ma non in grado di controllare le proprie emozioni. Trascurare la dimensione emotiva comporta il rischio di trasformarci in funzionari della vita. L’uomo diviene funzione di apparati tecnici. L’uomo diviene strumento dell’apparato che egli stesso ha costruito. L’uomo da decisore diviene deciso, quindi si vergogna perché divenuto inadeguato. Egli si vergogna della sua natura organica, si vergogna d’essere struttura organizzata. L’uomo è un organismo vivente, cioè corpo di organi organizzati organicamente da una natura organica e non da se stesso.
Il problema non è più il corpo ma l’organicità dello stesso, un ordine che non ha stabilito l’uomo. In tal senso Artaud teorizzerà il corpo senza organi.