Langhe, Seconda guerra mondiale. Il vento forte scrosta la ghiaia e la fa ruscellare per la strada. È appena spiovuto e il fango, a ogni batter di piede, schizza dai fianchi. Milton arriva davanti a una villa solitaria che si erge sulla collina che degrada sulla città di Alba e dalla quale gli sembra ancora di sentir provenire la musica “insopportabilmente triste” di Over the rainbow, canzone che ascoltava sempre con la sua Fulvia. Inizia così uno dei romanzi più belli, più rappresentativi, più enigmatici di tutto il Novecento letterario italiano: Una questione privata di Beppe Fenoglio.

Quest’autore è stato oggetto di una grande fortuna editoriale, del tutto postuma. Appartiene alla classe del 1922, la generazione che è nata con il Fascismo e per la quale l’adesione alla Resistenza è stata prima di tutto una scelta di vita. Provare a raccontare questa esperienza sarà lo scopo di tutta la sua produzione letteraria: un’esperienza che si svolge in un luogo preciso, le Langhe, la terra dove lui ha sempre vissuto.

Basta conoscere anche pochi elementi della sua biografia per vedere in Milton, il protagonista de Una questione privata, il suo alter ego: nella sua figura, il fiume incessante della memoria e della personalità dello scrittore scorre senza sosta, silenzioso e impalpabile. Già il nome, infatti, è una dichiarata passione letteraria di Fenoglio per la letteratura inglese (Milton, l’autore del Paradiso Perduto), e non solo: Milton è un giovane studente universitario che milita nelle formazioni autonome della Resistenza. Ciò che più colpisce di questo personaggio è la sua immensa e desolata solitudine: la figura che si viene delineando man mano che scorrono le pagine è quella di un eroe solitario, che durante un’azione militare rivede la villa dove abitava Fulvia, la ragazza che aveva frequentato prima di arruolarsi come partigiano.

Fulvia era sfollata da Torino in quella villa sulle colline di Alba per cercare di difendersi dall’impazzare della guerra: bellissima, colta, e amante della letteratura anglo-americana, si era rivolta a Milton per farsi tradurre i versi di alcuni autori, e tra i due era nato un rapporto che, per il ragazzo, era molto più di un’amicizia. Un sentimento mai espressamente dichiarato, fatto di sguardi, di lettere, di versi poetici:

«La prossima lettera come la comincerai?» – aveva proseguito lei – «Questa cominciava con Fulvia splendore. Davvero sono splendida?» «No, non sei splendida» «Ah, non lo sono?» «Sei tutto lo splendore» «Tu, tu, tu – fece lei – tu hai una maniera di mettere fuori le parole…ad esempio, è come se sentissi pronunciare splendore per la prima volta» «Non è strano. Non c’era splendore prima di te».

E così, capitato di nuovo davanti alla villa che era stata teatro di quel sentimento, Milton non resiste alla tentazione di entrare, per sapere dalla governante che fine avesse fatto la sua Fulvia. Ed ecco arrivare la pugnalata: la donna gli racconta di un legame molto forte, facendogli chiaramente intendere che non si limitasse solo ad un’amicizia, che si era instaurato tra Fulvia e Giorgio Clerici, il miglior amico di Milton, anche lui partigiano. A questo punto, Milton perde completamente la ragione e per lui, fino a quel momento completamente dedito alla causa della Resistenza, l’unica ragione di vita diventa un’altra: ritrovare Giorgio e conoscere la verità, ovvero se tra lui e Fulvia ci fosse veramente stata una relazione. Una ricerca che lo farà perdere nello scenario nebbioso e incantato delle Langhe: Giorgio, infatti, è stato sequestrato dai repubblichini, e per poterlo liberare il protagonista andrà alla ricerca di un miliziano fascista per effettuare lo scambio. Operazione che all’inizio sembra riuscire, ma poi fallisce miseramente.

Milton continua così a vagare senza meta: il suo errare culminerà quando, ritornato per l’ultima volta alla villa di Fulvia, dove tutto era cominciato, viene sorpreso da una pattuglia di fascisti. Da qui parte una fuga forsennata, la cui descrizione merita di essere annoverata tra le pagine più belle di tutta la letteratura italiana, una disperata corsa tra i proiettili fascisti che non conosce soste o interruzioni finché:

gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto. Come entrò sotto gli alberi, questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò.

Una questione privata finisce così: un finale su cui la critica ha dibattuto e continua a dibattere, per trovarne il significato. Milton è morto o è sopravvissuto? È inevitabile chiudere il libro e continuare a chiederselo. Ma non è questo quello che importa. Quello che importa è come questo libro straordinario riesca a tenere insieme la dimensione pubblica, quindi la Resistenza, la Seconda Guerra mondiale e la speranza di uscire dal terrore nazifascista, con la dimensione privata, perché il protagonista Milton è un partigiano e vuole la liberazione dell’Italia prima di tutto perché ha un propellente straordinario, che si chiama amore.

Il primo ad aver capito la grandezza di questo romanzo, e la sua capacità di ergersi a libro rappresentativo di un’intera generazione, fu Italo Calvino, che ne parlò nel 1964, nella Prefazione con la quale ripubblicava il suo primo romanzo, anch’esso a tema resistenziale, Il sentiero dei nidi di ragno. Nella sua lettura Calvino, insistendo sulla valenza generazionale di Una questione privata, andava a sottolineare il legame profondo e indissolubile tra l’esperienza partigiana e la sua rappresentazione per un’intera generazione di scrittori e partigiani per i quali «l’entrata in guerra» aveva coinciso con «l’entrata nella vita». A partire da questa contestualizzazione, si percorreranno le due grandi coordinate tematiche che lo strutturano: la guerra e l’amore, la scelta partigiana e la folle deviazione romanzesca rappresentata dal ricordo ossessivo «delle cose di prima».

Ed è alle parole di Calvino che si deve il miglior affresco di Una questione privata:

E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l'aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione privata); e morì prima di vederlo pubblicato, nel pieno dei quarant'anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c'è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che usa stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione che va dal “Sentiero dei nidi di ragno” a “Una questione privata”. “Una questione privata” è costruito con la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l'”Orlando furioso”, e nello stesso tempo c'è la Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere. Ed è un libro assurdo, misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest'altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perché. È al libro di Fenoglio che volevo fare la prefazione: non al mio.

“Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c'è” è anche la frase che ho scelto come titolo di questo articolo, con il quale spero di avere invogliato chiunque non l’abbia ancora fatto a leggere Una questione privata. E, se devo dire la verità, un po’ vi invidio, per la tenerezza, la commozione, la meraviglia che proverete, quando leggerete per la prima volta queste pagine.