Cosa è più importante nella vita, aver preso le decisioni giuste o essere stati una persona per bene?
Strano dubbio per un fisico che ha dedicato la sua vita alla scienza, ma certamente non trascurabile se a porselo fu Bruno Pontecorvo, che lasciò precipitosamente l'Europa per fuggire clandestinamente in Russia senza lasciare traccia di sé per cinque lunghi anni.
Pontecorvo se lo chiede alla fine della vita quando non è più l'uomo affascinante, raffinato e seduttore, né lo scienziato riservato, segretamente mosso dagli ideali di giustizia. Sono ormai passati 40 anni da quella fuga nel portabagagli di un'auto diplomatica sovietica, e lui, che da tempo conviveva con il morbo di Parkinson, era a Roma per un intervento al femore che non sarebbe stato possibile a Mosca e per il quale il governo di Gorbačëv e l'Accademia delle Scienze dell'Urss avevano approvato il viaggio. Fu durante un colloquio con la giornalista Miriam Mafai che Pontecorvo si pose l’insolita domanda.
E si dette anche una risposta:
Credo di aver commesso molti errori, ma di essere stato una persona per bene. Sono in pace con la mia coscienza, meno con la mia ragione.
Dunque, secondo la sua stessa ammissione, non sempre avrebbe preso le decisioni giuste. Ma quali?
Non essere tornato in Italia - a Pisa o a Roma - nel 1949, quando ne avrebbe avuto la possibilità?
Aver accettato di scomparire oltre la Cortina di Ferro senza che nemmeno la famiglia, né la comunità scientifica occidentale fosse messa a conoscenza della sua scelta?
Aver trascurato le conseguenze sui tre figli e sulla moglie che si trovarono senza libertà e persino senza nome, visto che lui fu ribattezzato Maksimovic, mentre il patronimico “Pontecorvo” fu abolito per tutta la famiglia?
Oppure aver abbracciato senza riserve la fede comunista ed averla difesa anche di fronte all'orrore delle 'purghe' staliniane, dei gulag, della terribile repressione della rivolta ungherese, che pure aveva fatto cadere il sostegno di molti comunisti, compreso quello del fratello Gillo?
A queste domande lo scienziato non risponde mai, neanche nel colloquio con Miriam Mafai, dal quale nacque il libro Il lungo Freddo (edizioni Rizzoli-Bur) – racconto che intreccia la storia della vita di Pontecorvo con quelli del conflitto per la corsa alla bomba atomica che per anni ha diviso il mondo.
Perché ha tutti i contorni della spy story quella del fisico toscano, uno dei ragazzi di via Panisperna, insieme a Enrico Fermi, Franco Rasetti, Emilio Segré, Edoardo Amaldi, tutti fiori all'occhiello della scienza italiana degli anni Trenta dello scorso secolo. Una spy story con molte puntate che non sembra poter mai arrivare a una soluzione e dove lo stesso protagonista non offre chiavi di lettura che riescano a far andare al loro posto tutti i tasselli del complicato puzzle. Tanto che a chi gli domandava se non si potesse essere una persona per bene e nello stesso tempo prendere anche le decisioni giuste, lui rispose: “Alle volte no”.
Una mostra a Pisa, dove Pontecorvo era nato, voluta dalla sezione locale dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dal Dipartimento di fisica dell'Università, pur non affrontando direttamente i possibili motivi della sua fuga, ha ricostruito il susseguirsi di eventi nella vita dello scienziato, focalizzandosi sul recente ritrovamento di alcuni suoi quaderni di laboratorio dei primi anni Cinquanta, i quali proverebbero l'estraneità di Pontecorvo nelle ricerche sovietiche sulla bomba atomica.
Il suo nome è legato in maniera indelebile alle vicende del neutrino, la particella elusiva cercata per due decenni prima di essere scoperta nel 1957.
Spiega Gloria Spandre, che ha curato la mostra con Marco Maria Massai e, insieme a Rino Castaldi, ha condotto una ricerca storica su questi quaderni di appunti.
Ora finalmente sappiamo che Pontecorvo ha iniziato a lavorare a Dubna, nel nuovo centro di ricerca nucleare sovietico, dal novembre 1950, due mesi dopo essersi allontanato dall'Occidente. Il centro era stato costruito per indagare i molti misteri esistenti nella conoscenza del nucleo e per condurre esperimenti di fisica fondamentale nel campo delle particelle elementari, e tutt'ora si occupa di fisica pura. Le ricerche sulle nuove bombe venivano eseguite in altri laboratori dell'Unione Sovietica.
Il periodo russo di Pontecorvo è documentato a Palazzo Blu, dove la mostra era ospitata, con lettere, tessere, foto di famiglia e attestati quali il premio Lenin, che ricevette nel 1963 per le sue ricerche sulla fisica nucleare. Non manca poi la strumentazione originale utilizzata dal gruppo di Fermi di via Panisperna per l'esperimento sul rallentamento dei neutroni.
A parte i grandi meriti scientifici del fisico pisano, il fulcro della spy story che lo vede protagonista resta comunque la bomba atomica e quel periodo di forti tensioni tra il blocco occidentale, Stati Uniti in testa, e quello sovietico, che prese il nome di Guerra Fredda.
Il ritrovamento dei suoi appunti di laboratorio è la prova di ciò che da tempo cronisti e osservatori erano certi: i sovietici accolsero Pontecorvo come un ospite privilegiato, ma lo tennero sempre volutamente distante dal centro di ricerche per la realizzazione delle testate nucleari.
Pur concedendogli una bella casa a Mosca e una villetta a Dubna, sul Volga, dove si trovava l'allora più grande acceleratore di particelle del mondo, pur potendo godere di benefici elargiti solo alla nomenklatura, Pontecorvo fu sempre controllato dagli agenti del Kgb, che lo accompagnavano in ogni suo movimento, compreso il tragitto quotidiano di andata e ritorno nei laboratori. Più che di misure per la salvaguardia della sua sicurezza sia ha l'impressione che non si fidassero di lui. Certamente non al punto da affidare a un occidentale, per quanto di sicura fede comunista, i segreti di Stato.
In realtà i sospetti su Pontecorvo e la sua eventuale attività di spionaggio a favore della Russia sovietica appartengono a due puntate precedenti della sua vita, quelle che riguardano gli anni trascorsi in Canada, dal 1943 al 1948, e in Inghilterra, dal 1948 al 1950, data della sua fuga.
A Chalk River, vicino Montréal, era impegnato nei laboratori per la progettazione del reattore nucleare NSX; a Harwell, nei dintorni di Oxford, lavorerà nel nuovo centro di ricerche atomiche, partecipando al progetto della bomba atomica inglese. Prima, nel 1940, erano state le leggi razziali a fargli attraversare l'Atlantico e trovare una sistemazione a Tulsa, negli Stati Uniti, dove lavorò nei campi petroliferi proponendo un metodo originale per la ricerca del petrolio. Le sue ben note simpatie comuniste lo avevano escluso dal team di Los Alamos, dove Fermi stava lavorando alla realizzazione della bomba atomica.
Certo, a leggere le cronache che ricostruiscono la storia di quegli anni si può essere impressionati dalla quantità di spie che giravano intorno alla scoperta della fatidica bomba. Le ambasciate sovietiche avevano imbastito una rete formidabile di informatori, mentre alcuni scienziati occidentali, tra cui lo stesso Pontecorvo, trovavano scandaloso l'atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dell'Unione Sovietica che aveva pagato con 20 milioni di morti la guerra contro il nazismo. Da qui, spinti dall'adesione ideologica al mito comunista, l'idea di dare una mano all'Urss apparve normale a molti. Tanto che nessuno, o quasi, lo fece per soldi, ma solo per fede politica, una fede che in quegli anni, prima che venissero alla luce gli orrori staliniani, diventò spesso simile al fanatismo religioso.
I delatori dovevano essere molti, ma a farne le spese per primo, nel 1946, fu Alan Nunn May, un fisico britannico che lavorava alla realizzazione del reattore a Chalk River. Qualche anno più tardi, nel 1950, fu il fisico tedesco Klaus Fuchs, che faceva parte dell'equipe di scienziati di Harwell per le ricerche atomiche, ad essere messo sulla graticola. Entrambi avevano lavorato gomito a gomito con Pontecorvo, entrambi confessarono e furono condannati. Non mancarono controlli dei servizi segreti neanche sul fisico italiano, che però non fu mai ufficialmente inquisito.
È una costante forzatura voler vedere in Pontecorvo colui che ha rivelato segreti cruciali all' Unione Sovietica.
Sottolinea Marco Maria Massai.
I russi erano già molto avanti con gli studi: dal punto di vista della fisica non avevano più niente da scoprire. Quello che mancava loro era la tecnologia e anche la carenza delle energie necessarie alla realizzazione. Ma questo non faceva certo parte dei 'segreti' da esportare.
Anche per Miriam Mafai Pontecorvo non ha mai passato informazioni ai sovietici fosse soltanto perché non le conosceva, visto che né a Chalk River, né a Harwell si custodivano i segreti della bomba atomica. Lo stesso Pontecorvo ha sempre affermato di non essere al corrente di quelle notizie.
Diversa la valutazione di Oleg Gordievskij, alto grado del Kgb, che dopo essere fuggito in Occidente rivelò che lo scienziato italiano aveva consegnato spontaneamente all'ambasciata sovietica di Ottawa una serie di documenti segreti. Per Giuseppe Mussardo, fisico dell'università di Trieste, la verità è un'altra ancora. Dando per scontato che uno scienziato come Pontecorvo, per giunta comunista, non potesse essere sfuggito al Kgb, ritiene che la sua 'colpa' fosse essenzialmente nell'ingenuità.
In fondo i russi non erano nemici né del Canada, né dell'Inghilterra, anzi, erano alleati nella lotta contro il nazismo.
Scrive nel suo libro Maksimovic (Castelvecchi editore):
Forse tutto era nato senza alcuna intenzionalità e senza che lui vi desse alcuna importanza. […] Probabilmente solo quando aveva capito che quel gioco era diventato maledettamente serio gli era stato impossibile liberarsi dai fili appiccicosi di quella rete di ragno in cui era cascato.
Al di là e al di sopra di queste interpretazioni restano i fatti. Dopo la confessione e la condanna di May, Pontecorvo ebbe inviti da parte degli atenei di Pisa e di Roma e avrebbe potuto facilmente rientrare in Italia, visto che le leggi razziali erano decadute insieme al fascismo. Perché non raccolse volontariamente queste opportunità e preferì invece spostarsi in Inghilterra, nel centro per le ricerche atomiche? Fu una sua scelta o una scelta obbligata? E perché ad Harwell, dopo l'arresto di Fuchs, i colleghi lo evitavano e l’aria per lui era diventata fredda e irrespirabile, al punto di accettare un nuovo trasferimento, questa volta a Liverpool?
Però a Liverpool Pontercorvo non ci andrà mai. La mattina del 25 luglio del 1950 il fisico, insieme alla moglie Marianne e ai 3 figli, Gil, Tito e Antonio partirono dall'Inghilterra diretti in Italia, per trascorrere le vacanze insieme alla famiglia. Ma qualcosa successe nella seconda metà del mese di agosto e la situazione sembrò precipitare improvvisamente, al punto che il 1° settembre 1950 una fitta coltre di nebbia si chiuse su di loro e sulle due auto scure dell'ambasciata sovietica che da Helsinki li trasportarono fino a Mosca senza biglietto di ritorno.
Da cosa fuggiva Pontecorvo? Che cosa lo aveva turbato?
Forse – sostiene Mussardo - la paura di poter essere arrestato al suo rientro in Inghilterra in seguito ad un'azione legale fatta a sua insaputa contro il governo degli Stati Uniti, 'reo' di aver usato il brevetto sul processo atomico dei neutroni lenti nella realizzazione della bomba (brevetto di cui anche Pontecorvo era proprietario), senza pagarne i diritti. I rapporti tra Stati Uniti e Inghilterra erano molto stretti e c'erano ottime probabilità che questa iniziativa facesse puntare di nuovo i riflettori su di lui e sulla sua presunta attività di spionaggio, su cui le indagini, dopo la condanna di Fuchs, sembravano essersi arrestate.
In fondo, accusare uno scienziato notoriamente comunista di essere una spia avrebbe facilmente evitato agli Stati Uniti il pagamento di svariati milioni di dollari chiesti con l'azione legale. Essere trovato colpevole di spionaggio voleva dire passare anni in carcere e, negli Stati Uniti, rischiare persino la sedia elettrica. Furono queste le angosce che lo spinsero a rifugiarsi nella Russia di Stalin? È possibile, ma, come è ovvio, siamo nell'ambito delle congetture.
È però vero che a partire dal 23 agosto, giorno successivo all'esplosione della notizia sui giornali, succedono cose strane nelle vacanze di Pontecorvo: cambi di programma improvvisi, lettere ai genitori in cui si raccontano falsità, l'auto lasciata da un meccanico romano e mai ritirata, biglietti per Stoccolma e poi per Helsinki pagati con cifre e valuta (dollari) che lo scienziato non poteva avere, frontiere superate senza adeguati documenti di identità e visti.
Tutto ha il sapore della fuga, una fuga da una caccia alle streghe che si faceva sempre più pressante e che appena tre anni più tardi porterà sulla sedia elettrica i coniugi statunitensi Julius e Ethel Rosenberg, accusati di aver consegnato ai sovietici i segreti delle armi atomiche. Ma per Pontecorvo quella fu anche una fuga nel paese dei sogni, quello dove sarebbe nato un mondo più giusto e dove tutti sarebbero stati felici.
Quando arrivai a Mosca mi sentii come un ebreo che ha raggiunto la Terra promessa.
Avrebbe detto dopo molti anni, quando però si era accorto che quella Terra promessa non c'era più, anzi, che non c'era mai stata e che quel sogno apparteneva solo alla sua fantasia e ingenuità. Spionaggio o meno, lui che avrebbe voluto coniugare il suo lavoro di scienziato con l’idea di una società migliore, era stato tradito. E allora no, certo che no: non sempre è possibile prendere le decisioni giuste.
Come ogni spy story che si rispetti non ci sarà mai l'ultima puntata, ma prima di nuove sceneggiature o ricostruzioni più o meno verosimili è giusto ricordare nei titoli di coda i protagonisti della vicenda.
Bruno Maksimovic Pontecorvo, è morto a Dubna il 24 settembre 1993; metà delle sue ceneri sono sepolte nel cimitero della città sovietica, l'altra metà nel cimitero 'acattolico' al Testaccio di Roma
Marianne Nordblum, svedese, conosciuta a Parigi e divenuta sua moglie nel 1940. A causa di gravi problemi psichici sarà spesso internata nelle cliniche psichiatriche russe, dove finirà la sua vita.
Gil Pontecorvo, primo figlio di Bruno e Marianne, nasce nel 1938. È un fisico nucleare e vive a Dubna.
Tito Nils Pontecorvo, nasce in Canada nel 1944, risiede negli Stati Uniti, dove alleva cavalli. Nella prima parte della sua vita aveva studiato gli oceani.
Antonio Pontecorvo, nasce in Canada nel 1945. Vive a Dubna.
Alan Nunn May, muore a Cambridge nel 2003 all' età di 91 anni. Membro del partito comunista inglese fu condannato a 10 anni di lavori forzati per spionaggio. Ne ha scontati 6 e mezzo. Non ha mai accettato l'accusa di tradimento sostenendo che la sua azione di spionaggio era indirizzata agli usi pacifici dell'energia atomica.
Klaus Fuchs, muore a Dresda nel 1988 all'età di 77 anni. Fu condannato a 14 anni per spionaggio, di cui 5 poi condonati. Dichiarò di aver agito perché aveva fiducia nella politica russa.