Tante volte, forse ancora troppo spesso, se una donna è bella, si pensa non sia particolarmente intelligente.
Un luogo comune ormai superato? Non proprio. A sfatare questo banale cliché, contribuisce anche Loredana Mendicino, giornalista e conduttrice radiofonica competente, intelligente e innegabilmente bella.
Per lavoro sei abituata a intervistare. Capovolgiamo i ruoli. Come ti senti da intervistatrice a intervistata?
Imbarazzata. Mi ricordo che una volta nel corso di un’intervista che feci ad Alfonso Signorini dissi: “Solitamente chi intervista non ama essere intervistato, io infatti mi sento a disagio, preferisco intervistare, tu invece?” Lui mi rispose: “Ma no, se hai delle belle cose da raccontare, è bello.”
“Uno strano personaggio” da te intervistato?
Vittorio Feltri. Un nome di un certo peso nell’ambiente giornalistico. Per me fu un onore intervistarlo, ho sempre ammirato il suo background culturale e la sua capacità nel riuscire a far crescere molte testate giornalistiche. Prima di lui avevo già intervistato svariati personaggi di spicco, ma incontrare Feltri mi metteva un po’ d’ansia, tanto che mi dimenticai di accendere il suo microfono. Faticavo a prendere appunti e, dopo qualche minuto, con il cuore in gola, immaginando che mi avrebbe apostrofata con parole sprezzanti dissi: “ Mi perdoni direttore, ma mi sono scordata di accenderle il microfono, fortuna che me ne sono accorta in tempo.” Mi rispose con aria sorniona: “Ma sì, che cazzo te ne frega, se non te fossi accorta la risolvevi inventando qualcosa, sai quante volte l’ho fatto io!”. Mi mise a mio agio, mi tranquillizzò. Insieme ci facemmo una gran risata e cominciammo a darci del tu.
Ogni tanto gli mando dei miei pezzi e lui mi risponde complimentandosi per lo stile e il contenuto, ma ne condivide soprattutto le idee. Spero non mi dia la sua approvazione per pura cortesia, quindi talvolta lo provoco dicendogli che ritengo che anche le critiche siano costruttive, ma lui replica che a suo avviso va tutto bene. Questo mi rende fiera e orgogliosa. Ho grande stima di lui e credo sia una delle penne più sferzanti del panorama giornalistico italiano.
Il cinema è una delle tue passioni. Ti è capitato di intervistare un noto regista?
Gabriele Salvatores. Lo conobbi al Cinepalace di Riccione nel 2018 in occasione della presentazione del suo film “Il ragazzo invisibile. Seconda generazione”. Ricordo che in quell’occasione il proprietario del multisala mi disse: “Loredana, il film non è girato molto bene durante la Prima, lui non ama affatto essere intervistato e oggi in particolar modo è un riccio”. Mi sentivo già in partenza piuttosto sconfortata, ma ho un temperamento ostinato. La mia intenzione era quella di rompere le regole delle interviste “ingessate”, quelle che prevedono domande retoriche, toni piatti e risposte laconiche. Cercavo dinamismo e fervore, e quando lui si avvicinò, gli spiegai come avrei voluto impostare l’intervista. Sulle prime mi rispose: “Mah, sai Loredana, io devo mantenere un certo stile”. All’inizio infatti fu un po’ schivo, ma tra me e me ripetevo: “Pazienza, anche se le dinamiche non saranno come le avevo immaginate, l’importante è portarmi a casa l’intervista”.
Avevo quattro telecamere puntate addosso che stavano registrando, ma avvertivo la stessa frenesia di una diretta. Fortunatamente dopo la prima domanda notai che si sentì a proprio agio, si era creata una certa sintonia tra noi, e si lasciò addirittura andare alla mia “regia”. Sì, perché a un certo punto gli dissi: “ Dato che parliamo di effetti speciali, io adesso Gabriele ti farò sparire”. Feci un gesto che sarebbe poi stato elaborato in post produzione a far figurare una dissolvenza, e lui si prestò al gioco. Fu una bellissima soddisfazione. Posso affermare di aver diretto Gabriele Salvatores.
Lo scorso anno la TV italiana ha compiuto 70 anni. Ti è capitato di intervistare alcuni personaggi, impressi nella nostra memoria televisiva?
Pippo Baudo e Maurizio Costanzo. Ricordo che da bambina rimanevo assorta sul divano a seguire le loro trasmissioni, non avrei mai immaginato che un giorno li avrei intervistati, e soprattutto non avrei mai immaginato di poter ricevere dei complimenti proprio da loro.
Fare la giornalista era il tuo sogno fin da bambina?
No, da piccola sognavo di diventare una ballerina, mi incantavo davanti alla tv a guardare Heather Parisi e Lorella Cuccarini. Avevo un aspetto etereo e delle movenze graziose, mia mamma voleva iscrivermi a un corso di danza classica, ma io le dissi che volevo seguire un corso di rock acrobatico, una disciplina lontanissima dalle mie peculiarità fisiche e caratteriali. Seguii in ogni caso dei corsi di danze standard ed ero anche molto brava, ma le mie aspirazioni si infransero perché la scuola in cui seguivo le lezioni distava parecchio da dove vivevo; i miei genitori mi ci accompagnarono per un periodo di tempo, ma si rincasava sempre a notte fonda e questo stile di vita era troppo gravoso per tutti. Piansi parecchio per aver dovuto interrompere quelle lezioni, però, con il senno di poi, mi rendo conto che era stata la scelta più giusta.
Quando è iniziata la tua carriera come giornalista?
Nel 2022, ma per arrivarci dobbiamo entrare nella macchina del tempo per tornare al 2016. Un amico cameraman, oggi regista di una discreta fama, mi propose di co-condurre uno street format tv in cui avrei dovuto vestire i panni di una sirenetta che intervistava i turisti sulle spiagge della riviera romagnola. Prima di allora non avevo mai preso in mano un microfono. Trovai comunque la cosa molto divertente. Il programma ebbe successo, tanto che andò in onda con un blocking diurno per due anni e un prime time serale il terzo anno. Successivamente cominciai a collaborare in qualità di inviata con la principale TV della regione Emilia-Romagna, mi affidavano i famosi “speciali” e le interviste ai Vip. Allo stesso tempo scrissi e firmai la regia di un paio di documentari di genere naturalistico, turistico ed enogastronomico. Ma il conseguimento del tesserino rilasciato dall’ordine dei giornalisti è arrivato in tempo di pandemia, a marzo 2022.
Come hai vissuto il periodo del Covid- 19?
Nel 2020 lavoravo a Milano come programming per un’azienda internazionale, nel corso del primo lockdown, ritornai a Rimini dove ero stata obbligata a rimanere per le famose zone a colori. Mi chiesi: “Come me la vivo adesso questa situazione?”, e con un collega ideammo un format a misura di social dal titolo: “La sbornia”. Il nome nasce dal fatto che in quel momento ci sentivamo tutti un po’ destabilizzati, come fossimo brilli, soprattutto a causa delle indicazioni piuttosto contrastanti che ci venivano a mano a mano fornite. Invitavamo i nostri amici Vip a partecipare a delle dirette su Instagram e ognuno di loro ci raccontava come stava trascorrendo il proprio tempo. I collegamenti terminavano sempre con un brindisi finale assieme ai personaggi, i quali preparavano preventivamente un bicchiere di vino da avvicinare alla telecamera del proprio device per fare cin cin. Lo trovavo un modo carino per intrattenere il pubblico che poteva a sua volta volgere delle domande in diretta ai loro beniamini.
Nel corso di una di queste puntate fui notata da un editore che mi contattò privatamente chiedendomi se volevo collaborare con lui per la sua testata giornalistica. Accettai e creai una rubrica intitolata: “La Chiave del Successo”. Lo spazio prevedeva interviste ai personaggi più celebri del mondo dello Showbiz. Ogni Vip raccontava di sé rivelando ai lettori dove avevano trovato la loro chiave del successo. Dopo due anni di collaborazione con questa testata diventai giornalista pubblicista a tutti gli effetti e direttore editoriale del magazine.
La tua rubrica “La Chiave del Successo”, nata nel 2020, mi ricorda il programma televisivo “La volta buona”.
“La volta buona” è un rotocalco, diciamo che nel corso delle mie interviste per “La Chiave del Successo” mi concentravo molto sul percorso di vita degli ospiti evitando accuratamente le parentesi gossip. Ho avuto il piacere e l’onore di farmi rivelare da Bruno Vespa, Red Canzian, Bobby Solo, Enrica Bonaccorti, Manuela Villa, Lele Mora e tanti altri, quale fosse stata la chiave che aveva aperto loro le porte del successo. Seguirono due edizioni speciali: “La Chiave del Successo della medicina”, in cui intervistavo la maggior parte dei virologi che imperversavano in televisione nel periodo del Covid-19, ma anche gli esponenti della medicina eterologa. La seconda edizione speciale venne invece denominata “La Chiave del Successo dell’informazione”, in questo caso dovevo intervistare i giornalisti più influenti del panorama mediatico.
Cosa ne pensi del gossip?
Fin da quando ero bambina in casa mia non è mai entrata una rivista di gossip, quindi sono abituata a non interessarmi alla vita privata degli altri. Giudico le persone e i personaggi in base alla loro rispettabilità e professionalità, non mi interessa se l’attrice o l’attore di turno siano sposati o separati, se abbiano l’amante, se siano etero oppure omosessuali, ritengo che la vita privata meriti di essere custodita gelosamente a rispetto di sé stessi e delle persone che ci stanno accanto.
Pare che tu sia considerata una giornalista politicamente scorretta, perché?
Perché quando ci si esprime in modo diverso dal pensiero dominante veniamo subito etichettati. Io sono diventata la regina dei label: brutta, cattiva, fascista, nazista, negazionista, sostenitrice dei no-vax, filo putiniana, maschilista, misogina, omofoba. Il mio obiettivo è quello di stimolare il dibattito pubblico su argomenti controversi e di grande attualità, con persone che hanno idee diverse tra loro. È questo che porta alla crescita; senza contrari non c’è progresso, citava William Blake.
Qual è la tua opinione riguardo alla violenza sulle donne?
Ritengo che gli uomini violenti non si estingueranno mai, la violenza fa parte della natura di taluni uomini, non tutti fortunatamente. Non c’entra nulla il patriarcato, anche perché i giovani d’oggi vengono educati principalmente dalle donne e all’interno dell’odierno ménage familiare c’è un’equa suddivisione di compiti che un tempo non c’era. C’entra piuttosto il fatto che le famiglie non educhino adeguatamente i propri figli, e gli stessi genitori non sono talvolta un buon modello da seguire; basti pensare a quelli i quali, anziché capire perché il proprio figlio o la propria figlia abbia conseguito un pessimo voto o una nota, vanno a rigare l’auto dell’insegnante di turno e nei casi peggiori lo picchiano pure, vedi il caso accaduto alcuni giorni fa nel Salento.
Poi ci sono le personalità borderline, dunque ancor meno c’entra qui il patriarcato. Faccio sempre menzione, del dramma riferito a Giulia Cecchettin la quale è stata barbaramente uccisa dal suo ex fidanzato il quale aveva problemi psichici, ma proprio quell’omicidio è stato a mio avviso strumentalizzato per portare avanti una battaglia anacronistica.
Ritengo altresì ci siano forme di violenza che potrebbero essere evitate. Molte giovani decidono liberamente e autonomamente di frequentare le “Terrazze Sentimento” in cui girano notoriamente fiumi di alcol e droga, e nessuno le obbliga a stordirsi fino al punto di alterare il proprio stato di coscienza; ciò non giustifica certamente le violenze, ma considerando che non tutti gli uomini sono educati, rispettosi e normali, sarebbe indice di coerenza e saggezza evitare certe situazioni. Inoltre esiste una giusta via di mezzo tra il burka e una minigonna panoramica, ma se ti permetti di affermare una cosa simile e di consigliare alle giovani di oggi di attenersi a un dress code più decorso, ti affibbiano l’etichetta di maschilista e misogina. Che poi, tutta questa guerra contro il patriarcato, questo esaltare il nudo femminile come emblema di libertà, ha contribuito davvero alla creazione di pari opportunità, alla liberazione, al rispetto e alla sconfitta della violenza sulle donne?