Per noi viaggiatori con biglietto di andata e ritorno, grandi sognatori di avventure più che avventurieri, l’aver frequentato, nei nostri vagabondaggi letterari, autori immensi e misteriosi come continenti quali, ad esempio, Conrad o Melville, è stata fonte di prezioso godimento ma di altrettanto profonda e insanabile inquietudine.

Come chi, navigando a piccolo cabotaggio, si trovasse ad avvistare al largo un’isola misteriosa ma giudicatala fuori portata continuasse la sua grigia missione, così nei nostri viaggi letterari ci è capitato di incontrare, lungo le coste o sulle isole dimenticate di quei continenti, dei naufraghi solitari, protagonisti di storie e racconti straordinari, a volte erano reietti come Almayer o Lord Jim.... altre volte grandiosi demoni incarnati come Kurtz o Achab e ci attraevano con la loro macabra grandezza ma poi alla fine, non senza rimpianto, riuscivamo a scostarci perché li sentivamo troppo distanti.

Altre volte però, magari su un’isoletta appartata, o in cima a un promontorio nascosto, lontano dai porti dove si svolge la grande Storia, ci è capitato di incontrarne qualcuno che abbiamo amato subito e a cui avremmo voluto somigliare, un coup de foudre che ci ha colpito al cuore e che non avremo più dimenticato, come mi è successo quando per l’ennesima volta circumnavigavo uno di quei continenti “chiamato Joseph Conrad” e ho incontrato Jean Peyrol, il filibustiere dei mari lontani, protagonista del suo ultimo e dimenticato romanzo The Rover, pubblicato in Italia col titolo L’avventuriero.

Jozef Teodor Konrad Korzeniovski, naturalizzato britannico col nome di Joseph Conrad (come il corsaro di Byron), era già uno scrittore celeberrimo, osannato e meta di pellegrinaggi nel suo ritiro nelle campagne del Kent, da parte di personalità peraltro poco inclini a tale attitudine come Virginia Woolf o Bertrand Russell, quando si accinse a scrivere un romanzo ambientato a Genova, alla vigilia della rocambolesca fuga di Napoleone dall’Elba.

Ma durante la stesura di Suspense, questo il titolo del romanzo poi rimasto incompiuto, qualcosa, forse un’idea scaturita dai suoi studi sul carteggio di Horatio Nelson, comandante in capo della flotta britannica, o forse un oscuro presentimento, lo portarono ad abbandonare il progetto per gettarsi nella stesura di The Rover, che sarà il suo ultimo romanzo completo e, a parere di molti, il suo testamento morale e spirituale.

Il romanzo si apre con il ritorno alla terra natia di un maturo lupo di mare, il capocannoniere della flotta della Repubblica Jean Peyrol che, alla vigilia della battaglia di Trafalgar, consegna alla capitaneria di porto di Tolone, violando con grande abilità il blocco navale dell’ammiraglio Nelson, un malandato brigantino catturato agli inglesi al largo del Capo di Buona Speranza.

Conrad ce lo tratteggia come un bel tipo di marinaio, imponente e di bell’aspetto, dai modi calmi e misurati come di chi, temprato da mille avventure e conscio della propria forza, è avvezzo a usarla con parsimonia.

Verremo presto a sapere che era nato proprio su quella costa una sessantina di anni prima e, quando era appena un bambino e viveva con la madre una poverissima contadina di Porquerolles, alla morte di questa dopo una breve agonia, fuggì terrorizzato con solo gli stracci che aveva addosso fino al piccolo borgo costiero di Almanarre. Lì, per sfuggire a dei cani randagi si rifugiò su una tartana e nascostosi sotto alcuni sacchi si addormentò a bordo per la paura e lo sfinimento.

Quando si svegliò si ritrovò clandestino, scoperto e acciuffato in alto mare e da quel mare, come da altri molto più lontani ed esotici, non scese mai più se non per brevi e rischiose sortite a terra le cui motivazioni erano spesso di saccheggio e rapina perché, a dirla tutta, Jean Peyrol, in quei mari lontani si guadagnò una solida fama tra i Fratelli della Costa e se magari non ne andava fiero, certo non rinnegava neppure di essere stato un filibustiere rinfacciando a chi, come un sospettoso ufficiale della capitaneria di porto di Tolone che lo accusava apertamente di essere stato un pirata, che loro, i Fratelli della Costa, avevano messo in pratica negli oceani del mondo gli ideali repubblicani di libertà uguaglianza e fraternità molto prima che in patria “esistesse anche solo l’idea della Repubblica”.

Un vero e proprio “nostos” quindi quello di Jean Peyrol, che, stanco di vagabondare per l’oceano Indiano , aveva sentito il richiamo della terra dove era venuto alla luce, affacciata su quel Mediterraneo cangiante e luminoso dove anche il giovane Conrad, esule polacco, aveva vissuto le sue prime romantiche e rischiose avventure.

Il vecchio filibustiere si stabilisce a terra in una fattoria non troppo lontana da Tolone, “affacciata sul mare come un faro” ma sufficientemente appartata da sperare di esservi dimenticato e viene a conoscere, attraverso gli abitanti del luogo, gli orrori e gli abomini che la Rivoluzione aveva perpetrato fino a pochi anni prima del suo ritorno.

In quella fattoria conosce Arlette, la padrona della casa, una bellissima giovane donna resa folle proprio da quegli orrori a cui aveva assistito quando era solo una bambina e che con la sua freschezza e la sua disarmante innocenza risveglia in lui un sentimento che il suo vecchio cuore, indurito da decenni di scorribande sui mari lontani, aveva oramai dimenticato.

Dopo alcuni anni però la tranquillità del luogo viene scossa dall' arrivo di un altro protagonista della storia: il tenente Eugene Real, un giovane ufficiale della Marina repubblicana (ora sotto il potere di Napoleone) che è venuto a stanarlo fin lì perché ha bisogno proprio di lui, del vecchio lupo di mare, per aiutarlo in una delicatissima missione, talmente importante da poter mutare le sorti della guerra e per la quale il tenente si era offerto volontario ben sapendo che la riuscita dell’impresa doveva necessariamente comportare la sua morte o peggio la sua detenzione nelle terribili prigioni inglesi.

In quei lunghi anni a terra Peyrol, per non privarsi del gusto di andar per mare, aveva acquistato e rimessa in condizioni di navigare una vecchia tartana abbandonata. Bene, il giovane ufficiale gli chiede di consegnargliela per inscenare una fuga con lo scopo di farsi catturare dalla velocissima corvetta inglese che pattuglia quelle acque. Una volta catturata il comandante avrebbe scoperto a bordo della sua preda dei falsi dispacci, firmati da Napoleone in persona, che ordinavano alla flotta della Repubblica di salpare verso l’Egitto. Questo avrebbe dovuto far muovere la flotta inglese liberando finalmente i porti francesi dal ferreo blocco navale instaurato dallo ammiraglio Nelson.

Pianificando insieme al tenente i dettagli della missione, Peyrol scopre il senso di appartenenza alla Patria e sente anche risvegliarsi quell’amore per la sfida marinaresca e l’avventura che forse, in quegli anni a terra, il vecchio pirata aveva sentito assopirsi in lui.

La trama del romanzo si stringe quindi inesorabilmente attorno al filibustiere dei mari lontani quando si rende conto che solo lui può intraprendere una missione come quella con qualche speranza di successo. Allora Peyrol, l’uomo “dalle gesta oscure ma dal grande cuore” con uno stratagemma fa scendere il tenente dalla tartana e, con un magistrale coup de theatre, prende improvvisamente il mare lasciando a terra lo sbigottito ufficiale riconsegnandolo alla vita e all’amore di Arlette mentre lui porta a termine la missione come avevano pianificato.

Prevedendo mossa dopo mossa le reazioni della corvetta inglese, che infatti si lancia al suo inseguimento, Peyrol fa catturare la sua tartana facendosi raggiungere dopo una abilissima finta fuga condotta fino a suggellarla con l'unica cosa che avrebbe potuto renderla credibile facendo scattare la trappola: la sua morte.

Così Peyrol-Conrad si congeda da noi e dalla vita su una tartana, come quella che l’autore aveva comandato nei suoi scapestrati anni giovanili, quel “Tremolino” che, come racconta in The mirror of the sea aveva dovuto sacrificare dopo una lunga baldanzosa fuga sulle onde, insieme ad un eccezionale compagno di avventure, il corso Dominic Cervoni che gli avrebbe ispirato proprio il personaggio del magnifico protagonista di The Rover.

Anche lui, come il vecchio pirata, si era rifugiato a terra diventando un rispettabile gentleman borghese dopo anni di mare e di avventure, certamente non piratesche ma altrettanto libere e rischiose.

Conrad le aveva vissute in prima persona, dall’interno, immerso in quell’elemento romantico e terribile che è stata la vita di un marinaio all’epoca gloriosa dei velocissimi clipper, i grandi velieri che si sfidavano sulle rotte commerciali del the e della lana, doppiando i mitici capi delle tempeste nei liberi oceani del mondo subito prima che la propulsione a vapore, con l’apertura del canale di Suez, ponesse rapidamente fine a quella grandiosa epopea.

Solo vivendo da dentro quell’esperienza Conrad ha potuto poi osservarla dal di fuori, gettando uno sguardo su quella vita e su quegli uomini che sono stati capaci di viverla e di cui non si stanca mai di tessere le lodi perché erano stati “forti come sono forti coloro che non conoscono né dubbi né speranze. Erano stati impazienti e capaci di sopportare, turbolenti e devoti, indisciplinati e fedeli... la loro generazione viveva senza conoscere la dolcezza degli affetti né il rifugio di una casa e moriva libera dall’oscura minaccia di una tomba ... . Erano i figli perenni del mare misterioso”.

Quando fu pubblicato nel 1923, The Rover, non fu accolto bene dalla critica. Ernest Hemingway lo lesse e riportò queste impressioni:

Lessi il pirata seduto sul letto al Nickle Range Hotel. Quando venne il mattino avevo consumato tutto il mio Conrad come un ubriacone. Avevo sperato che mi durasse per tutto il viaggio e mi sentivo come un giovanotto che ha mandato in fumo il suo patrimonio. Ma, pensai, scriverà altre storie. Ha ancora tanto tempo. Quando lessi le recensioni, erano tutte concordi nel dire che “Il pirata” era un brutto libro. E adesso è morto e io vorrei che Dio sì fosse portato via qualche grande personaggio letterario ammirato per la sua bella tecnica e avesse lasciato qui lui a scrivere i suoi brutti libri.