Il Niente è la forma della vita mistica.

(Elemire Zolla, Che cos’è la Tradizione)

Il 4 ottobre 2024 uscì sul quotidiano La Verità (sic!), una sorta di Pravda patriottarda che fa dell’autoevidenza assertiva la propria petizione di principio, un breve e confuso articoletto del giornalista-intellettuale Marcello Veneziani (“Dove è finita la filosofia italiana?”) che merita una critica non per la sua importanza ma per il tema che introduce. C’è ancora filosofia in Italia? È finita una “filosofia italiana”? Due domande distinte, che il giornalista confonde, ma entrambe stimolanti.

Per Veneziani la filosofia italiana dopo Gentile, Croce e Gramsci è morta sotto il peso dell’americanismo filosofico. Il pezzo giornalistico appare un esercizio di retorica assai lacunoso che mi spinge a non inutili domande che ora stendo a raffica:

  • Esiste un’italianità nella filosofia degli ultimi secoli?

  • Esiste una “filosofia ufficiale” dell’Italia quale recente Stato-Nazione? (chi lo dice?)

  • Può farsi oggi filosofia senza Nietzsche, Heidegger, Husserl, Popper che non sono italiani?

  • La Filosofia per definizione e per sua natura non è un pensiero universale, non nazionale?

  • La grande filosofia del passato non si è connotata quale filosofia esistenziale, morale, speculativa, teoretica e non quale “filosofia politica” di cui Veneziani sembra avere nostalgia?

Ovviamente il fulcro del suo articolo appare risibilmente evidente: Veneziani ama la cosiddetta “rivoluzione conservatrice” italiana anni venti (Papini, Soffici, Prezzolini, Marinetti) e si chiede in realtà perché non ve ne sia ancora traccia oggi. Di questo in realtà lamenta l’assenza, di una determinata corrente culturale politica, non della filosofia in sé stessa considerata, che mai cessa e mai cesserà. Lo stesso Ministro Sangiuliano cerca, rilanciando Prezzolini (Giuseppe Prezzolini, L’anarchico conservatore) di riattivare quella temperie culturale che la storia ha spazzato via.

È infatti puerile e ridicolo non ricordare cosa successe, come cioè il fascismo azzerò il pluralismo culturale italiano, sedò e spense lo stesso Futurismo, e dopo il fascismo la società di massa tecnocratica (anticipata dal Fascismo) spianò come una livella ogni spirito critico e ogni reale spirito di discussione culturale-filosofica.

Lo stesso Evola (pur in facile ritardo) scrisse criticando gli aspetti modernisti, massivi e tecnocratici-borghesi presenti nel Fascismo istituzionale nel suo Il fascismo criticato dalla destra. Veneziani sembra ignorare le sue stesse fonti ignorando come Julius Evola fu un interessante filosofo (allora non fascista) nel suo giovanile Teoria dell’Individuo Assoluto, da tutti colpevolmente ignorato e snobbato.

Veneziani non ricorda che i tempi di Filosofia non sono i tempi delle cronache giornalistiche o degli spot editoriali ma sono tempi lunghi, strani, ellittici, sottili. Filosofia non ha fretta: se un filosofo non viene studiato, metabolizzato e superato, tale filosofo resta vergine, contemporaneo pur nell’esclusione-oblio, attuale. Filosofia non ha fretta. Pure Veneziani si risponde da solo senza accorgersene: l’americanismo che critica, prima di imporsi quale società di massa, si è imposto culturalmente con la filosofia anglosassone di stampo scettico, scientista, agnostico, relativista, tecnocratico.

La “via italiana” alla società di massa, di cui Veneziani ha nostalgia, è finita nel 1945 per ovvie ragioni come pure non era facile fare filosofia prima con uno dei più grandi filosofi, stimati anche da Veneziani (cioè Gramsci) tenuto in carcere per impedirgli appunto di pensare e di fare il filosofo! La contraddizione di questa posizione è massima e duplice:

  • Lamentarsi che manchi oggi una cultura da “rivoluzione conservatrice” che proprio il fascismo e la sua guerra hanno desertificato e annichilito.

  • Lamentarsi che non vi sono più “grandi filosofi italiani” confondendo un’appartenenza nazionale con un pensiero, quello filosofico, per sua natura trans-nazionale, sincretista, universale.

Come la musica così parla Filosofia. Ma la colpa più grave di Veneziani è una colpa tipicamente ideologica: cancellare i filosofi che non gli piacciono, cioè far finta che Gianni Vattimo, Emanuele Severino, Carlo Sini, Giovanni Reale, Nicola Abbagnano, Massimo Cacciari, Gianni Baget Bozzo e molti altri (tutti italiani e tutti a noi contemporanei, oltre che attualissimi) non esistano e non siano mai esistiti! Una patetica damnatio memoriae! Sono colpevoli di non essere considerati “abbastanza italiani” dal giornalista? Il patriottismo è criterio di valutazione di un pensiero filosofico? Si rimpiange la censura?

Oltre a ciò Veneziani, infine, non considera (non conoscendo a sufficienza Vattimo) come Filosofia oggi nel post-moderno sia in gran parte una “filosofia dell’ermeneutica” e un’“ermeneutica quale filosofia”. Se non fossimo in questo scenario non sarebbe neppure possibile che un giornalista faccia il filosofo in mezza paginetta, come fa il nostro amico qui in esame. Quindi Veneziani ringrazi Vattimo! A tal fine se non si conoscono le centinaia di ottimi filosofi-docenti-ermeneuti viventi e operanti in Italia si ha la bestiale impressione che Filosofia sia evaporata, mentre è la mente di chi lo pensa che semplicemente non appare realmente interessata a Filosofia!

Il fatto che Filosofia non esista nella mente di Veneziani non significa che non esista nel mondo reale! Personalmente ho avuto la fortuna di conoscere due filosofi che considero grandi: il filosofo del diritto Amedeo Giovanni Conte (sulla scia di Wittgenstein e Bobbio) e il filosofo dell’estetica Alessandro Di Chiara (vivente), sulla scia di Pareyson, Mazzini e Schelling. E come dimenticare quel gioiello filosofico che è Metamorfosi della gnosi di Emanuele Samek Lodovici? Per chi lo conosce, ovviamente. E come non ricordare la ripresa della valorizzazione tomistica della carne e della materia (quale res segnata) presente negli Adelphi della dissoluzione di Maurizio Blondet? Per chi lo abbia letto, ovviamente.

Chi non ama-segue Filosofia non si rende conto della sua grandezza: Filosofia non ha tempo, è eterna, non può morire perché il Pensiero supera ogni confine, spazio, tempo e forma. Il Pensiero resta sempre giovane, fresco, operante. Sempre ci segue Filosofia e si trova ovunque: anche nei mass media, nel cinema, dentro ogni arte e disciplina, a saperla vedere.

Pochi anni fa uscì un libro straordinario, di grande profondità: I Simpson e la filosofia, scritto da docenti universitari statunitensi. Lo ha letto Veneziani? Non penso. Piuttosto oggi c’è poco spazio mediatico e istituzionale per la discussione filosofica. Ci sono moltissimi pesci (filosofi) in acque ristrette e basse. Ma la colpa non è di Filosofia, ma di chi tiene basse queste acque. Tra cui anche quei giornalisti che amano scrivere retoricamente esibendo la propria crassa ignoranza e opacità e così facendo deprimendo l’attuale ricchezza di filosofia vivente in corso.

Finché Evola non verrà superato come filosofo resterà attuale e contemporaneo. Così vale per tutti. Far finta che si possa far filosofia come nel Medioevo o nell’Ottocento in presenza dell’attuale tipo di educazione, cultura, società è risilmente puerile e irreale, oltre che assurdo. Viceversa una domanda sarebbe da chiedersi (e che Veneziani non si chiede, distratto dai suoi furori patriottardi):

  • Da dove nasca la riduzione della filosofia ad ermeneutica e a tecnica.

  • Perché neppure Nietzsche ed Heidegger siano bastati per resistere al trionfo della Tecnica e per rilanciare una filosofia ontica, pur immanente e umanistica.

Hegel già getta Filosofia tra le braccia di Tecnica con il suo ridurre il senso dell’Essere a un’idea di “Spirito” da una parte fenomeno storicistico e dall’altra entità astratta, priva di qualificazione, disincarnata. Hegel riduce l’Essere a fantasma, spettro, idolo assetato di carne, corpi, sacrifici. Nell’astratto cova già il pericolo della disumanizzazione e della massificazione. Il nodo attuale non è la distinzione fra una filosofia antica, passata, persa quale filosofia speculativa e teoretica e una filosofia attuale bassa, specialistica, tecnicistica, esegetica ma centrale.

Penso appaia la distinzione fra una filosofia antica quale disciplina autonoma e una filosofia attuale che fatica a difendere un proprio status di autonomia che non sia narrazione della “storia della filosofia” o ermeneutica di una disciplina specialistica. La Filosofia sembra rimanere oggi rinchiusa nel paradosso di quel Libro misterico dove il presente viene immediatamente scritto, che compare nel “La Storia Infinita” di Ende.

La “lettera uccide” e lo Spirito chissà dove è andato! Ma era veramente autonoma la filosofia pre-moderna? Non erano Pascal, Leibnitz e Cartesio anche matematici, scienziati? È mai esistito il “filosofo puro”, totale? Forse inizia a darsi proprio con Hegel che dall’alto del suo potere universitario già moderno diventa il proprio filosofo pop, di successo, guru delle giovani generazioni.

È forse questa sua velleità di purezza e indipendenza totale ad aver portato la filosofia in uno sterile vicolo cieco da cui stenta ad uscire? Non era più vitale e autonoma proprio durante quei lunghi secoli in cui era considerata una teologia di serie B, quando giocava nel cortile della padrona Teologia? Non è stata la Tecnica per la filosofia una despota molto più crudele, spietata e sadica rinchiudendola nella prigione della didattica storicistica o dell’esegesi endotecnica?

Hegel satura la filosofia idolizzandola per la prima volta quale Filosofia, cioè predominante autocoscienza dell’Essere e non sua ancella. Nel contempo concependo un Essere sovraumano ma non divino (implicitamente coscienziale, intraumano) aliena la filosofia nei recessi della Praxis quale sua necessaria via di inveramento-manifestazione. Questa duplice scissione da una parte deprime la speculazione e la trascendenza, dall’altra tecnicizza la filosofia quale ermeneutica.

Da Hegel a Severino ecco il medesimo virus tenace: la riduzione della filosofia a sofisma, retorica, ermeneutica ancillare a un sistema di potere. La stessa posizione di Veneziani è una posizione filosofica, sebbene superficiale, ideologica, superata, vecchia e nostalgica di un hegelismo storicistico e autocontraddittorio in quanto “la natura (e la storia) non fa salti”! Ma proprio in quanto posizione ancora post-hegelianamente novecentesca (un moderno che tenta vanamente di negare il post-moderno), quella di Veneziani è una postura che conferma l’impossibilità di fare a meno della grande filosofia pur nell’apparenza della sua assenza, data in realtà dalla sua banalizzazione di massa in atteggiamenti intellettualoidi di parte.

La facile dimostrazione ed ennesima conferma che anche questa nostra attuale società di massa sia intrinsecamente e profondamente filosofica sta nell’elencare i principali assiomi filosofici di massa oggi imperanti in ogni quotidiana e sistemica comunicazione sociale. Eccoli:

  • Vivi nel presente.

  • Conosci/realizza te stesso.

  • Conta il viaggio e non la meta.

  • Just do it.

  • Segui il tuo cuore.

  • Tutto è matrix.

  • Il tempo non esiste.

  • La morte non esiste.

  • La risposta è dentro di te (ma è sbagliata, a dirla con Guzzanti).

Diciamo qualcosa solo sul celebre: “conosci (e realizza) te stesso”, oggi così in voga nei social e nel loro diffuso “gurismo di massa” imperante. Ovviamente non si tratta di un semplice “conoscere” scientifico o di curiosità perché ovviamente l’indicazione morale è sempre implicitamente connessa con il “realizzare sé stessi”.

Il dogma è di origine nietzschiano-eracliteo: “divieni ciò che sei”, dove il baricentro è spostato dall’essere-essente al divenire-diveniente, come se l’essere non si desse se non nel divenire e tramite un divenire che diventa come l’autocoscienza dell’essere. Il problema quindi non sarebbe l’essere, la partecipazione all’essere, ma il semplice divenire-manifestare un essere già dato, già perfetto e non contestabile né perfezionabile. Una posizione da “gnosticismo di massa”, popolaresco, improvvisato.

Il detto originario, si sa, viene dal santuario di Delfi, nel ricordo di Erodoto e di Plutarco. Ma allora questo motto aveva tutt’altro senso in quanto sorge e si apprezza in un contesto oracolare, sacrale-rituale-iniziatico oggi scomparso, perso. Cosa significa poi “se stessi”? L’Io? il Soggetto? La persona? Il semplice concreto individuo? Ma per secoli proprio Filosofia ha discusso questo e ha cercato di definire ciò che si da oggi per scontato, dovuto e assodato. Possiamo divenire ciò che non conosciamo? Possiamo realizzarci se non conosciamo i nostri limiti e la nostra identità?

Altro corollario assurdo conseguente: siamo noi il problema e se non riusciamo a realizzarci, è colpa nostra, non dell’ignoto “essere”. Il problema esistenziale-filosofico maggiore oggi quindi sarebbe tecnico, non altro, in quanto insito nelle modalità di attuazione del proprio esserci. Filosofia ridotta a sociologia, a concorrenza-competizione socioeconomia. Il criterio ontico centrale posto implicitamente nel principio di riconoscimento sociale e questo in una società fondata sull’unico fattore astratto condiviso: il denaro. Una società pornologica in quanto la pornografia è astrattezza-tedio-cosalità-immediatezza sensoriale senza direzione né spessore.

Veneziani lo conferma: la società di massa di stampo anglosassone ha potuto vincere grazie alla presenza di un suo spessore filosofico, che l’ha anticipata e preparata. Sì in Marcello la filosofia non c’è. Né italiana né di alcuna altra “nazionalità”. Forse perché, e Veneziani finge di ignorarlo, è stato con l’abbattimento illuministico del Cristianesimo europeo che si è posto un piano inclinato totalizzante e senza fine, catabatico, tragico che ha dissolto e sta dissolvendo ogni fondamento ontico, umano e umanistico.