Poiché mi reco regolarmente da Vienna (dove vivo) a Beirut (città d’origine di mia moglie), mi è capitato spesso di far sosta a Istanbul, dove l’aereo fa scalo. Posso quindi dire di conoscere abbastanza bene la città, e di averne potuto osservare i mutamenti nel corso degli anni.

Per parlare dell’antica capitale ottomana ho scelto in questo articolo di seguire le orme di Pierre Loti, lo scrittore francese (1850 – 1923), che tanto l’amò e alla quale tanti scritti dedicò, a cominciare dal romanzo autobiografico Aziyadé, pubblicato nel 1879.

Aziyadé

La trama del romanzo è presto riassunta: Salonicco, primavera del 1876. Passeggiando per la città, il tenente della marina Loti incrocia per caso, dietro le grate di un harem, lo sguardo di una splendida ragazza circassa, di nome Aziyadé. Un vagabondo ebreo lo aiuta a conoscerla, e i due giovani intrecciano una tenera passione clandestina. Nel giro di poco però la nave su cui il tenente presta servizio deve salpare e Loti si reca nella capitale dell'Impero Ottomano, nota allo stesso tempo come Costantinopoli e Stamboul, a cavallo tra il Bosforo, il Corno d'Oro e il Mar di Marmara e, all'epoca, vera capitale dell'Oriente.

La prima fase del soggiorno di Pierre Loti a Istanbul trascorre in attesa di Aziyadé, che aveva promesso di raggiungerlo in autunno nella città dove il suo “padrone” intendeva trasferirsi per affari. Il futuro scrittore affitta una casa in una zona appartata di Pera – il quartiere degli europei, dei levantini e delle minoranze cristiane – con vista sul Corno d'Oro. Loti si rende presto conto che il vero cuore della città è l'antica Stamboul, dove sorgono le grandi moschee e il palazzo imperiale di Topkapi, che gli appare di fronte dalla finestra di casa («in alto nell'aria, dapprima nella vaga lontananza, prende forma qualcosa di gigantesco, l'incomparabile profilo della città»). Comincia quindi ad esplorarla, a piedi, a cavallo, in carrozzella o utilizzando i caicchi, sorta di imbarcazioni lunghe e sottili a forma di mezzaluna che, in questa città circondata dall'acqua, si trovano a centinaia su tutte le banchine. Per meglio calarsi nella magica atmosfera dell'antica capitale d'Oriente inizia ad indossare il caftano e il fez, a fumare il narghilé, a frequentarne i caffè. Finisce per installarsi a Eyüp, un sobborgo all'estremità del Corno d'Oro, "cuore dell'Islam in Europa", che prende il nome da Ayoub, discepolo del Profeta, qui morto nel 670 durante una spedizione araba sotto le mura di Costantinopoli (dopo la conquista della città nel 1453 da parte degli Ottomani, Mehmet II il Conquistatore vi farà costruire in suo onore un grande mausoleo e una moschea, rendendo l'area un luogo sacro sede di grandi cimiteri).

Sarà ad Eyüp che Aziyadé ritroverà Loti, per tornare a vivere insieme a lui le notti, all’insaputa del suo “padrone” e approfittando delle sue frequenti assenze per affari. Aziyadè, che lo ama al punto di trattarlo come un sultano, come un dio, è una donna, nelle parole di Loti, che «parla poco; sorride spesso, ma non ride mai» ; «il suo passo non fa rumore; i suoi movimenti sono flessuosi, ondulati, tranquilli, e non si sentono; comunica i suoi pensieri più con gli occhi che con la bocca; è capace di prendere da sola decisioni estreme e di portarle a termine costi quel che costi».

Ma l'amore non poteva ritardare il momento della separazione. Loti finì per partire, poiché la professione d’ufficiale di marina a cui si era dedicato lo richiedeva. Pierre Loti lasciò Istanbul nel marzo del 1877, in coincidenza con la guerra scatenata dalla Russia contro l’impero ottomano per espellerlo dai Balcani. Poco dopo Aziyadè muore e il protagonista - nel romanzo, non nella realtà biografica dello scrittore - roso dai rimorsi, cade combattendo contro gli invasori russi al fianco delle truppe ottomane.

Per la cronaca: Loti, divenuto nel frattempo famoso scrittore di viaggi, tornò ad Istanbul dieci anni dopo, nel 1887, alla ricerca del suo perduto fantasma d’amore. Ma tutto quel che trovò fu una stele funeraria nel cimitero, col nome della sua amata. Si sdraiò dolcemente e abbracciò la terra nel punto in cui immaginava fosse il volto della morta. All'improvviso l'immagine di Aziyadé prese quasi vita davanti a lui. Sentì qualcosa che fluttuava, «qualcosa come un'essenza di lei».

In uno di miei soggiorni a Istanbul presi il battello per Eyüp, alla base del ponte di Galata. Giunto in fondo al Corno d’Oro mi inerpicai per la ripida salita che porta alla sommità del quartiere, trovandolo poco cambiato rispetto a come Loti lo descrisse nel suo romanzo. Visitai anche lo sterminato cimitero, ma fra le migliaia di tombe mi fu impossibile trovare quella di Aziyadé.

Loti scrittore “orientalista”?

Confesso di avere affrontato il romanzo con una certa riluttanza. Lo scrittore, un tempo famosissimo in tutta Europa (al suo Madame Chrysanthème si ispirò Puccini per la Madama Butterfly), non gode piu’ del favore dei lettori e dei critici. Temevo di trovarvi un esempio di facile esotismo belle époque, fatto di mezzelune finte e palmizi incrociati su sfondi di cartapesta. In realtà, pur se viene generalmente definito “maestro del romanzo esotico” Loti è scrittore modernissimo. Il suo stile nervoso e impressionistico sembra quasi anticipare quello di altri, piu’ recenti scrittori di viaggi quali Jack Kerouac e Bruce Chatwin. Nel romanzo il giovane Loti, in abiti orientali, febbrilmente immerso nei suoi amori notturni e clandestini con Aziyadé, fra il vociare della grande città sul Bosforo, sembra quasi uno “hippie” ante litteram.

Quando apparve, Aziyadé, la prima opera di Loti, non suscitó grandi entusiasmi fra i lettori e i critici letterari, sconcertati da un romanzo fatto di scene sovrapposte e quasi privo di trama. Esaminando Aziyadé, Roland Barthes notò le caratteristiche moderne dell'opera: «Un uomo ama una donna, deve lasciarla, muoiono entrambi. Ciò che viene raccontato non è un'avventura, ma degli incidenti: una passeggiata, un'attesa, un'escursione, una conversazione...». Insomma, poco a che vedere con l'esotismo, e la sua variante, l’orientalismo, vere “malattie infantili” dell’immaginario occidentale di ogni tempo.

E mi sia permessa qui una digressione: a grandi linee per “esotismo”, deve intendersi quel fenomeno culturale sviluppatosi in Europa soprattutto a partire dal XVIII secolo e grandemente diffuso specialmente dopo il Romanticismo, che tende ad esaltare ed imitare, specie nell'arte, forme e suggestioni di paesi lontani. Quanto alla sua variante, l’orientalismo, deve intendersi specificatamente come l'imitazione o la rappresentazione in opere occidentali di aspetti delle culture del grande Medio Oriente, dalla Turchia e l’Egitto all’Asia centrale. In questo fenomeno culturale l'Oriente diventa metafora, geografia immaginaria, finzione storica, assumendo le forme di una vita intensa e voluttuosa (nel suo libro Orientalismo del 1978, in linea coi nostri tempi, e un po’ riduttivamente, il critico culturale americano-palestinese Edward Said lo ridefinì come un atteggiamento culturale paternalistico, espressione del colonialismo e dell'imperialismo occidentali d’epoca moderna).

Nel complesso della sua opera, Loti va al di là dell’esotismo, e piega i suoi schemi alle esigenze dell’analisi psicologica e di un sottile disegno simbolico. La sua narrativa, che si ispira alle sue esperienze di viaggio (oltre alla Turchia, Tahiti, l’Indocina, il Giappone, l’Islanda, il Senegal, il Marocco, la Cina), salda efficacemente i motivi autobiografici al gusto dell’intreccio avventuroso e della descrizione naturale. Egli s'immerge nella cultura del paese dove viaggia e la studia. La visione che ha degli altri non è intellettuale ma sensitiva, si lascia cioè trasportare dalle sensazioni provate, senza pregiudizi. I tocchi impressionistici hanno sempre la precedenza sulla forma delle cose, traducendo la visione in immagini emozionali colorate dai ricordi.

Pierre Loti e la Turchia

Tra tutti i paesi visitati Loti privilegiò la Turchia, che considerava la sua seconda patria. Egli sente un grande fascino per l'impero ottomano, dove, a suo modo di vedere, la tolleranza si confonde con la sensualità. La turcofilia di Loti è germinata nella relazione d'amore con Aziyadé agli inizi della sua carriera di scrittore. L'impressione di immutabilità che la Turchia gli offre, lontana dai tumulti della civiltà europea, è alla base del suo attaccamento a questo Paese. Idealizzando «questa immobilità, questa indifferenza allo scorrere del tempo, questa saggezza gentile, che si può trovare solo nei paesi islamici» Loti scriverà : «i nostri agguerriti democratici in Occidente potrebbero prendere lezioni di fratellanza da questo paese dignitoso, che non riconosce caste né pratica distinzioni sociali». La Turchia gli appare come l'ultimo rifugio delle virtù patriarcali che stanno scomparendo nel mondo moderno: «la lealtà, l'onestà senza macchia, l'amore dei figli per i genitori, l'ospitalità inesauribile, l'eleganza morale e la delicatezza innata, anche tra i più umili».

A questo riguardo, Loti mostra la sua preoccupazione per la rapida modernizzazione di Istanbul e per gli effetti deleteri del turismo di massa (l'Orient-Express collega direttamente Parigi alla capitale ottomana dal 1889). Teme soprattutto che la città si occidentalizzi e sprofondi nella banalità, nell'agitazione e nella bruttezza.

Ritroviamo ancora Loti a Costantinopoli nel 1910 e poi nel 1913, ai tempi delle guerre balcaniche, quando s’indigna per lo smantellamento dell'impero ottomano propugnato dalle potenze occidentali. La successiva sconfitta nella Prima guerra mondiale sancisce la catastrofica caduta dell’impero, dopo cinquecento anni di storia. Ammonisce lo scrittore poco prima di morire, quando le sorti della Turchia ancora apparivano incerte, e le potenze vincitrici minacciavano di respingere i suoi abitanti verso le steppe dell’Asia centrale da cui provenivano : «capirà l'Europa che Stamboul, che oggi si trova di fronte a una terribile minaccia, è un luogo sacro di storia, arte e poesia?». Sopravvissuta ai tempi difficili, la Turchia moderna non dimenticò il suo difensore e gli dedicò una via, la “Piyer Loti caddesi” nel centro storico di Istanbul. Lapidi commemorative furono inoltre apposte sulle case in cui abitò.

Per concludere

Scrittore amato e celebrato come pochi altri durante la sua vita, Pierre Loti e la sua opera appartengono ormai al passato, e il periodo di eclissi iniziato dopo la sua morte perdura ancora oggi. D’altronde, il ritratto che gli fece il Doganiere Rousseau quando lo scrittore era all’apice del successo, e in cui è raffigurato col fez su uno sfondo di fumanti ciminiere industriali, già ironizzava sottilmente sul suo esotismo un po’ fuori tempo.

Nel mio articolo, ho cercato di “riabilitarlo”, nonostante i suoi manierismi, i suoi buffi travestimenti, la sua radicale alterità rispetto all’attuale mondo globalizzato. Ho cercato inoltre di mostrare che Istanbul, nonostante il progressivo imbruttimento causato dalla modernizzazione (oggi è anche una megalopoli di 15 milioni di abitanti, col centro assediato dai palazzoni di cemento) e l’ “overtourism” preconizzati da Loti conserva ancora la stessa grandiosa silohuette e lo stesso fascino di “città regina dell'Oriente” dei tempi dello scrittore. Così facendo, spero solo di non essere io stesso caduto nell’insidiosa trappola dell’orientalismo…