La morale sessuale cattolica è “in evoluzione”, soprattutto dopo i Sinodi sul matrimonio e la successiva pubblicazione dell’Esortazione di Papa Francesco “Amoris laetitia” (2016). Come sappiamo l’insegnamento della Chiesa ed il modo di vivere di molti fedeli hanno preso strade diverse, senza contare la perdita di credibilità della Chiesa per lo scandalo degli abusi sessuali sui minori (che ha determinato, nel 2014, la nascita della “Pontificia Commissione per la tutela dei minori” presso la “Segreteria di Stato” in Vaticano).

Su queste complesse problematiche (ad esempio: regolazione artificiale delle nascite, esclusione delle coppie di divorziati risposati dall’eucaristia, valutazione a priori negativa dei rapporti prematrimoniali, omosessualità, celibato del clero, ecc.) voglio tentare una rapida riflessione-sintesi non tanto sui molteplici aspetti del problema e sulla casistica, quanto piuttosto sui criteri generali di impostazione etica dei problemi per una valutazione più realistica e corretta.

Prima di tutto occorre partire dalla fondamentale convinzione di Papa Francesco secondo cui “il primo compito della Chiesa non è tanto esprimere un giudizio morale sulle coppie e le famiglie… quanto piuttosto accoglierle e comprenderle per accompagnarle e sostenerle nel loro cammino di vita e di fede”. Riconoscendo, poi, “incondizionatamente la sessualità come ‘regalo meraviglioso di Dio per le sue creature’, Francesco riesce meglio dei suoi predecessori a compiere la svolta avviata dal Concilio Vaticano II verso un’interpretazione positiva della sessualità e a uscire dall’ombra secolare di una tradizione sessuofobica”. Come non citare, a questo riguardo, la bellezza poetica del “Cantico dei cantici”, un inno biblico alla gioia dell’incontro tra uomo e donna, che è anche immagine della relazione tra uomo e Dio.

Pertanto, il principio cardine sul quale impostare le relazioni intime è l’amore, certamente nella sua dimensione erotico-emotiva, ma soprattutto nel rispetto della dignità della persona, nella sua totalità; per cui “l’attenzione non è più rivolta ai singoli atti sessuali considerati in sé stessi, ma alle persone che agiscono” (ed alle conseguenze delle loro azioni sul partner). Inoltre, non andrebbe mai contrapposta la realtà soggettiva dell’agente alle condizioni oggettive di ciò che è moralmente giusto, ma piuttosto valutato “l’intreccio interiore delle dimensioni cognitive, volitive e affettive dell’agire”.

Secondo qualche Autore, ad esempio, si potrebbe ipotizzare – per gravi violazioni subite dei doveri coniugali – la dispensa dalla promessa matrimoniale e consentire un secondo matrimonio (in questo senso v. Martin M. Lintner, Teologia morale sessuale e familiare – Una prospettiva di etica relazionale, Queriniana 2024, pag. 703, il quale osserva che “in caso di fallimento del matrimonio si potrebbe ipotizzare una dispensa dai doveri e dai diritti coniugali, senza per questo annullare il matrimonio in quanto tale. Alle persone che vengono dispensate dai voti religiosi o dai diritti e doveri presbiterali è concesso sposarsi; similmente, si potrebbe prevedere la possibilità di un secondo matrimonio”).

Giusto per ripercorrere qualche passaggio importante del nostro recente passato, un punto critico di rottura è stata la presa di posizione riguardo la contraccezione. Come sappiamo Papa Paolo VI - con la famosa Enciclica “Humanae vitae” del 1968 – dichiarò alcuni importanti principi, tra cui quello che “qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita”, con la conseguente necessità di mantenere sempre connessi il significato unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale. Pertanto, in estrema sintesi, un atto coniugale reso infecondo è intrinsecamente non onesto; seppure viene riconosciuta la liceità morale del controllo naturale delle nascite, alla luce del principio della paternità responsabile, per cui i genitori possono e devono decidere il momento in cui generare ed il numero di figli.

Tra l’altro sulla genesi di questa Enciclica è sorprendente la posizione delle varie Commissioni “preparatorie”. In sostanza Paolo VI ampliò la Commissione pontificia istituita già da Giovanni XXIII - per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità - portandola a settanta membri (con teologi ed esperti di vario tipo).

Come leggo nell’ottima ricostruzione fatta dal teologo Lintner (nell’opera citata, pagg. 222-229), la predetta Commissione terminò i suoi lavori nell’estate del 1966 e presentò al Papa due differenti documenti conclusivi: una relazione del teologo Josef Fuchs, sottoscritta da un’ampia maggioranza, con la quale veniva sconsigliato al Papa di condannare i metodi artificiali di controllo delle nascite, sulla base della motivazione del “principio della totalità”, secondo cui “l’apertura alla procreazione non è una questione del singolo atto coniugale ma dell’amore e della comunione coniugale nella sua totalità” (così M.M. Lintner, op. cit., pag. 222-223).

Al contrario, quattro teologi della minoranza rifiutarono questa argomentazione in quanto sarebbe stata in contraddizione con l’insegnamento di Pio XI e Pio XII. Successivamente Paolo VI decise di istituire una nuova Commissione di sedici membri per valutare la “relazione di maggioranza”, la quale – a maggioranza – consigliò al Papa di accoglierla. “Al quesito del Papa se la contraccezione artificiale fosse da condannare come intrinsecamente immorale, nove membri risposero negativamente, tre si astennero, tre risposero affermativamente. Paolo VI sottopose la questione anche ai partecipanti al sinodo dei vescovi nell’ottobre 1967. Dei duecento vescovi presenti solo ventisei espressero il loro parere, diciannove dei quali a favore di un cambiamento della dottrina della Chiesa su questo punto, sette contrari” (M.M. Lintner, op. cit. pag. 223).

Tuttavia, quando si trattò di preparare uno schema dell’Enciclica, nel lavoro di redazione furono coinvolti principalmente i teologi che rappresentavano la posizione di minoranza della pontificia Commissione per cui si arrivò al testo che conosciamo.

Sulla vita coniugale vale la pena ricordare – ad esempio – il seguente passaggio tratto dalla quarta Costituzione del Concilio Vaticano II. L’amore degli sposi “è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio; ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorabili e degni e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” (“Gaudium et spes”, n. 49 lett. c).

Interessante anche questo auspicio espresso dal Concilio: “Gli esperti nelle scienze, soprattutto biologiche, mediche, sociali e psicologiche possono portare un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia ed alla pace delle coscienze, se, unendo i loro studi, cercheranno di chiarire sempre più a fondo le diverse condizioni che favoriscono un’ordinata e onesta procreazione umana” (“Gaudium et spes”, n. 52 lett. d).

Senonché è indubbio che la posizione della citata Enciclica sembrò a molti (compresi alcuni collaboratori della Curia romana, v. M.M. Lintner, op. cit., pag. 224) fondata su assunti preconciliari. D’altra parte, dopo la pubblicazione della Enciclica in questione, ben trentotto Conferenze episcopali a livello mondiale decisero di pubblicare alcune dichiarazioni sullo stesso Documento (non tanto contrarie, ma con chiari intenti di “pacificazione interpretativa” e di concreta attenzione pastorale). Ad esempio, i vescovi italiani (riconoscendo la difficoltà di accettare e praticare l’Enciclica) suggerirono ai fedeli di non avvilirsi per i loro “possibili insuccessi” (v. M.M. Lintner, op. cit., pag. 226).

Su questo argomento – peraltro complesso per l’implicazione di diversi aspetti etici, psicologici, fisiologici, sociali, economici - mi pare si possa chiarire la seguente prospettiva di fondo (premesso che un “controllo” naturale delle nascite è già insito nel fatto stesso di un ridotto periodo fertile femminile nel ciclo mensile; e che comunque anche per le coppie sterili restano leciti gli atti coniugali): il dubbio morale non dovrebbe riguardare la “scelta tecnica” sui metodi di controllo delle nascite, ma soprattutto (se non esclusivamente) la motivazione alla base di quella stessa scelta.

Faccio – come giurista – un esempio concreto tratto dai principi della legge penale. Posto l’assoluto divieto di uccidere – che resta certamente la più grave condotta umana - l’eventuale legittimità dell’atto di uccisione per “legittima difesa”, in linea di principio, non riguarda la “scelta” del mezzo tecnico con cui è stato ucciso un pericoloso aggressore, ma soltanto la motivazione-proporzione di quella “reazione” e le varie circostanze che possano illustrare la condotta dell’aggressore e della “vittima-omicida” (appunto per valutare – nella concreta situazione - la proporzione tra offesa e difesa).

Pertanto, al di là della comprensibile prassi pastorale di interpretare e attenuare nel confessionale la rigidità della norma, mi parrebbe necessario – anche a livello normativo generale – trovare una più aperta capacità di valutazione etica, che tenga conto della complessità dei problemi (anche per rendere sempre più comprensibile il messaggio cristiano agli uomini contemporanei; senza poi contare – come saggiamente indicato da Giovanni Paolo II – la necessità comunque non della “gradualità della legge” ma della “legge della gradualità”, in riferimento alla cultura sociale ed alle condizioni concrete di vita dei fedeli, per riuscire gradualmente a far comprendere le supreme esigenze morali).

Inoltre, a questo proposito non mi parrebbe sempre opportuno consigliare l’astinenza (anche come “privilegiato” rimedio in determinati casi, dando così una immagine negativa a priori della sessualità), se San Paolo afferma che “la moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione” (1 Corinzi 7,4).

Anzi, da questo punto di vista, come in passato è stato ricavato il principio del matrimonio celebrato ma non consumato (vedi la norma prevista dal can. 1061), oggi forse andrebbe recuperato appieno il principio di “consumazione esistenziale”, per cui il matrimonio celebrato se è vero che deve continuamente essere ricelebrato nell’amore quotidiano, altrettanto deve essere anche consumato nei concreti atti coniugali, salvo la non reale esistenza dello stesso matrimonio. Infine, la Chiesa – per aiutare le famiglie – dovrebbe propugnare più convintamente la valida “dottrina sociale” cristiana, sicuramente dando il buon esempio per vivere più sobriamente e poi sostenendo economicamente i laici impegnati (non facendo leva soltanto sul volontariato ad oltranza) e organizzando sempre più e meglio servizi come quelli della Caritas.

Concludendo questa mia breve panoramica su alcuni fondamentali principi in materia, giova ribadire come sia centrale – nell’esperienza umana – l’amore ed il rapporto personale. Infatti, “Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che disprezzo” (Cantico dei Cantici 8,7). Bello poi ritrovare il senso di questo pensiero anche in un moderno cantautore; nella canzone di Marracash “Love” viene detto: “Gioelli e fama, Vuitton e Prada/ non contan nada se tu non sei con me”. Infatti, gli sposi “come non possono scampare alla morte, così non possono sottrarsi all’amore… l’amore e il morire hanno in comune di indicare qualcosa che è oltre la vita” (così M.M. Lintner, op. cit., pag. 355).

Da questa centralità non si vuole escludere l’etica (che deve illuminare tutta l’umana attività), ma semmai evitare rigidità poco “naturali” e che non tengano conto della complessità e del coinvolgimento profondo di molteplici elementi fisici e psicologici. Inoltre, ogni atto sessuale potrebbe essere valutato alla luce di una sorta di “opzione fondamentale” d’amore rispetto al partner, per stabilire una complessiva e decisiva “etica di relazione” nel mistero del dialogo intimo tra gli uomini (più che una fredda misura degli atti oggettivi posti in essere). Di conseguenza, cercare di entrare in punta di piedi in “camera da letto” sarebbe opportuno e più produttivo; senza contare che, più in generale – come ricordava Papa Francesco - occorre stare attenti “davanti ai cristiani – siano laici, preti, vescovi – che si presentano così ‘perfetti’, rigidi. State attenti. Non c’è lo Spirito di Dio lì. Manca lo spirito della libertà” (Omelia del 16 ottobre 2018, Casa di S. Marta).

Anche da questo punto di vista io sono un dantista, che ricorda come Dante, pur in clima medioevale, abbia collocato nel suo capolavoro i lussuriosi nel primo cerchio infernale dopo il Limbo (che è quello meno grave), o nell’ultima cornice del Purgatorio (più vicina al Paradiso). Del resto vale sempre la famosa lezione dell’esperto diavolo Berlicche (esposta nel bel libro di G.S. Lewis Le Lettere di Berlicche), secondo cui (rivolgendosi ad un giovane diavolo da istruire) così spiegava: “so benissimo che abbiam guadagnato un buon numero di anime attraverso il piacere. Tuttavia, il piacere è un’invenzione Sua, non nostra. I piaceri li ha inventati Lui. Tutto quanto ci è dato di fare è di incoraggiare gli umani a servirsi dei piaceri che il Nemico (Dio) ha prodotto, nei tempi, o nei modi, o nella misura che egli ha proibito. Per cui noi ci sforziamo sempre di allontanare dalla condizione naturale del piacere per far scivolare in quella che è meno naturale”.