Com’è noto il termine Psichedelia, di origine greca, è composto da psyche (mente, anima) e delos (che suscita, che svela).

Il termine venne coniato negli anni cinquanta, dai primi studiosi della psicofarmacologia e poi ripreso, in letteratura, da Aldous Huxley e Humphry Osmond. Altri scrittori e poeti ripresero i temi psichedelici, compresi i poeti della Beat Generation.

Già nel termine troviamo, per così dire, l’altra faccia della medaglia: il disvelamento di ciò che è nascosto nella nostra mente, contiene implicitamente l’affermazione che nella mente dell’uomo esistano delle verità o delle realtà che hanno bisogno di essere rivelate.

Il risveglio di queste realtà dormienti era già conosciuto dalle antiche popolazioni andine dell’Ecuador, del Perù e della Bolivia; ma anche dal popolo Huichol dell’altipiano di Sonora, in Messico e persino da alcune tribù della Siberia (e da tante altre popolazioni che conoscevano il principio attivo della mescalina, contenuto in alcuni cactus e in particolare nel peyote).

Il primo grande divulgatore dell’utilizzo della sostanza fu lo scrittore americano Aldous Huxley che nel 1953 assunse un quantitativo pari a 400 milligrammi di mescalina, nel corso di una decina di sedute in compagnia e con l’assistenza dello psicologo Humphry Osmond (praticamente colui che coniò, durante la corrispondenza intercorsa proprio con Aldous Huxley, il temine psichedelico).

Successivamente Huxley pubblicò in un volumetto dal titolo Le porte della percezione il resoconto di quelle sedute in cui aveva assunto il solfato di mescalina.

Alcuni autori sono concordi nell’identificare in Robert Masters e Arthur Kleps la vecchia guardia del movimento psichedelico, anche se, come ho già detto, l’assunzione del peyote è assai più remoto nel tempo, perfino negli Stati Uniti.

Fu appunto tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta che alcuni ricercatori farmaceutici riuscirono a sintetizzare la molecola della mescalina, ottenendo un principio attivo migliaia di volte più efficace: l’LSD-25, più noto in commercio come acido lisergico.

All’inizio questa sostanza cominciò a circolare negli USA abbastanza liberamente. La si utilizzava in campo medico e nella farmacopea per la cura dell’alcolismo e di alcune malattie mentali, invero in maniera sperimentale.

Il mondo intellettuale, oltre a quello prettamente scientifico dell’area medica, fu subito attratto dagli effetti che produceva questa nuova sostanza nella mente umana. Chi l’ha provata racconta di esperienze visive che hanno degli accenti fantastici, qualcosa che assomiglia ai prodotti cinematografici della Disney, ma con un valore aggiunto che il grande Walt non fu mai in grado di produrre nelle sue pur immaginifiche pellicole. L’acido lisergico e i suoi mirabolanti effetti si diffusero tra i giovani americani negli anni Sessanta.

I “Figli dei Fiori”, assetati come mai in passato di nuove esperienze e alla ricerca di realtà alternative a quelle presenti, sospettate di essere pilotate dalle istituzioni politiche, troppo autoreferenziali e concentrate nel controllo dell’informazione e nella gestione esclusiva del potere, trovarono congeniale a queste loro istanze, l’assunzione di una sostanza capace di rivelare delle verità nascoste nella mente.

Fu la California, nel 1966, il primo stato a proibire la vendita e il consumo dell’acido lisergico.

Poi il Congresso Federale estese la proibizione al resto dei singoli stati che ancora non lo avevano fatto. Non saprei dire se la proibizione federale sia stata, in qualche modo, collegata al connubio che subito si formò tra i poeti della beat generation, assuntori dell’acido lisergico e acerrimi nemici dell’impegno militare degli USA nel Vietnam e i giovani ribelli americani, renitenti alla leva che li avrebbe voluti spedire nell’inferno del Vietnam.

Fatto sta che il presidente Johnson si diede subito a perseguire i consumatori di LSD.

Ricordo anche che Timothy Leary venne cacciato da Harvard a causa del suo proselitismo in favore dell’acido lisergico (e contro la guerra in Vietnam); così come fece Allen Ginsberg che affermò di avere composto la famosa poesia “The Howl” in preda agli effetti del peyote.

La psichedelia raggiunse tutti i settori dell’arte. Gli artisti, d’altronde, avevano di già elaborato, seppure in delle espressioni che possiamo definire psichedeliche ante litteram, con i movimenti del cubismo in pittura, del dadaismo in letteratura e della dodecafonia in musica.

Voglio dire che allo stesso modo in cui in passato, i pittori scomponevano e ricomponevano le forme dei corpi, la psichedelia smonta e rimonta le percezioni trasmesse ai consumatori di LSD, ottenendo delle sensazioni e delle immagini completamente nuove e diverse dalla realtà.

Ma l’apice del movimento psichedelico in campo musicale fu Woodstock. I tre giorni di musica, di pace e di amore costituiscono un inno in cui confluirono tutti i temi cari al movimento. In fondo, in quel raduno, il mondo assistette, affascinato e incredulo, scandalizzato e interdetto, sorpreso e preoccupato, alla decomposizione e alla contemporanea ricomposizione di schemi sociali, di forme fisiche e di rapporti sessuali immutati per millenni, inattaccabili come tanti altri tabù dei benpensanti americani. Sotto gli occhi di tutti si consumarono tre giorni in cui i giovani del movimento psichedelico espressero un altro modo di vivere l’amore, di sentire la musica, di interpretare la pace.

Anche i Pink Floyd, nella loro musica sperimentale, all’inizio degli anni sessanta, hanno preso dei brani di musica sinfonica e l’hanno rielaborata. E alla RoundHouse di Londra, in uno dei loro primi concerti, proiettarono le diapositive psichedeliche di Joel Brown, un artista americano, reduce della guerra in Corea, che non aveva fatto altro che mischiare i colori della fabbrica in cui lavorava, ricomponendoli più volte e, in maniera del tutto sperimentale, filtrandoli e mischiandoli nuovamente, per poi schiacciarli nei vetri quadrati che proiettò durante il concerto, facendo impazzire di gioiosa sorpresa i giovani presenti.

Una sinergia sperimentale di musica, colori e forme, di natura autenticamente psichedelica.

Personalmente non ho fatto mai uso di LSD. Non è stata una scelta ideologica. Forse ha giocato in mio favore la mia diffidenza verso le sostanze sintetiche. Se qualcuno mi avesse offerto un estratto naturale di mescalina, o un fungo peyote, nell’epoca in cui credevo che assumere delle droghe fosse quasi un dovere di conoscenza, o un atteggiamento doveroso di ribellione verso un sistema di potere e di pensiero, forse lo avrei assunto; così come avrei potuto fumare dell’oppio ma mi sono sempre rifiutato di iniettarmi dell’eroina con una siringa.

E a pensarci bene, se tornassi indietro, eviterei di fumare e di bere in quella maniera smodata in cui l’ho fatto negli anni giovanili della trasgressione.

Ai miei studenti ho sempre consigliato di evitare l’assunzione di qualsiasi sostanza che in qualche misura alteri la percezione della realtà.

E mi pregio di non avere mai mentito ai miei studenti. Neanche quando gli dicevo che ogni uomo ha dentro di sé tutto ciò che gli serve. E l’assunzione di alcol o di droghe diventa una forzatura. Una ricerca sterile e dannosa.

Naturalmente, come sempre, io parlo per me, e racconto la mia esperienza. Con la mia piccola conoscenza e con la mia grande coscienza di credente in una verità che, seppure nascosta, io so esistere.