Le fake news non portano mai a risultati positivi, ma questa ingiuria diffusa più di cinquecento anni fa ha aperto una vera e propria ferita nella comunità trentina, sanata solo nel 1995.
Ma andiamo per ordine. Siamo a Trento, nella centrale via del Simonino. Una breve, ma curata via del centro storico. Un ristorante, negozi di vestiti, rivenditori di tecnologia e, al numero 12, un sobrio portone di palazzo che potrebbe passare inosservato, se non fosse sovrastato da una statua raffigurante un bambino: tutti in città sanno chi è, è il Simonino, il giovanissimo protagonista, suo malgrado, di questa triste storia fatta di false accuse, ingiustizie e intolleranza religiosa. L’edificio in questione è conosciuto come Palazzo Bortolazzi Larcher Fogazzaro e, dietro la sua facciata con belle finestre quattrocentesche inframezzate da iscrizioni e figure dipinte nel Settecento, nasconde, al piano terra, un vero e proprio gioiello. Una piccola cappella, donata nel 2018 da Marina Larcher Fogazzaro al FAI perché la restaurasse e valorizzasse. Conclusi i lavori che hanno interessato anche la facciata, dal 2024 il FAI apre le porte di questo bene a tutti i curiosi e agli amanti dell’arte.
Ma perché costruire una cappella quando a cinque minuti a piedi si trova una delle chiese principali della città? È presto detto. La tradizione vuole che qui, nel Quattrocento, sorgesse la casa del piccolo Simone Lomferdorm e, in seguito al culto cittadino sviluppatosi attorno alla figura del piccolo, la famiglia Bortolazzi abbia deciso di costruirvi una cappella interamente affrescata.
L’ambiente non è grande, già dalla soglia con un colpo d’occhio si può abbracciare tutto lo spazio. Il luogo, un tempo dedicato ai fedeli, colpisce per i suoi affreschi settecenteschi: motivi architettonici che inquadrano scene che rimandano alla vicenda del Simonino. Di fronte all’ingresso si trova invece l’altare in stile barocco che spicca per il suo marmo di Mori, dall’inconfondibile color giallo oro. Sopra l’altare una cupola, sapientemente dipinta, amplifica l’altezza. Vi sono inoltre, due piccole stanze che un tempo servivano da sacrestia, ai lati dell’altare.
Dopo aver goduto della bellezza del luogo, si viene invitati ad accomodarsi e ad indossare delle cuffie. Immediatamente le lancette dell’orologio scorrono all’indietro e si è catapultati al marzo 1475. L’attrice trentina Daria Deflorian presta la voce a questo racconto sonoro che immerge il visitatore fra le pieghe della vicenda del Simonino. È il tardo pomeriggio del Venerdì Santo, quando il piccolo Simone, due anni appena, scompare da casa. Lo cercano ovunque fino a quando, tre giorni più tardi, viene trovato morto nel fossato di una casa lungo l’Adige di proprietà di un certo Samuele, uno degli esponenti di spicco della comunità ebraica della città. Le autorità di allora cavalcarono il malcontento e alimentarono la falsa credenza dell’omicidio rituale, ovvero accusarono gli ebrei di aver ucciso il bambino per ricavarne il sangue da usare nell'impasto del pane azzimo consumato durante l'imminente Pasqua ebraica.
Il podestà ne fece arrestare ben diciotto ed estorse loro delle false confessioni, torturandoli. Si interessò del caso anche il papa Sisto IV che inviò un proprio legato a far luce sulla vicenda. Questi, dopo aver condotto delle indagini indipendenti, in ogni modo osteggiato dalle autorità cittadine, si espresse apertamente contro l'ingiusta accusa. Non servì a nulla, tutti i diciotto indagati furono condannati a morte.
Dopo l'esecuzione della condanna, non si placarono certo le angherie. Lo stigma, infatti, colpì tutta la comunità che venne drammaticamente perseguitata, e, infine, espulsa da Trento. Nel mentre il Simonino divenne un martire cristiano, un beato a cui venivano dedicate anche processioni. Inizialmente questo culto era fermamente osteggiato dal Papa ma dal 1588 la Santa Sede ammise ufficialmente il culto del piccolo Simone, che, grazie alla predicazione, si diffuse anche nelle regioni limitrofe.
Molti secoli dopo, nel 1965, per insistenza di Gemma Volli, una docente dell'Università di Bologna che si era a lungo interessata alla vicenda, vi fu una revisione scientifica del processo e la sentenza di colpevolezza degli ebrei fu ribaltata. Con un decreto papale il culto del Simonino venne soppresso, e, di conseguenza, fu ordinata la rimozione delle spoglie del bambino dalla Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, la cessazione di ogni celebrazione, e la chiusura delle cappelle a lui dedicate, compresa quella di palazzo Larcher. Solo nel 1992, la comunità ebraica tornò a Trento. Sì, avete capito bene, ci vollero cinquecento anni per appianare gli effetti di questa fake news!
È una triste vicenda, indubbiamente, ma deve obbligatoriamente essere ricordata e soprattutto raccontata. È imperativo tenere viva la memoria di ciò che è stato perché non accada più. Per questo il FAI ha scelto di aprire questo bene; nessuno mette in dubbio il suo valore artistico, ma è il suo peso morale e culturale a farla da padrone. È un luogo per imparare, per educare i cittadini di oggi e di domani, e non a caso si è scelto di chiamare questo luogo non ex cappella ma Aula.