Avendo trascorso le vacanze estive a Sanremo, non potevo non andare a pagare un reverente tributo ad uno dei miei autori preferiti, Jean Cocteau, nella vicina Costa Azzurra.
Jean Cocteau è uno degli artisti più completi e complessi della sua generazione: romanziere, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, pittore, librettista di opere e balletti, regista teatrale e cinematografico e soprattutto poeta, sempre e comunque poeta, in tutti i multiformi aspetti della sua straripante versatilità espressiva.
A rendermelo particolarmente simpatico è poi l’ostilità che gli riservarono i surrealisti francesi e il loro gran sacerdote André Breton. Questa conventicola di mediocri rimasticatori di formulette freudiane e marxiste1 non volle ammettere, per rigidità dottrinaria e per motivi ideologici e politici, che il vero e unico “surrealista” era proprio Cocteau, con la sua onirica rivisitazione dei miti classici e la commistione di forme d’avanguardia con la grande tradizione letteraria francese. Del resto, Cocteau fu in buona compagnia: gli strali dei surrealisti si rivolsero anche contro altri artisti, quali De Chirico, Savinio o Dalì che negli stessi anni seguirono un simile percorso fra avanguardia e ritorno all’ordine, mito antichizzante, estetica neobarocca ed onirismo. E che come lui, non furono comunisti…
Cocteau e Villefranche
Eccomi dunque alla ricerca di Cocteau in quella Costa Azzurra che tanto amò e frequentò e che tanto lo ispirò, cominciando da Villefranche-sur-Mer.
Cocteau vi giunse nel 1926 e s’installò nel modesto hotel Welcome (già caserma dei bersaglieri al tempo in cui Nizza era parte del Regno di Sardegna), sul porto, con vista sulla rada e l’antistante Cap Ferrat. In quell’epoca la rada di Villefranche, con i suoi cinquanta metri di profondità era frequentata da navi da guerra francesi e, soprattutto, americane.
Così la descrissero gli ultra snob fratelli Klaus ed Erica Mann (figli del più famoso Thomas) nel loro Il libro della Riviera del 1931:
È la prima località dopo Nizza, raggiungibile da lì con l'autobus, il tram o il treno in un quarto d'ora scarso. La cittadina è situata in una insenatura, dove c'è sempre il sole e d'inverno è particolarmente mite e gradevole. È costruita, a forma di anfiteatro, a ridosso della montagna, così che tutte le sue strade salgono ripide. Sopra si trova la piccola Mairie e la chiesa. Giù al porto, il lungomare dove vengono continuamente riparate le reti brune, e una piazza dove spesso, la mattina, c'è mercato. Villefranche è tranquilla, quasi morta, se per caso nel porto non è ancorato un battello. Allora quei bar, dove siamo spesso stati gli unici avventori, si riempiono. Quando il battello riparte, il luogo sprofonda nuovamente nella pace più totale. Le strade sono molto sporche e strette, spesso si chiudono a volta. Ci sono una gran quantità di gatti e di bambini piccoli; ambedue sembrano vivere della sporcizia. Molte persone anziane capiscono solo l'italiano.
Quanto all’albergo frequentato da Cocteau:
Qui è situato il Welcome-Hôtel, l'unico da prendere in considerazione. A prezzi modici, offre uno stile insolito e particolare: un miscuglio di stravagante bohème anglosassone-parigina e atmosfera familiare piccolo borghese. Tra l'altro lo ha "scoperto" Cocteau. Vi si incontrano giovani poeti americani e vecchi bourgeois francesi bisognosi di riposo.
Per anni, il Welcome fu la seconda casa di Cocteau. Da quando Villefranche era anche il porto d'immatricolazione della Sesta flotta americana, era piena di marinai in libera uscita, e a Cocteau, la cui omosessualità era ben nota, i marinai piacevano parecchio. Il poeta, incoronato da una nuvola di oppio (Cocteau non teneva nascosta neanche questa sua dipendenza), troneggiava sul suo balcone come se stesse a teatro. Sotto si agitava una folla di venditori ambulanti, di marinai, di prostitute marsigliesi. Quando la flotta era nel porto, un baccano infernale invadeva l'albergo. Cocteau descrisse la confusione scatenata dalla partenza del Pittsburgh, nave da guerra della marina americana:
Abito in un luogo bizzarro [l'hotel Welcome], una scatola completamente sospesa agli ultimi rami di uno sfolgorante albero di Natale. Al primo piano dell'albergo, i marinai si azzuffano e ballano la danza del ventre giorno e notte. Il solo jazz che ascolto è la grancassa; è come se stessero stampando un giornale in cantina... La partenza del Pittsburgh fu come un sogno, al suono di una Marsigliese dal ritmo lento, con dodici fari puntati sulle prostitute sconsolate alle finestre dell'hotel.
E in una poesia, così descrisse la sua stanza:
Le balcon donne sur la mer.
La chambre avec balcon s’envolait sur la mer.[il balcone dà sul mare.
La stanza col balcone s’involava sul mare.]
Jean Cocteau non avrebbe mai creduto a quel tempo che, una trentina d'anni dopo, avrebbe decorato le mura di Saint-Pierre, una piccola cappella romanica situata di fronte all'hotel, che era stata trasformata in un capannone di reti di pescatori.
Scrisse al riguardo Cocteau:
Sono dieci anni che parlo di questo progetto. I pescatori hanno impiegato sei anni per rimuovere le reti, i sacchi e le ancore. Io stesso sono rimasto sbalordito dalla scoperta di una squisita architettura romanica che giaceva dormiente sotto la polvere. Dopo due mesi di lavoro per consolidare le volte e le pareti lebbrose, ho iniziato il mio lavoro, che consisteva nel decorare la cappella in due stili: uno stile architettonico basato su “geometrie” immaginarie e uno stile figurativo con scene della vita di San Pietro e della mitologia marittima.
Al tempo della decorazione della cappella (1956) Cocteau era onusto di gloria, membro dell’Académie Française, circondato da una corte di amici fra cui Pablo Picasso e il torero Dominguín, giurato permanente al festival del cinema di Cannes, ricevuto da capi di Stato, star dello spettacolo e nobildonne.
Nel 1949 la socialite Francine Weisweiller incontrò il poeta durante le riprese del film tratto dal suo romanzo Les Enfants terribles e lo invitò a riposare nella sua villa di Cap Ferrat. Dopo qualche giorno Cocteau, che non sopportava l'ozio, le chiese di poter affrescare le pareti della villa, ispirandosi alla mitologia greca, alle Bagnanti di Renoir, ai disegni di Pisanello e a temi specifici della Costa Azzurra. Fino alla fine della sua vita (1963), Cocteau trascorse lunghi periodi a Villa Santo Sospir, che diventò il suo rifugio prediletto sulla Costa Azzurra.
Villefranche oggi
La cittadina non è esteriormente troppo cambiata dai tempi in cui la frequentò Jean Cocteau in gioventù: restano intatte le case d'un rosa o d'un giallo carnali che si affacciano sul mare, e la rada che riluce magnifica sotto il sole con acque quasi turchesi fra il verde dei pini. Quella che è cambiata è l’atmosfera. Come tutte le località della Costa Azzurra è tirata a lucido, niente più gatti randagi né bucato steso sui fili da una finestra all'altra o prostitute informi affacciate sui pianerottoli. E di italiano non c’è niente, a parte lo stile architettonico ligure delle case. Sul porto, una fila di ristoranti mediamente mediocri e cari e in piazza, al posto del mercato, un brocantage dai prezzi non certo modici.
E ho il sospetto che i pochi mucchietti di reti da pescatore e lo sguarnito banchetto di pesce fresco siano stati messi lì dall’ufficio del turismo… Non so se vi attraccano ancora le navi da guerra, io ho visto solo lussuosi yachts e barche a vela.
Restano però i due luoghi simbolo dei soggiorni di Cocteau: l’hotel Welcome, oggi rispettabilissimo tre stelle, e la cappella di Saint-Pierre, che ancora appartiene alla locale corporazione dei pescatori. La facciata è affrescata a trompe l’oeil. Nel coro si trova una composizione che mostra San Pietro che viene liberato dalla prigione da un angelo e l'abside mostra il santo che cammina sulle acque. L'altare è ricavato da un unico blocco di pietra, anch’esso decorato da Cocteau.
Quanto alla Villa Santo Sospir su Cap Ferrat, pur essendo monumento storico protetto, è privata e non si può visitare. Ne ho visto le decorazioni su un libro e mi sono parse piene di grazia.
Mentone
Altro luogo privilegiato della frequentazione di Cocteau in Costa Azzurra è la vicina Mentone. Nel municipio Jean Cocteau decorò le pareti della sala dei matrimoni con affreschi ispirati al mito di Orfeo. Nel 1957, mentre lavorava alle decorazioni per la sala matrimoni lo scrittore notò un bastione abbandonato del XVII secolo tra il porto e la Promenade. Il sindaco dell'epoca gli propose di trasformarlo in un museo per le sue opere e l'artista, affascinato dal luogo, accettò. Seguì con attenzione ogni dettaglio di questa creazione, dalla decorazione delle feritoie del primo piano a quella del frontespizio, senza dimenticare il pavimento del piano terra realizzato in mosaico di ciottoli. Inoltre, scelse le opere da esporre. Purtroppo, Cocteau non vide mai completata la sua ultima opera a Mentone e il “Musée du Bastion de Jean Cocteau” fu inaugurato nel 1966, alla presenza dell'amica di sempre Francine Weisweiller.
Nel 2011 fu inaugurato a Mentone un altro Museo Jean Cocteau con opere della Fondazione Wunderman. Costruito dalla solita Archistar demente, posto fra la Promenade sul mare e la sovrastante città vecchia, assomiglia a una grande dentiera ed è un vero pugno in un occhio. Chissà cosa ne avrebbe detto Jean Cocteau, amante della tradizione ma anche sempre aperto al nuovo. Da quel che ne so il museo, a causa di un'alluvione avvenuta nel 2018, è rimasto gravemente danneggiato e pertanto resterà chiuso a tempo indeterminato (una punizione divina?). Tutta la collezione è stata trasferita nell’adiacente Bastione.
Conclusione
E per concludere questo pezzo, voglio fare il passo più lungo della gamba: dopo aver tanto parlato di poeti nei miei articoli oso, io che poeta non sono, riprodurre una poesia che ho scritto sull’argomento (chiedendo venia al lettore indulgente):
Villefranche
Il Welcome hotel esiste ancora
così come resiste la tua stanza
-la prima dall’alto a sinistra?
da cui ancora fuoriesce
nube azzurrina d’oppioUn train bleu2 trafigge
il costato della montagna,
saranno giunti i conti di Beaumont 3?Je reste avec vous 4
avevi detto
è vero, penso
mentre la conca s‘infiamma
nell’eterno ritorno di un tramonto5.
Note
1 Fanno naturalmente eccezione Paul Eluard e Louis Aragon, due veri poeti, la cui opera trascende l’esperienza surrealista.
2 Il lussuoso treno che collegava Parigi alla Costa Azzurra. È anche il titolo del libretto scritto nel 1924 da Jean Cocteau per un balletto dei Ballets Russes.
3 Édith ed Étienne de Beaumont, amici, ammiratori e mecenati di Cocteau.
4 L’epigrafe che Cocteau volle per la sua tomba.
5 L'Éternel Retour è il titolo di un film di Cocteau del 1943, versione in costumi moderni della leggenda di Tristano e Isotta .