Molto bella questa nuova Enciclica di Papa Francesco (“Ci ha amati”, col titolo ricavato come sempre dalla traduzione in latino delle prime parole del documento), sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo. Prima di tentare qualche osservazione (riassumendone i punti essenziali), vorrei fare una premessa generale.

Dal 1740, che vide la pubblicazione della prima Enciclica di Papa Benedetto XIV “Ubi primum” (ripristinando un antico uso di queste “lettere circolari” alle comunità cristiane), ad oggi sono state firmate dai vari Pontefici ben 326 Encicliche su molti argomenti dottrinali, morali o socio-culturali. In particolare, dal Concilio Vaticano II sono state pubblicate 36 Encicliche dagli ultimi sei Papi (con l’avvertenza che Giovanni Paolo I, per la brevità del suo pontificato, non riuscì a scriverne nemmeno una).

A questo riguardo mi domando quanti fedeli – clero compreso – abbiano letto e meditato questo straordinario patrimonio di spiritualità e pensiero teologico, che aiuterebbe moltissimo sia a capire la bellezza della nostra fede, e sia a cogliere le trasformazioni e i problemi della società umana (per riuscire poi a portare più efficacemente il lieto annunzio del Vangelo di Cristo). Certo la fede è una scelta di vita, e il giudizio finale (v. Matteo 25,31-46) sarà sull’amore (infatti San Paolo afferma: “queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità”, 1 Cor 13,13), tuttavia l’ignoranza non ci aiuta a crescere e a maturare la nostra coscienza cristiana.

L’argomento scelto dal Papa, per l’attuale Enciclica, mi pare non solo importante ma anche molto opportuno per il nostro tempo. In un’epoca di opposti “estremismi” – di sentimentalismo ed emotività, o di freddo calcolo materialistico – Papa Francesco ci ricorda come il centro unificatore dell’essere umano – e del suo essere corpo e anima – sia proprio il cuore. Infatti, “tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche. In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato” (n. 21). Per questo, meditare sul cuore umano e divino di Gesù Cristo, ci può solo far bene: perché siamo fatti a immagine di Dio e poi, come cristiani, siamo chiamati a seguire e a immedesimarci sempre più in Cristo.

Molto chiaro il punto di partenza dell’Enciclica. “Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo” (n. 11). Poiché soltanto il cuore “crea l’intimità, la vera vicinanza tra due esseri” (n. 12), “si potrebbe dire che, in ultima analisi, io sono il mio cuore, perché è ciò che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone” (n. 14).

“Il cuore ascolta in modo non metaforico la ‘silenziosa voce’ dell’essere, lasciandosi temperare e determinare da essa” (n. 16). Questa centralità poi del cuore registra anche il suo essere l’”organo” dell’amore (vero principio di ogni cosa, perché “Dio è amore”, 1 Giovanni 4,8); e proprio per questo “vediamo così come nel cuore di ogni persona si produca questa paradossale connessione tra la valorizzazione di sé e l’apertura agli altri, tra l’incontro personalissimo con sé stessi e il dono di sé agli altri. Si diventa sé stessi solo quando si acquista la capacità di riconoscere l’altro, e si incontra con l’altro chi è in grado di riconoscere e accettare la propria identità” (n. 18).

“Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale” (n. 28); del resto “il Signore ci salva parlando al nostro cuore dal suo Sacro Cuore” (n. 26). Come siamo lontani da quello sciagurato giudizio della religione “come oppio dei popoli”.

Se è vero che il primo e più grande dei Comandamenti è quello dell’amore – necessariamente rivolto, oltre che a sé stessi, a Dio e agli altri – “prendere sul serio il cuore ha conseguenza sociali” (n. 29). Andiamo allora “al Cuore di Cristo, il centro del suo essere, che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano” (n. 30). Gesù non si scandalizzava dei peccatori…

“Gli elitari della religione si lamentavano e lo trattavano come ‘un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori’ (Matteo 11,19). Quando i farisei criticavano questa sua vicinanza alle persone considerate di bassa condizione o peccatrici, Gesù diceva loro: ‘Misericordia io voglio e non sacrifici (Matteo 9,13)” (n. 37). Infatti, “non raggiungiamo la nostra piena umanità se non usciamo da noi stessi, e non diventiamo completamente noi stessi se non amiamo” (n. 59), sul modello ovviamente del Cuore di Cristo che, come ha detto Giovanni Paolo II, è “il capolavoro dello Spirito Santo” (n. 75).

Interessante, poi, questa considerazione storico-teologica di Papa Francesco, il quale afferma che se è vero che il Cuore di Cristo è “il simbolo e quasi il vestigio della Carità divina, la quale si è spinta fino ad amare anche col Cuore del Verbo Incarnato il genere umano” (n. 85); “questo era difficile da capire per molti giansenisti, che guardavano dall’alto in basso tutto ciò che era umano, affettivo, corporeo, e in definitiva ritenevano che tale devozione ci allontanasse dalla più pura adorazione del Dio Altissimo. Pio XII definì ‘falsa mistica’ l’atteggiamento elitario di alcuni gruppi che vedevano Dio così alto, così separato, così distante, da considerare le espressioni sensibili della pietà popolare pericolose e bisognose del controllo ecclesiastico” (n. 86); e anche oggi “all’interno della Chiesa stessa il dannoso dualismo giansenista è rinato con nuovi volti” (n. 87), per cui occorre prendere le distanze da forme di “trascendentalismo ingannevole” disincarnato (n. 88).

Il discorso dell’Enciclica prosegue offrendo un prezioso catalogo di esempi biblici e testimonianze di grandi Santi rispetto alla devozione del Sacro Cuore (dal n. 92 al n. 163). In particolare, Santa Teresa di Gesù Bambino (detta Teresa di Lisieux e proclamata Dottore della Chiesa il 19 ottobre 1997), così profeticamente si esprimeva. “Se avessi commesso tutti i crimini possibili, avrei sempre la stessa fiducia, sento che tutta questa moltitudine di offese sarebbe come una goccia d’acqua gettata in un braciere ardente” (n. 137). Che bella questa libera e totale fiducia nella Divina misericordia! Inoltre, “per lei ‘il merito non consiste nel fare né nel donare molto, ma piuttosto nel ricevere’”, la grazia, la luce, il perdono di Dio (n. 139).

D’altra parte, “la proposta della Comunione eucaristica il primo venerdì di ogni mese, ad esempio, era un messaggio forte in un momento in cui molte persone smettevano di accostarsi alla Comunione perché non avevano fiducia nel perdono divino, nella sua misericordia, e consideravano la Comunione come una sorta di premio per i perfetti. In quel contesto giansenista, la promozione di questa pratica fece molto bene” (n. 84). Per questo il Vangelo, nei suoi vari aspetti, non è solo da riflettere o da ricordare, ma da vivere, sia nelle opere d’amore che nell’esperienza interiore, e questo vale soprattutto per il mistero della morte e della risurrezione di Cristo”… per riuscire a fondere insieme, nella viva esperienza di fede, “l’unione con Cristo sofferente e al tempo stesso la forza, la consolazione e l’amicizia che godiamo con il Risorto” (n. 156).

Ecco allora che “l’amore per i fratelli non si fabbrica, non è il risultato di un nostro sforzo naturale, ma richiede una trasformazione del nostro cuore egoista” (n. 168). Origene diceva “che Cristo realizza la sua promessa facendo sgorgare da noi torrenti d’acqua: ‘l’anima dell’essere umano, che è a immagine di Dio, può contenere in sé e produrre da sé pozzi, sorgenti e fiumi’” (n. 173). Ecco perciò l’insegnamento di Gesù: “imparate da me che sono mite e umile di cuore”; perché con “la mitezza si possiede la terra, perché con la pratica di questa virtù si guadagnano i cuori degli uomini per convertirli a Dio, ciò che non possono ottenere quanti si comportano con il prossimo in maniera dura e aspra” (n. 180).

E “in mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza” (n. 182)… e “il nostro rifiuto o la nostra indifferenza limitano gli effetti della sua potenza e la fecondità del suo amore in noi” (n. 193). Infatti, “Santa Margherita Maria Alacoque racconta che, in una delle manifestazioni di Cristo, Egli le parlò del suo Cuore appassionato d’amore per noi, che ‘non potendo più contenere in sé stesso le fiamme del suo ardente Amore, sente il bisogno di diffonderle’” (n. 194).

Per concludere, “che culto sarebbe per Cristo se ci accontentassimo di un rapporto individuale senza interesse per aiutare gli altri a soffrire meno e a vivere meglio?” (n. 205). Di conseguenza – come ricordato da San Giovanni Paolo II – “attraverso i cristiani, ‘l’amore sarà riversato nei cuori degli uomini, perché si edifichi il corpo di Cristo che è la Chiesa e si costruisca anche una società di giustizia, pace e fratellanza” (n. 206). “La missione diventa una questione d’amore, e il rischio più grande in questa missione è che si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo che abbraccia e che salva” (n. 208). “Ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità” (n. 219).

Direi che – per un fedele attento – ce n’è da meditare e vivere, perché “la domanda sottesa a questa Enciclica è solo una: c’è amore nella mia esperienza di fede?” (così L. M. Epicoco). A ognuno la sua risposta…