Quando si parla del nulla, un autore che merita attenzione è Charles de Bovelles, conosciuto anche come Carolus Bovillus (o Bouillus), un personaggio chiave del Rinascimento, cui Eugenio Garin e Ernest Cassirer hanno dedicato molto spazio nei loro scritti. De Bovelles è un intellettuale che risente molto dell’influsso di Niccolò Cusano attraverso Lefèvre d’Étaple (Jakob Faber Stapulensis). Secondo Cassirer, de Bovelles anticipa l’idealismo hegeliano. Dice infatti: "Al pari di Hegel, Bovillus esige che anche questa opposizione [Io-mondo] sia superata in una sintesi superiore di tipo speculativo" (Cassirer).

Il pensiero filosofico di De Bovelles è incentrato sulla coincidentia oppositorum di Cusano, il processo speculativo per il superamento degli opposti. In tale contesto, il nulla assume un’importanza fondamentale: diviene la base del divenire dell’essere. Sembrerebbe che il nulla sia necessario per contrapporlo dialetticamente all’essere e superare tale opposizione con il divenire. Qui De Bovelles sembra prefigurare il movimento dialettico hegeliano di tesi, antitesi e sintesi. È curioso che nei suoi scritti Hegel non citi mai né Cusano né tantomeno De Bovelles.

Partendo dal paradigma della coincidentia oppositorum, cioè, del superamento nello spirito di tutti gli opposti, si pone l’essere insieme al suo opposto, cioè, il non essere o nulla. L’essere, dunque, non è la condizione all’interno della quale si pone il problema della conoscenza, ma è la conoscenza che precede l’essere, il quale viene inserito nell’ars oppositorum insieme al suo opposto. Il cogito ergo sum di Cartesio e l’idealismo hegeliano non sono che lo sviluppo di tale impostazione.

De Bovelles definisce la materia come quasi-nulla ma non un nulla. Il suo essere quasi-nulla è dovuto al fatto che la materia è l’ultimo gradino dell’essere, quindi prossima al non-essere, che ne è il sostrato. Ciò nonostante, la materia è la prima fonte dell’universo, essendo questo creato in un secondo momento.

Dio, infatti, crea ex nihilo prima la materia (creatio prima), e poi forgia il cosmo (creatio secunda). È evidente la visione demiurgica di Dio. Tutto il discorso della creazione viene strutturato attorno ai «quattro modi della durata»: eternità, evo, tempo, istante.

L’eternità è la durata illimitata in entrambe i sensi; essa non ha né principio né fine. […] L’evo è una durata che non pone nessuna fine ad un principio. […] Il tempo è una durata limitata ad entrambe le estremità. […] L’istante è un limite privo di durata».1

L’eternità la possiamo vedere come una retta infinita, l’evo come una semiretta, il tempo come un segmento, l’istante come un punto senza alcuna dimensione. Per De Bovelles, Dio vive nell’eternità, è da sempre, ma allo stesso tempo l’eternità è costituita da due evi: nel primo evo, Dio vive in solitudine senza creazione; nel secondo, Dio crea e diventa plurimo. De Bovelles, infatti, vede l’eternità come divisa in due “tempi”: il primo evo non ha principio ma ha una fine, mentre il secondo ha inizio con la creazione e non ha fine.

Appaiono qui le prime contraddizione in termini. Un evo che non ha inizio ma ha una fine e un’eternità composta da due evi, uno che si chiude e l’altro che si apre. Se l’eternità non ha per definizione né inizio né fine, come è possibile che sia costituita da due evi? L’eternità non ha limiti, ergo non può essere divisa in due evi, uno prima della creazione e l’altro dopo. In Dio non esiste un prima e un dopo, poiché è fuori dal tempo, sussume il tempo, che geometricamente risponde a un segmento all’interno di una retta infinita.

Se consideriamo l’eternità come l’istante che si dilata all’infinito, allora la figura geometrica che più le conviene non è la retta ma il punto privo di dimensioni spaziali e temporali. Ma è, soprattutto, parlando del nulla, che, a nostro avviso, emerge la massima incoerenza del sistema bovilliano. In primo luogo, il filosofo francese afferma che solo Dio è eterno, nulla è coeterno a Dio, ma mediante un sofisma, arriva a entificare il nulla, sostenendo che il nulla regnava durante il primo evo, era con Dio, dunque coeterno a Dio, fino a quando Dio lo annientò, sostituendolo con l’universo.

Il passaggio dal nulla all’universo è visto un po’ come il passaggio dall’energia potenziale all’energia cinetica, o dall’antimateria alla materia, e ricorda molto il «nulla» di Fredegiso inteso come «tenebra», cioè, assenza di luce. Si tratta di una trasformazione di una cosa in un’altra. Nel primo evo, appare Dio (D) e il nulla (N); nel secondo evo, Dio (D) e l’universo (U). In formule, abbiamo:

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Il nulla (N) è visto come negazione dell’universo, una specie di anti-universo, e l’universo (U) come la negazione della sua negazione:

N = -(U); U = - (-U)

Per il filosofo francese, il nulla è «non ente infinito in atto».

Infinito in atto, il nulla è rispetto al non-ente ciò che Dio è rispetto all’ente. Come Dio è un ente infinito in atto, così il nulla è non-ente infinito in atto. Come infatti a Dio pertiene l’essere, così il nulla è separato dall’essere […] Dio è infinitamente; il nulla infinitamente non è. Ne consegue che Dio non sopprime mai il nulla né lo muta interamente nell’essere. Il nulla è infatti infinito in atto. Per questo, esso è irriducibile e inesauribile. Nessuna creatura dunque (neanche se Dio continuasse a crearne nell’infinità dei secoli) sopprimerà mai il nulla; il nulla non sarà mai compiuto in atto e non sarà mai interamente mutato nell’essere. Rispetto alla totalità del nulla, tutto quello che Dio trae continuamente dal nulla è infatti come un niente, una quantità trascurabile (minimum). Come Dio non può essere svuotato del suo essere, così inversamente il nulla non può essere riempito dall’essere.2

In realtà, se il nulla è non essere, il suo valore non può essere negativo ma solo pari a zero: N = 0. Il nulla non può intendersi come negazione dell’essere, come “(anti)sostanza” eguale e contraria, poiché l’essere assoluto è infinito. Perciò il nulla non può essere negativamente infinito. Il nostro essere qui e ora ne è la prova inconfutabile. N = 0 vuol dire che nel primo evo – ammettendo che l’eternità possa essere costituita da due evi – dovrebbe apparire solo Dio (D).

De Bovelles cade poi nuovamente in contraddizione, quando afferma che il nulla è insopprimibile ma che allo stesso tempo Dio lo ha annientato. Nella filosofia bovilliana, il nulla diviene «qualcosa», che viene «annientato», sostituito da qualcos’altro, cioè, dalla materia iniziale, da cui, poi, con una seconda creazione, avrà luogo l’universo. Il nulla diviene così il fondamento della materia, la quale passa dalla pura potenza aristotelica all’atto, cioè, esistenza realizzata, sostanza delle cose, materia, la quale, però, resta sempre quasi-nulla, vivendo al confine con il nulla. Tutto viene dal nulla e tutto ritorna al nulla, tranne ciò che rientra nel piano divino.

Se il nulla, che è «non-ente infinito in atto», è «irriducibile e inesauribile», regna insieme a Dio ed è coeterno a Dio, dal momento che l’infinito è uno solo, o Dio è il nulla oppure non è infinito, o, ancora, quella di De Bovelles potrebbe configurarsi come una dottrina manichea, che vede due principi infiniti e contrari e, paradossalmente, complementari: Dio e il Nulla.

Riteniamo, però, che sia da preferire la prima, cioè, quella che vede Dio come il nulla. Se consideriamo, infatti, il Liber de Duodecim Numeris, vediamo che Dio è equiparato allo zero. Se i numeri sono le cose, secondo De Bovelles, Dio, non essendo alcuna cosa, è zero, in quanto precede tutte le cose. Se prima con Plotino Dio era l’Uno, da cui tutto deriva, ora con De Bovelles Dio è zero. Ma dal parallelo con i numeri emerge un altro concetto, quello della creazione mediata, cioè, dell’esistenza di cause seconde in rapporto alla creazione, per cui Dio non creerebbe tutto in un unico atto, bensì in due tempi scanditi da una creatio prima e da una creatio secunda. Questo lo desumiamo dal rapporto tra lo zero e il dieci.

Secondo De Bovelles, lo zero sta ai numeri semplici come il dieci ai numeri misti. Se i numeri sono cose, allora, le cose complesse hanno origine da un ente intermedio (dieci), mentre le cose semplici, da cui emergono quelle più complesse, traggono origine da Dio (zero). Per De Bovelles il nulla è la base non solo dell’essere ma di Dio stesso. Se il nulla non fosse, Dio non sarebbe onnipotente. Se Dio è il nulla e l’uomo è immagine di Dio, allora anche l’uomo sarà nulla. Nel De Sapiente, emerge proprio questo “nichilismo antropologico”, incentrato sul carattere aspecifico dell’uomo, sul suo essere tutto ciò che è altro. Scrive De Bovelles:

Niente è proprio e peculiare dell’uomo, ma a lui sono comuni tutte quelle cose che sono proprie degli altri. Tutto ciò che è proprio di questo e di quello, dell’uno e dell’altro, e, insomma, dei singoli, è proprio del solo uomo. Infatti egli realizza in sé la natura di tutto, contempla tutto, imita tutta la natura. Dissetandosi con tutto ciò che è in natura, diviene tutte le cose. L’uomo non è questo o quest’altro essere determinato, né la sua natura è questa o quella, ma è contemporaneamente tutte le cose: concorso e sintesi razionale di tutto. 3

Note

1 De Bovells, Ch., Il piccolo libro del nulla, Luni Editrice, Milano, 2024, pp. 31-35.
2 Idem, pp. 68-70.
3 De Bovells, Ch., Il Sapiente, Einaudi Editore, Torino, 1987, p. 77.