Quando ci andai per motivi di lavoro, il Paraguay era per me un’entità sconosciuta, nonostante le mie numerose frequentazioni del Sud America. Abituato all’atmosfera plumbea e opprimente delle altitudini andine, o al senso di claustrofobia provocato dall’“inferno verde” dell’Amazzonia, mi ritrovai invece in una città-giardino, Asunción, circondata da un paesaggio arcadico di dolci colline, vallette ammantate di nebbie azzurrine e mandrie al pascolo. Scoprii inoltre che si trattava di un paese molto interessante, grazie soprattutto alla sua peculiare storia e alla sua cultura, specie letteraria.
La cultura guaraní
La sua popolazione indigena, Guaraní, era stata, in epoca precolombiana la più numerosa e progredita della regione. All’arrivo degli spagnoli, invece di condurre la guerra contro i conquistatori, i Guaraní accettarono la loro alleanza e, attraverso un vasto e sistematico incrocio di sangue, la conversione alla fede cattolica e l’insediamento in villaggi e reducciones, si sottomisero pacificamente al nuovo ordine di cose. La cultura paraguayana è il risultato della coesistenza delle due culture.
La lingua guaraní è tuttora correntemente parlata e usata nei documenti ufficiali. Quando chiedevo ai miei interlocutori – in genere scafati poliziotti antinarcotici o zelanti burocrati – informazioni su di essa, suscitavo invariabilmente la stessa reazione: sorrisi estasiati e occhi che si perdevano nel vuoto. «Es tan hermosa!» mi dicevano tutti. Tali erano l’amore e l’ammirazione che sentivano per la propria lingua ancestrale.
A ragion veduta: le parole del guaraní mostrano una meravigliosa concatenazione di concetti. Ogni parola è una metafora compressa all'estremo e per tradurla letteralmente in altre lingue si deve usare una frase intera.
Qualche esempio: Yvítu, vento, è "respiro della terra"; pora, bella, è "simile a un fiore"; tesay'i, pupilla, è "seme degli occhi", ecc.
Prima della Conquista, la maestosità e la potenza espressiva della lingua alimentavano la natura naturalmente poetica dei Guaraní. Il poeta raggiunse uno status eccezionale, paragonabile a quello del guerriero e del payé (sacerdote). Le assemblee politiche erano tornei di oratoria, e per la nomina dei caciques si teneva conto non solo del coraggio ma anche dell'eloquenza.
Dopo l’arrivo degli spagnoli, i gesuiti avevano reso pubblica la loro ammirazione per il guaranì: «Questa lingua è senza dubbio una delle più copiose ed eleganti che il mondo riconosca (…) non ha nulla da invidiare in artificio ed eleganza al greco o al latino...» scrisse uno di loro nel ’700.
Le missioni gesuite
E questo mi permette di introdurre un’altra delle peculiarità del Paraguay, la presenza per l’appunto dei gesuiti. Durante l’epoca spagnola il paese ospitò le famose missioni di quest’ordine religioso, elogiate dai filosofi illuministi come "utopia socialista" che proteggeva i Guaraní dallo sfruttamento degli encomenderos spagnoli, ma viste da altri come strumento per rendere gli indigeni una forza lavoro più efficiente tramite una severa disciplina. Al riguardo, il dibattito fra gli storici è ancora aperto.
Se alcuni hanno riscontrato tracce del modello gesuita nell'Utopia di Tommaso Moro, ne La città del sole di Tommaso Campanella o ne La Nuova Atlantide di Francesco Bacone, per altri l’organizzazione dei popoli guaraní da parte dei gesuiti fu una creazione originale. In ogni caso essa dimostra come, senza ricorrere alla violenza e solo con la predicazione e la persuasione, fosse stato possibile disciplinare un’intera società e trasformare radicalmente le sue abitudini culturali.
Il Dr. José Gaspar de Francia
Dopo l’indipendenza dalla Spagna, il Paraguay venne governato, dal 1814 al 1840, dal Dr. José Gaspar de Francia, “Dittatore Supremo e Perpetuo”, che lo transformò in quello che alcuni considerano il primo Stato totalitario della storia. Per sua decisione, il Paraguay venne letteralmente sigillato per 25 anni: nessun abitante poteva lasciare il paese, sotto pena di morte, e nessun straniero poteva varcarne i confini. Questa clausura rappresentó un esperimento straordinario, assimilabile, per le sue numerose analogie, all'esperienza gesuitica. Francia concentrava tutti i poteri nella sua persona: comandava, legiferava e giudicava. All'incarcerazione degli oppositori seguiva la confisca dei beni. I prigionieri rimanevano nelle segrete per anni senza conoscere i motivi della loro detenzione e venivano infine passati per le armi. Imposta una completa autarchia economica, lo Stato divenne, in seguito alle confische, anche il principale proprietario e produttore del paese.
Francia fu un ideologo che si ispirò a Rousseau. Il Contratto sociale giustificava, infatti, la sospensione del "sacro potere delle leggi" quando la salute della patria lo richiedeva. In alcuni casi, per garantire la sicurezza pubblica, secondo il pensiero di Rousseau, veniva nominato un "capo supremo" con poteri di vita e di morte (con buona pace dei tanti ammiratori ed epigoni del pensatore ginevrino che ancora esistono in Italia e in altri paesi…). Personalmente, il Dr. Francia era diverso dai truculenti caudillos a cui ci ha abituato il “romanzo del dittatore” latinoamericano: la sua gran passione era la lettura (Voltaire, Rousseau, Montesquieu), era celibe, senza amici nè amanti, non indossava rutilanti uniformi militari e viveva in una modesta abitazione fuori dalla capitale.
Yo el Supremo
Mi sono dilungato su questo strano personaggio perché ad esso è stato dedicato Yo el Supremo, romanzo del più importante scrittore del Paraguay, Augusto Roa Bastos.
Il romanzo, pubblicato nel 1974, è una magistrale meditazione sul potere onnipotente del tiranno. Alla storia reale (quella degli storici) si affianca un universo immaginario che è in qualche modo più reale della realtà.
Il romanzo è considerato un capolavoro della letteratura universale, non solo latinoamericana. Questa creazione titanica e delirante è composta da documenti, interviste, tradizioni e memorie collettive del popolo e cosmovisioni ancestrali guaraní. L'opera contiene testi reali e apocrifi, amalgamati con notevole genialità. È un romanzo che si svolge nella storia e che parla di un personaggio storico, ma è straordinario soprattutto nella sua gestione tecnica, è un grande romanzo di tecnica letteraria.
Allo scrittore non piaceva che si dicesse che era un romanzo storico, per lui non era un romanzo storico. Roa scrisse che la sua opera era costruita con simboli, miti e diversi livelli di significato e che si trattava di “una sorta di immersione nel terribile incubo del potere assoluto”. Si può dire che in questo romanzo ci sia una contaminazione della Storia da parte dell'Immaginario.
Per molti critici Yo el Supremo rappresenta una svolta nella letteratura latinoamericana, ancor più del Señor Presidente di Asturias. E se si è voluto incasellarlo a forza nelle categorie consuete del “realismo magico” e del “romanzo del dittatore”, l’opera è qualcosa di più e di diverso. Essa ruota attorno al tema centrale del linguaggio e del potere insito in tutte le sue forme. Per Roa Bastos il linguaggio è così importante che a volte leggendo il suo romanzo ci si dimentica di Francia e si viene colpiti piuttosto dalle cadenze della lingua.
Perché l’autore non ha mai smesso di essere anche un poeta. Ad Asunción comprai una delle sue raccolte di versi, El naranjal ardiente , rimanendo colpito dalle numerose poesie in lingua guaraní in essa contenute (senza traduzione spagnola, peraltro! Nè mi ha aiutato in questo l’altrimenti ottimo sistema Deeple Translate!).
Per completare l’immagine dello scrittore: Roa iniziò la sua carriera letteraria con il libro di racconti El trueno entre las hojas del 1953, che, in uno stile ancora realista, affrontano temi della storia del Paraguay quali l'oppressione dei lavoratori, lo scontro tra culture (autoctona e straniera), la guerra e la lotta per la sopravvivenza. Il primo romanzo è Hijo de hombre, del 1960, che riscosse un vasto successo anche internazionale e continua il racconto, in modo ora quasi mitico, della storia del Paraguay. Lo scrittore fu costretto ad esiliarsi, fin dal 1947, a Buenos Aires, a causa della persecuzione a cui fu sottoposto dal dittatore Alfredo Stroessner. Nel 1976 dovette riparare in Francia per sfuggire al regime militare argentino. Poté tornare nel suo paese (dove morí nel 2005) solo nel 1989, alla caduta di Stroessner.
Secondo molti, Roa avrebbe dovuto ricevere il Premio Nobel, come Asturias e García Márquez, ai quali lo legavano diverse affinità. Ma il suo romanzo più importante era stato pubblicato verso la fine del boom letterario latinoamericano, quando i critici europei cominciavano a risentire il fatto che tutta la grande letteratura sembrasse provenire da quel continente.
Una storia movimentata
Nell’avviarmi alla conclusione del pezzo, qualche altra notizia sulla movimentata storia del Paraguay.
Un altra peculiarità del paese è l’essere stato protagonista delle due più sanguinose guerre svoltesi sul continente sudamericano (paragonabili quasi, fatte le debite proporzioni, per entità, durata e numero di morti a quelle che si svolsero in Europa nel Novecento): la Guerra della Triplice Alleanza (1864-1870) e la Guerra del Chaco (1932-35).
La prima, scoppiata a causa delle mire espansionistiche dei potenti vicini del Paraguay e le velleità del dittatore Francisco Solano López (si ispirava a Napoleone III) trovò il paese a fronteggiare contemporaneamente Argentina, Brasile ed Uruguay. Ne risultò una disastrosa sconfitta, dopo anni di eroica resistenza. Nel conflitto perirono i due terzi della popolazione, tra cui lo stesso Solano López in un’epica battaglia finale a Cerro Cora sulle rive del fiume Aquibadán. Le sue ultime parole furono «muoio con la Patria». Negli ultimi anni del conflitto, il dittatore era finito preda di una vera e propria paranoia criminale. Sospettando di tutto e di tutti fece imprigionare, torturare e fucilare i personaggi più famosi del Paraguay: vescovi, ministri, generali, ma anche diverse signore e molte persone del popolo. Accusati di cospirare contro di lui e di intelligenza col nemico, nemmeno il fratello Benigno e la sua propria madre sfuggirono alla condanna a morte del Maresciallo! Insomma, una storia degna delle grandi tragedie greche.
Più fortunato il secondo conflitto, con la Bolivia, per il controllo dei giacimenti petroliferi del Chaco. La guerra fu voluta dalla Bolivia per il possesso del fiume Paraguay che le avrebbe consentito l'agognato accesso all'Oceano Atlantico. Le malelingue sottolineano invece il conflitto tra compagnie petrolifere multinazionali che si contendevano i diritti di esplorazione e di trivellazione, con la Royal Dutch Shell che appoggiava il Paraguay e la Standard Oil che sosteneva la Bolivia. Nel 1937 Hergé pubblica L’oreille cassée, un’avventura di Tintin ambientata in un Paraguay di fantasia ma in realtà piuttosto realistico, che racconta la guerra tra le nazioni inventate di “San Theodoros” e “Nuevo Rico”…
Ultimo nella serie dei dittatori, il già citato Alfredo Stroessner, che resse il paese dal 1954 al 1989, anno in cui fu rovesciato e fu restaurata la democrazia. La durata della cosiddetta “era stronista” è stata così lunga che, più che un periodo storico o politico, potrebbe essere definita come una fase sociologica o culturale della vita del paese che, come al tempo di Francia o di Solano López, ha impregnato il modo di essere di almeno due generazioni di paraguaiani. La letteratura sta ancora aspettando il grande romanzo sullo stronismo, un romanzo capace - sulla scia di Yo el Supremo di Roa Bastos - di ricostruire, meglio di una approfondita analisi storica, l'epoca dominata dalla figura di uno degli ultimi dittatori “storici” del continente americano.