Sono passati dieci anni. Scrissi il 29 dicembre 2015 un articolo su Nexus dedicato all’uccisione dell’archeologo ottantaduenne Khaled Asaad, responsabile per mezzo secolo del sito di Palmira (Siria) che, dopo essere stato incarcerato e interrogato per oltre un mese (non si sa bene su cosa), fu accoltellato sulla piazza delle antiche rovine davanti alla folla, decapitato e infine appeso a una colonna dai miliziani dell’Isis. Circa un mese prima dell’omicidio i miliziani jihadisti dello Stato Islamico avevano distrutto la Statua del Leone, portando avanti con cura la polverizzazione del 20 per cento dei 10 mila siti iracheni e siriani sotto il loro controllo: il tempio di Baalshamin, il tempio di Bel, la Torre di Elahbel e parte dell’arco monumentale sono solo alcuni esempi di ciò che non vedremo più.
Ieri, 13 marzo 2025, hanno trasmesso in televisione un servizio girato proprio a Palmira in cui venivano intervistati sfollati che dopo dieci anni rimettevano piede liberamente in quelle terre e contemplavano quel poco che era rimasto in piedi; alcuni erano proprio ex lavoratori di quel luogo, attoniti di fronte allo scempio.
“Volta la carta viene la guerra”: come girano in fretta le cose in realtà, e come tutto, con un altro giro ancora, ritorna uguale e uguale ancora. Cosa sono dieci anni nella storia di uno stato? Eppure per dieci anni quel pezzo di terra è stato inaccessibile, presidiato, impensabile solo da immaginare e poi d’un tratto “per la guerra non c’è più soldati” e tutto pare essere tornato normale.
Le distruzioni del patrimonio culturale da parte di fanatici ci sono state sempre nella storia: si pensi all’annientamento di quintalate di scritti Maya dello Yucatán nel 1562 per ordine del vescovo Diego de Landa e la riduzione in cenere di idoli, sculture e altari o agli effetti risultanti dal transito dei mercenari lanzichenecchi i giorni successivi le loro scorribande in Italia. Tutte queste orde di barbari rappresentano bene la metafora del passaggio della storia sulle vicende umane e, a ben pensarci, la cosa non ci deve inquietare più di tanto; del resto sono solo situazioni ed eventi che ricapitano e che ci aiutano a ripartire da capo, magari anche a migliorarci. Lo diciamo spesso ai malinconici e ai nostalgici di non fossilizzarsi sul passato ma di guardare avanti e di investire sul futuro; cosa saranno mai un po’ di statue e di templi fatti erigere da sconosciuti a tutto vantaggio della loro vanità. Gli iconoclasti forse avevano già capito tutto: meglio distruggere e non pensarci più.
Oltretutto l’ironia e il paradosso ci aiutano a tranquillizzarci se pensiamo che ad esempio, con 12 note a disposizione, prima o poi dovrà pur capitare in qualche millennio della storia dell’uomo che un compositore scriva un notturno identico a quello di Chopin anche senza averlo mai letto né ascoltato. Altrimenti non si parli più di calcolo delle probabilità. E allora sediamoci tranquilli e aspettiamo fiduciosi che qualcuno da qualche parte ricostruisca una Palmira nuova di zecca con tanto di leone e tempio di Bel.
Certo è che per essere precisi “La punizione di un male è un male ad esso equivalente”: mi pare di averlo letto nel Corano (42,40). Stando a quanto si dice sarebbe allora necessario che qualcuno procedesse alla cancellazione della tradizione che appartiene ai miliziani jihadisti i quali, fedeli al loro testo sacro, dovrebbero accettarla con gioia e sottomissione. Ma essendo la loro tradizione contenuta nel loro stesso libro sacro bisognerebbe procedere con l’annientamento del medesimo, con il risultato vizioso di cancellare ciò che intimava la cancellazione e dover attendere chissà quanti millenni la nascita di un nuovo profeta che riscriva da capo lettera per lettera tutte le sure. Meno male che il Corano stesso ci toglie dall’imbarazzo perché il passo continua dicendo che “Colui che perdona e si corregge incontrerà la sua mercede presso Dio. Ei non apprezza affatto coloro che prevaricano”: l’avranno letta questa seconda parte i miliziani jihadisti?
Ma tutto compie il suo giro e, dopo che i miliziani “a piedi scalzi son tutti scappati”, è tempo di epurazioni e delazioni come nelle migliori tradizioni post (o pre?) regime e a poco più di tre mesi dopo la fuga di Assad la Siria è ripiombata nel caos più completo. Miliziani sunniti sia siriani sia stranieri, affiliati alle forze governative, hanno compiuto nella regione di Latakia e nell’entroterra della regione di Hama rastrellamenti ed esecuzioni di massa contro uomini accusati di esser stati membri dei servizi del precedente regime.
Non mi sembra quindi ancora il caso di pensare a chi intitolare un sito archeologico e prima che questo avvenga ne dovrà passare di acqua sotto i ponti in Siria; ma quando capiterà, anche se non ci sarò più da un pezzo, mi piacerebbe che fosse dedicata al vero e unico leone di Palmira: Khaled Asaad.