Al British Museum di Londra si trova un bassorilievo indiano risalente al II secolo molto particolare: raffigura il Buddha in meditazione con accanto una figura che ricorda vagamente il semidio greco Eracle (o, alla latina, Ercole): si tratta della divinità del Buddhismo Mahayana Vajparani, una dei protettori del Buddha, simboleggiante la sua forza. Quindi non è un caso che sia raffigurato nella foggia di Ercole in un manufatto dell’arte del Gandhara, quella particolare arte indiana molto influenzata dalla cultura greca giunta in India con Alessandro Magno.

Certo, ad un occhio moderno, l’analogia tra Ercole e Buddha può apparire paradossale: il primo è percepito come il simbolo della forza bruta, mentre il secondo è l’antitesi stessa della violenza. Eppure il parallelo è meno forzato di quanto si possa percepire. Esiste persino un saggio sull’argomento ovvero Ercole, il Buddha mitologico di Giovanni Luigi Manco, che però legge questo parallelo in una chiave più “politica”.

Le analogie tra Eracle e Buddha sono da tracciarsi nel percorso di questi due personaggi: le fatiche e le lotte che Ercole affronta “esteriormente” sono le stesse che il principe Siddhartha affronta interiormente per raggiungere il nirvana.

Andiamo ad Ercole. Solitamente l'uomo moderno, quando pensa a Ercole, pensa ad un bestione tutto muscoli, una specie di Conan il barbaro in versione mitologica (il Conan del film, perché quello dei racconti di Howard è un abile stratega). Diciamo che anche i pur simpatici peplum all'italiana hanno dato il loro contributo. Ma pensiamoci, era l'eroe preferito dei Greci (anche più di Achille e Odisseo) e i Greci sono il popolo filosofo per eccellenza. Amavano certo anche la forza fisica, e si capisce dall'importanza data allo sport, ma mai la pura forza bruta disgiunta dall'intelletto.

Eracle non fa eccezione. Livello superficiale. Eracle è anche intelligente. Lo dimostra durante le fatiche. Con la sola forza bruta non sarebbe riuscito ad aver ragione del Leone Nemeo, dell'idra di Lerna, non sarebbe riuscito a ripulire le stalle di Augia, non avrebbe sconfitto Anteo, si sarebbe lasciato fregare da Atlante. In ogni occasione riflette e capisce il punto debole dell'avversario.

Ma anche qui siamo alla superficie. Il mito di Eracle è ovviamente un simbolo, come ogni mito. E il suo significato è profondissimo. È il cammino dell'anima dalla caduta al risveglio spirituale.

Il punto di partenza: Eracle viene indotto alla follia da Era e stermina la famiglia. Eracle è quindi il simbolo di un prescelto che però "cade" per superbia. È chi ha un grande potere ma non sa ancora padroneggiarlo. Deve espiare grazie alle Dodici Fatiche, sottoponendosi a Euristeo, il potere politico detenuto da un omuncolo. Le Dodici Fatiche sono un cammino spirituale. Le prime fatiche sono uccisioni o cattura di mostri o animali. Eracle è l'anima che deve imparare a domare la parte bruta. Oppure ripulire le stalle di Augia che significa purificarsi dal lordume interiore.

Una volta allenato a domare la parte più ferina (e l'uso dell'intelletto simboleggia questo superamento) si arriva ai viaggi che sono il superamento dei limiti: le colonne d'Ercole. Le ultime due fatiche sono le più simboliche. I pomi d'oro delle Esperidi ovvero l'iniziazione. Per averla deve letteralmente portare il cielo sulle spalle. E il cane di Ade, la fatica suprema: sconfiggere la paura della morte capendo che la morte non è la fine di tutto, ma un passaggio verso il risveglio supremo. A questo punto è libero dal governo "politico" rappresentato dall'omuncolo Euristeo perché in grado di autogovernarsi.

Lo Stato è necessario perché la maggioranza degli uomini è bambina e non sa autogovernarsi, mentre l'iniziato non ne ha più bisogno. Qui sta la differenza tra politica e spiritualità. La politica sottomette, la spiritualità libera, ma solo chi intraprende il viaggio dell'Eroe può liberarsi dalla dipendenza parentale/tirannica dello Stato

Non solo, il cammino iniziatico annulla le forze ostili e le rende amiche. Eracle in greco significa "la gloria di Era" nome apparentemente ironico se si pensa che Era lo ha fatto impazzire, lo ha sottoposto alle fatiche e ha posto mille ostacoli. Ma senza Era Eracle, ovvero l'anima, sarebbe rimasto nella sua comfort zone. Senza "gloria", senza iniziazione.

Scrive Eraclito il Grammatico nei suoi "Problemi omerici":

Mi rivolgo a Eracle. Non dobbiamo supporre che a quei tempi raggiungesse tale potere grazie alla sua forza fisica. Era piuttosto un uomo di intelletto, un iniziato alla saggezza celeste, che, per così dire, fece luce sulla filosofia, che era stata nascosta nell'oscurità profonda. I più autorevoli degli Stoici concordano con questo racconto... Il cinghiale (Erimanto) da lui vinto è la comune incontinenza degli uomini; il leone (Nemeo) è la corsa indiscriminata verso scopi impropri; allo stesso modo, incatenando le passioni irrazionali, fece credere di aver incatenato il toro violento (cretese). Bandì dal mondo anche la codardia, sotto forma della cerva di Cerinea. Ci fu anche un'altra "fatica", non propriamente detta, in cui ripulì la massa di sterco (delle stalle di Augia), cioè la sozzura che sfigura l'umanità. Gli uccelli (Sinfali) da lui dispersi sono le ventose speranze che alimentano la nostra vita; l'idra dalle molte teste, che egli bruciò, per così dire, con i fuochi dell'esortazione, è il piacere, che ricomincia a crescere non appena viene tagliato.

Buddha non cade nella violenza, ma anche lui passa una giovinezza ottenebrato dall’ignoranza e dalle passioni tipiche di un principe. Quando si imbattte nella realtà della malattia e della morte decide di affrontare le sue personali “dodici fatiche” cadendo prima nell’eccesso dell’ascetismo estremo e poi affrontando Mara, la morte, sotto l’albero della Bodhi. Le ultime fatiche dei due personaggi (la cattura di Cerbero, la lotta con Mara) sono una battaglia contro la paura della morte. Una volta vinta questa, entrambi ottengono il premio: Eracle ascende all’Olimpo, Buddha entra nel Nirvana.