Certo, non posso dire che il mio incontro con il Professor Marcello Cesa-Bianchi sia stato del tutto casuale. Era presidente di una commissione per un concorso di seconda fascia di Psicologia Generale a cui io partecipai come candidato e che poi vinsi. Si trattava di un concorso riservato del 1990, con una sola cattedra messa al bando in tutta Italia e con trenta candidati, tutti molto qualificati e con numerosi titoli. Non avevo mai collaborato con il Professore, né avevamo scritto qualcosa insieme. Non ero stato un suo studente e nemmeno avevo studiato Psicologia nella sua Università, la Statale di Milano. Agli occhi degli altri commissari, per il Professor Cesa-Bianchi, io non ero assolutamente nessuno, ma questo è vero solo in parte.
Dal 1974 al 1978, quando mi trovavo in Giappone come borsista del Ministero degli Affari Esteri d’Italia, lavorando nell’Istituto di Psicologia dell’Università di Kyoto su tematiche di Psicologia animale, vidi in una lista internazionale che gli psicologi italiani più rinomati in essa elencati erano solo due e uno di questi era proprio il Professor Cesa-Bianchi. Lo tenni a mente e quando, per un breve periodo di tempo, tornai in Italia, dopo aver deciso di andare a studiare con una borsa di studio del CNR all’Università di Davis in California (USA), lo andai a trovare a Milano esponendogli i miei interessi scientifici, i miei propositi e le mie ricerche.
Egli, sul momento, non dimostrò molto entusiasmo, almeno così mi sembrò, ma poi capii che un certo interesse invece lo avesse avuto. Lo compresi molto tempo dopo questo incontro. Il problema era che in Psicologia, soprattutto in Italia, in questo campo vastissimo che va dallo studio della storia delle diverse scuole psicologiche che sono nate verso la fine dell’800 come discipline scientifiche, allo studio dello sviluppo cognitivo, dell’attenzione, della memoria, della motivazione, alle ricerche sull’infanzia e, dall’altro versante, a quello della gerontologia (disciplina questa in cui Cesa-Bianchi è stato certamente un grande pioniere) con tutti i suoi aspetti clinici e, perché no, anche della psicoanalisi, gli psicologi non avevano (o non volevano avere) ancora un modello di riferimento per lo studio delle funzioni psicologiche umane, cioè quello animale, con il quale invece io lavoravo e ho sempre lavorato.
Inoltre, nelle nostre Università e nelle riviste italiane di Psicologia, a quei tempi, trovare delle pubblicazioni in cui gli autori affrontassero delle analisi statiche approfondite dei dati era praticamente impossibile: gli articoli erano tutti molto discorsivi e fluidi; il massimo che si potesse vedere erano alcune rappresentazioni istogrammatiche dei dati e delle percentuali dei comportamenti rilevati. Non è certo un caso che uno dei primi libri del Professor Cesa-Bianchi sia stato appunto di metodologia psicologica. Si intitolava “Metodi statistici in Psicologia” e al suo interno egli affermava che la metodologia e la statistica dovevano essere elementi irrinunciabili e fondamentali per la Psicologia. Credo che il Professor Cesa-Bianchi capì l’importanza del mio approccio metodologico osservativo e statistico dei dati e che me lo abbia riconosciuto al concorso di cui sopra.
Non sono comunque qui solo per ripensare con tanta nostalgia a quei tempi lontani, ma per ricordare la sua grande figura di studioso e di rinomato accademico italiano. A soli 23 anni si laureò con 110 e lode in Medicina, poi frequentò la scuola di specializzazione in Psicologia presso l’Istituto di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano, allora diretta da padre Augusto Gemelli, e poi la scuola di specializzazione in malattie nervose presso l’Università di Pavia. Nel 1964 venne nominato Professore ordinario di Psicologia presso l’Università di Milano. Durante tutta la sua carriera accademica ricevette tre lauree “honoris causa”. Nel 1985 gli fu assegnato il prestigioso Ambrogino d’Oro dal Comune di Milano. È stato per molti anni Presidente della Società Italiana di Psicologia Scientifica e di molte altre associazioni scientifiche e culturali.
I suoi punti di riferimento, oltre a padre Gemelli, furono i Professori Piero Redaelli, che fu anche suo relatore di tesi di laurea, e poi il Professor Cesare Musatti, il padre fondatore della psicoanalisi in Italia e della Psicologia della Gestalt. Nonostante il suo prestigio, Musatti durante la guerra fu allontanato dall’Università di Padova dove insegnava, in quanto di origini ebraiche.
Il Professor Cesa-Bianchi non soltanto fu grande per tutto quello che si è detto fino ad ora, ma fu il primo a capire che nel nostro Paese la Psicologia si stava muovendo in modo molto disarticolato e con una forte inclinazione filosofica e che ancora doveva dimostrare la sua scientificità o meglio neuroscientificità. La Psicologia secondo il Professor Cesa-Bianchi doveva avere in primo luogo una base biologica e psicofisiologica. A tale proposito scrisse: “al momento della mia laurea si pensava che il cervello, con il passare degli anni, praticamente si atrofizzasse progressivamente, perdesse le sue funzioni principali in modo irreversibile e si caricasse di tante patologie”.
In realtà i progressi della ricerca neuroscientifica hanno completamente stravolto questa visione. Egli aveva queste idee quando ancora nelle università italiane si dovevano fare i conti con le consorterie accademiche e con la superficialità, ostacoli e pregiudizi di ogni tipo, mentalità chiuse alle nuove prospettive scientifiche e alle potenzialità della Psicologia.
Non è infatti un caso che i corsi di laurea in Psicologia nelle nostre università sorsero molto tardi (il primo corso di laurea in Psicologia venne aperto all’Università di Padova nel 1970!) rispetto a molti Paesi europei, per non citare gli Stati Uniti d’America in cui esistevano già da più di sessant’anni. Tuttora nelle Facoltà italiane, ora chiamate Dipartimenti, la Psicologia è stata sempre vista con una certa supponenza, dall’alto in basso, come se per risolvere i problemi mentali delle persone bastassero i farmaci o addirittura la neurochirurgia, posizioni dogmatiche che ancora nel terzo millennio serpeggiano nei vari atenei italiani.
Ne so qualcosa, essendo stato Professore ordinario di Psicologia generale in una Facoltà di medicina, pardon, Dipartimento di medicina e chirurgia. I muri eretti dai colleghi non erano solo di natura scientifica, ma persino personali. Durante la mia permanenza in questo ambiente ho avuto l’occasione di scambiare poche opinioni e solo con pochi colleghi, i più aperti. Io e i miei colleghi di Psicologia eravamo considerati poco più che dei numeri.
Il Professor Cesa-Bianchi, molto prima di me, ha vissuto gli stessi problemi e le stesse discriminazioni. Egli però, sin da subito, aveva rifiutato energicamente questi pregiudizi sostenendo che la Medicina stava trascurando degli aspetti molto importanti, per esempio quelli relativi al rapporto medico-paziente, un binomio che doveva essere fondamentale per la cura delle malattie. Il paziente non doveva essere più solo e il medico non doveva essere solo un tecnico, ma un sostegno. La Psicologia poteva dare un contributo importante per una visione globale della Medicina, ma questo si capì molto tardi. Oggi, il rapporto della Psicologia con le neuroscienze è molto più dialettico e aperto che in passato ed è possibile trovare molte convergenze tra le due discipline.
Al contempo, Cesa-Bianchi sosteneva che la Psicologia non poteva certamente risolvere tutti i problemi dell’umanità ma poteva però contribuire ad affrontare molte situazioni per il miglioramento delle condizioni delle persone in difficoltà e sofferenza. La sua era una “psicologia positiva” che doveva tendere a sottolineare come accanto a doverosi interventi sulla sofferenza e sui disturbi, occorresse cercare di correggerli facendo leva sulle tendenze positive che sono sempre presenti nelle persone che apparentemente sembrano perse.
Il Professor Cesa-Bianchi ha avuto molti allievi, collaboratori ed estimatori di rilievo. Ne voglio citare alcuni: i Professori Nino Dazzi, Riccardo Luccio, Giuseppe Mantovani, Francesco Rovetto, Ettore Caracciolo, Alessandro Antonietti, Tiziano Agostini, Eugenia Scabini, Carlo Cristini, Paolo Moderato e tanti altri. Purtroppo con questi nomi sono andato a memoria e quindi non me ne voglia chi non è stato inserito in questa lista.
Il noto teologo e filosofo David Maria Turoldo tempo fa scrisse che l’uomo è ciò che pensa (sagge parole): sono i suoi pensieri, la cultura a segnare la stratificazione del suo spirito. Certamente il Professor Cesa-Bianchi è stato un suo grande interprete.
La scomparsa del Professor Cesa-Bianchi è stata certamente una grande perdita per la Psicologia italiana. Ha lasciato un vuoto. Ora che non c’è più, non ci rimane che attingere dalle sue numerosissime pubblicazioni e dai suoi libri che ci ha lasciato in eredità. Il 15 marzo 2025 ricorre l’anniversario della sua scomparsa. Era nato il 19 marzo del 1926. Ricordiamolo.