La situazione italiana nei confronti dei rapporti tra i genitori carcerati e i loro figli è problema cruciale che rivela una complessità di gestione che deve tenere in conto e tenere le fila di intrecci di non facile approccio.
Aspetti sociali, psicologici, strutturali, amministrativi, sono tutte questioni da gestire con cura, delicatezza, ma anche con una fermezza e una solida capacità contenitiva e organizzativa non indifferente.
Dalla cronaca, ma non solo, dalle conoscenze e dalle esperienze personali sappiamo quanto sia delicato il rapporto tra genitori e figli, quanto sia difficile e complesso e quanto, d’altra parte, sia fondamentale nel processo di crescita. Sempre più spesso si sente il bisogno di ricorrere a degli aiuti esterni alla famiglia per sciogliere nodi, per agevolare comunicazioni interrotte o mai nate o balbuzienti. L’essere in grado o il diventare capaci di parlarsi davvero, in modo libero e fiducioso è essenziale per provare benessere nella relazione e per trasformarsi assieme ed essere di reciproco aiuto nell’essere esistenti nella vita.
Se è questione complessa anche nelle situazioni cosiddette normali dove i temi delle identificazioni, separazioni, individuazioni sono vissuti spesso come problematici, tanto da creare inciampi paralizzanti, immaginiamo che tragedia sia quando i genitori si trovano in carcere e il rapporto coi figli è fortemente inquinato dalla lontananza, dalla vergogna, dalla disistima e dalla difficoltà di incontrarsi e confrontarsi anche su questi vissuti drammatici. Difficoltà appunto di avere uno spazio adeguato che ospiti tanto dolore del vivere.
In Italia sono stimate in decine di migliaia i minorenni che entrano in un istituto penitenziario per fare visita a un familiare detenuto. Per esattezza, nel 2021 in Italia si sono svolti 280.675 colloqui tra detenuti e almeno un familiare minorenne.
Anche a San Vittore i colloqui tra detenuti e detenute in esecuzione pena con figli minorenni sono molto numerosi (mediamente 400 al mese). I punti di transizione quali l’ingresso, i controlli, i momenti di criticità (ad esempio eventuali discussioni tra detenuto e coniuge) e il distacco (la separazione dei bambini dal genitore detenuto a fine colloquio) avvengono in spazi non adeguati che possono avere un forte impatto negativo sui minori, ma anche aumentare il disagio e il dolore nel genitore che si potrebbe sentire sempre più in colpa ed inadeguato a svolgere il suo ruolo.
Lo spazio come contenitore il più possibile adeguato ad accogliere e dare una sufficientemente buona ospitalità a questi incontri, ma anche a tanto dolore è stato l’obiettivo di attenzione e di cura che l’Associazione femminile Soroptimist si è proposta di realizzare.
Il Soroptimist International è un'associazione femminile, composta da donne con elevata qualificazione professionale che opera, attraverso progetti, per la promozione dei diritti umani, l'avanzamento della condizione femminile e l'accettazione delle diversità. Il termine Soroptimist deriva dalle parole latine soror e optima. Nato negli USA, ad Oakland, nel 1921, il Soroptimist è oggi diffuso in 132 Paesi per un totale di circa 75.000 Socie.
Il Club Milano Fondatore fu fondato a Milano nel 1928, primo in Italia. Di esso fanno parte attualmente 48 Socie, rappresentanti diverse categorie professionali. Il Club Milano alla Scala, fondato nel 1984, può contare oggi su 44 Socie impegnate in svariate attività professionali.
Il Soroptimist è presente presso importanti Agenzie delle Nazioni Unite, e presso l'OCSE. Il Soroptimist International è inoltre rappresentato, con voto consultivo, al Consiglio d'Europa e presso la Lobby Europea delle Donne.
Questo della cura dei carcerati e delle loro famiglie è l’ultimo loro impegno che le coinvolge nella realizzazione pratica degli spazi e nella ricerca di fondi indispensabili perché il sogno diventi realtà. Il progetto, condiviso con il Club Milano alla Scala, mira a:
creare un luogo ove organizzare momenti di incontro favorenti la relazione padre-madre-figli a tutela di questi ultimi;
creare uno spazio accogliente che consenta alla coppia genitoriale, e non importa che il detenuto sia padre o madre, di incontrare i figli e instaurare con loro un dialogo sereno;
arredare e decorare con immagini e colori adatti a minori, gli spazi in modo tale che possano diventare anche un luogo di crescita nella relazione genitoriale: dove organizzare momenti speciali, dove festeggiare il compleanno dei bambini, organizzare spettacoli per le festività o, anche, un pranzo con i genitori, un luogo che stimoli un atteggiamento sereno di attesa del futuro incontro;
favorire un percorso di allineamento alla relazione e al successivo ritorno in famiglia. Per le detenute ciò si caratterizza come recupero dei processi di accudimento, e per i detenuti un recupero del ruolo di padre.
Il 29 novembre presso la ex-Chiesa di San Vittore e Quaranta Martiri di Milano si è messo in scena uno spettacolo con l’obiettivo di raccolta fondi, spettacolo che vede “in pista” le donne del Soroptimist: la straordinaria ciclista Alfonsina Strada e una altrettanto straordinaria attrice che ha dato voce e anima all’impresa di Alfonsina.
È la storia di una donna che per tutta la vita non ha desiderato altro che pedalare e non scendere mai dalla sua bicicletta sperando così di fuggire lontano dalla miseria delle sue origini e di superare quel limite che la società, la cultura dell’epoca e il suo essere femmina volevano imporle.
Con la bicicletta Alfonsina ha imparato l’autonomia, il rispetto per il suo desiderio, la sfida alle regole di una società maschilista che l’avrebbe voluta costipare in un ruolo che non le apparteneva. La bicicletta è stata la sua arma per combattere contro una società retrograda e violenta, è stata il suo riscatto, la sua vittoria, in primis, come persona per l’affermazione della sua verità.
Ma l’impresa più eclatante avviene il 10 maggio del 1924, quando Alfonsina inforca la sua bici e parte per il giro d’Italia, esprimendo coraggio, determinazione e forza, andando contro corrente dei ben pensanti dell’epoca. I giornali cominceranno a parlare di lei, ma storpiandone il nome, Alfonsino, Alfonsin, non si sa se per errore o perché era impensabile ammettere che una donna partecipasse al famoso Giro, prima e ultima tra l’altro, nella storia del ciclismo.
Davvero un’impresa memorabile che dà conto della forza del sesso cosiddetto debole che non si arrende anche di fronte al colosso del potere costituito, lei è combattiva e propositiva ad ampio spettro. Si impone e ce la fa. E “in pista” per ridare vita e vigore ad Alfonsina un’altra donna piena di vitalità, l’attrice Monica Faggiani, la cui appassionata recitazione coinvolge e aiuta a immedesimarsi nella personalità della nostra ciclista. “Ho deciso di ricordarla e di onorarla nell’unico modo che so fare. Raccontando la sua storia”.
E forse Alfonsina non sa che ancora adesso è in pista con la testimonianza della sua forte determinazione e rispetto per sé stessa per dare un notevole contributo alla corsa sociale che la squadra di donne di Soroptimist stanno con passione e tenacia affrontando.
In particolare Lucia Baronio, Presidente club Milano Fondatore, che ha scoperto l’attrice e l’ha coinvolta e aiutata nella messa in scena nella chiesa sconsacrata. Un grazie anche a Francesca Tinelli di Gorla, architetto, che è la progettista delle opere di ristrutturazione nel carcere di San Vittore in collaborazione con Francesca Poli che ha scritto il libretto di sala coordinando il service. Proprio una vera squadra come sarebbe piaciuto tanto ad Alfonsina che è stata anche presa come Testimonial del Soroptimist Club International d’Italia - tema Donne e Sport.
Per tutti noi un pensiero di gratitudine e un apporto di solidarietà per questo progetto di grande umanità. E allora anche noi “in pista”…