Metodo, mèthodos, è il sentiero da percorrere per andare in un determinato luogo, per raggiungere un determinato scopo. Metodo è la strada e allo stesso tempo è il modo utile per procedere su di essa, passo dopo passo, una falcata alla volta. Chi veleggia con metodo ha più probabilità di ‘navigare miglior acque’ e di far ormeggiare la navicella del proprio ingegno a quel glorioso porto al quale vuol farla attraccare.

Metodo è l’andar dietro, il cercare, il ricercare.

La parola mèthodos nella lingua della Grecia classica era un sostantivo femminile e voleva dire ricerca, investigazione, indagine. Era il modo per investigare. Chi vuole cercare deve possedere una via e andare oltre la via stessa. Deve riconoscere un sistema di riferimento e valicarne i confini, andarne al di là, perché il metodo non è legge, non è schema rigido, non è standard. Chi vuole trovare, in definitiva, si deve perdere.

Come quando ti avventuri in zone non note della città e ti smarrisci per poter rintracciare le tue impronte, per riscoprirti in grado di uscire dalla corte nascosta, dal sentiero ombroso, dal passaggio che sembrava non avere prospettive di fuga.

Nella parola mèthodos si annida la parola hodós, che voleva appunto dire via, strada, cammino e anche viaggio, gita, marcia. Strada è insieme mezzo e fine, strumento e scopo, percorso e direzione.

Per analizzare la complessità del mondo, della società, dei contesti nei quali viviamo, per esaminare la tua complessità, le tue emozioni, le tue sfumature, le tue molteplici identità, hai bisogno di metodo, di una strada, di un percorso.

La méthode e l’a-méthode del filosofo Edgar Morin

La parola metodo, in francese, è femminile: a Parigi ‘il’ metodo si dice ‘la’ méthode. Da qui, da questo saltare da una lingua a un’altra, da questo valicare le Alpi, da questo cambio di genere possiamo iniziare a riflettere sul metodo in sé.

Edgar Morin, il filosofo francese che da decenni ci aiuta a interpretare i nostri tempi osservando la realtà contemporanea attraverso le lenti della complessità, su la méthode aveva giocato linguisticamente, asserendo che la méthode è al contempo anche l’a-méthode, l’assenza di metodo. In francese, il gioco di parole funziona particolarmente bene.

Quando la lettura dei contesti e delle situazioni si sviluppa ‘nell’ignoranza, nell’incertezza, nella confusione’, il metodo rappresenta anche la sua assenza. Come nel pensiero orientale, laddove il vuoto diventa un altro modo per rappresentare il pieno. La negazione del metodo - in cui l’ignoranza, l’incertezza, la confusione ‘diventano virtù’ - è per Morin il modo per procedere con metodo nell’analisi della realtà.

Per farci comprendere il concetto, il filosofo che innerva il nostro pensiero nel leggere la complessità cita un poeta spagnolo: Antonio Machado, autore della celebre lirica Caminante, no hay camino.

Camminatore, non c’è cammino
Si fa il cammino nell’andare.

E così, propone Morin, non c’è metodo, c’è solo a-metodo, perché il metodo si fa nell’andare, nel procedere, nel rimboccarsi le maniche, nell’uscire dalle zone di comfort, nel provare il brivido dell’esplorare contesti ignoti. Il cammino così diventa la meta, l’andare anche senza un metodo diventa il metodo in sé. Con tutte le incertezze, le vertigini, le contraddizioni dell’incedere umano.

Precisa Morin: ‘Il dubbio cartesiano era certo di sé stesso. Il nostro dubbio dubita di sé stesso’. A noi claudicanti camminatori del XXI secolo non resta che metterci in cammino per cercare di comprendere il metodo e la sua negazione, non ci resta che andare: compiere qualche passo, contemplare il panorama, guardarci i piedi per riconoscerne e accettarne le piaghe sulle piante, osservare i punti cardinali a partire dalla posizione del sole, aggiustare il percorso, ripartire con il cuore che tracima di paura e di speranza. Già, di paura e di speranza. Sì, di paura e di speranza.

Oltre Cartesio, oltre il suo determinismo

Chi studia la complessità guarda con interesse, prudenza e circospezione al pensiero di René Descartes, in italiano Renato Cartesio, filosofo francese vissuto nel Seicento, famoso per il motto cogito ergo sum, penso e dunque sono.

Cartesio ha elaborato il pensiero razionalista, secondo cui, in base alla scienza, dato un input non può che esserci l’output atteso, separando così in modo netto la scienza dalla filosofia (e quindi da ciò che è connesso con lo spirito). Per parlare di metodo è fondamentale stringere la mano e guardare negli occhi monsieur Descartes.

La sua teoria è esposta per l’appunto nel volume Discorso sul metodo, pubblicato per la prima volta nel 1637. Sono molteplici le ragioni per le quali le persone che si appassionano alla complessità considerano limitato e fuorviante il pensiero di Cartesio e la natura riduzionista e meccanicistica del suo approccio (quando si affrontano questioni complesse).

René Descartes sosteneva appunto che i fenomeni complessi potessero essere compresi scomponendoli nelle loro parti più semplici. La teoria della complessità invece suppone che i sistemi complessi non possano essere completamente compresi solo analizzando le loro componenti, poiché le interazioni tra le parti generano comportamenti emergenti che non sono prevedibili dalle singole parti. Il tutto è più della somma delle parti e il tutto è inconoscibile dallo studio delle singole parti. Il branco di pesci è più della somma dei singoli pesci: il branco è un sistema che possiede una propria vita, interconnessa a quella dei singoli pesci, ma appunto autonoma.

Leggi, norme e criteri

Potrà essere promulgata un giorno una legge della complessità? No, le leggi non sono proprie dei sistemi complessi, dove tutto è movimento, dove l’incertezza è sovrana, dove ci si muove all’orlo del caos, dove l’impredicibilità è di casa. Le leggi non si addicono ai contesti complessi, se le norme stanno a indicare rigidità e stasi.

La parola legge ha come antenato il latino lēx, lēgis e probabilmente appartiene alla stessa famiglia del verbo legĕre con il significato di ‘enunciare’, nel significato di ‘enunciato solenne’. La parola norma ha invece come antenato il sostantivo greco gnōmon che indicava la ‘squadra’, il ‘regolo’, l’‘asta regolata’ che serviva per fare di conto e per misurare.

Non esistono leggi e norme per giudicare i fenomeni complessi, ma criteri e modelli sì. Il criterio evoca l’idea di una guida, di un principio che orienta i nostri punti di osservazione sulla realtà. La parola criterio è un prestito latino di origine greca: ad Atene kritérion era sia ‘facoltà di giudizio’ sia ‘corte di giustizia’ e questo sostantivo era collegato al verbo krino che significava ‘separo’, ‘giudico’, ‘scelgo’ (da cui l’italiano discrimine). Il criterio è una bussola che aiuta a trovare la rotta quando si è in navigazione.

Il sostantivo modello e il verbo modellare, tanto cari a quei fisici che analizzano i sistemi complessi, sono parenti del modulo: loro antenato comune era il latino modŭlus, che significava ‘misura’, ‘cadenza’, ‘misura metrica’ e anche ‘melodia’. Si tratta di un diminutivo di modus che in italiano ha generato la parola modo, cioè l’aspetto di un’azione. Ecco, per abbracciare la complessità, abbiamo bisogno di qualche buon criterio e di qualche buon modello. Per non perderci nei rivoli della vastità dei concetti.