Rovistando tra vecchie eredità, ho trovato e riletto un libro, pubblicato nel 1942, dove mio nonno, allora di ventotto anni, scriveva:
“L’illustre archeologo mi accolse col suo largo sorriso, mi ascoltò con viva attenzione, prendendo poscia in attento esame le diverse fotografie riproducenti i lavori eseguiti. Mi promise una non lontana fugace scappatina appena i lavori degli scavi intrapresi in Albania, da Lui diretti con tanta proficuità di risultati, glielo avessero permesso. Purtroppo l’attesa visita non avvenne più. Uno sfortunato volo aviatorio, spezzando le ali dell’apparecchio, fermò il cuore dell’uomo modesto e sapiente, archeologo di indiscusso valore. Noi, giovani suoi discepoli, lasciammo cadere sulla bella giovinezza innanzi tempo troncata il nostro dolore e le nostre lacrime e tutti i fiori dei giardini di Napoli furono raccolti sulla bara del Maestro” (Luci e profili di vestigia romane in Agro di Schiavi d’Abruzzo, Furio Tredicine).
Sul retro di copertina c’è una dedica “A mio figlio Sergio perché si ricordi sempre la barba di papà”. Mi fermo a pensare per un attimo a lui, che ha penato una vita per sentirsi amato, nonostante fosse il più amato.
Anche ad amare e a sentirsi amati bisogna esser capaci. Forse lui non lo era e forse neppure io.
Io che guardo fissa la valigia e, quando non la prendo soffro. La lasciò lì sempre piena a punirmi per non lasciarmi sentire perduta ancora e ancora. Il problema delle belle sensazioni è che si può fingere che non siano un tarlo, che possiamo resistergli ma, quando si insinuano lentamente, come un vizio, è difficile tornarne liberi.
Piegato e ripiegato, tra queste pagine, ho trovato un foglio scritto a mano, non datato, con penna rossa e cancellature. Avrò avuto diciannove anni.
Non scriverò quanti lavori ho fatto, basta LinkedIn e quello che faccio non è quello che sono, pur facendolo a modo mio.
Preferisco lasciare che solitudine e partire mi hanno ingrassato il tempo, esponendomi alla società strutturata con percezione di minoranza, urgenza e inquietudine. Andare ha nutrito l’indagine sull’altro, rappresentazione di risorsa e conflitto, consolidando libertà come bene essenziale, forma di versatilità, rispetto della natura complessa.
Se mi chiedessero cosa mi piace fare, potrei rispondere con onestà, solo dichiarando cosa mi piace fare adesso ma, sono sempre grata alle parole, alle idee, quelle alle quali mi spronava mio padre sin da bambina, educandomi alla dialettica e al contraddittorio, quelle non dette nei sacri silenzi e quelle sostenute con ostinazione, perché mi hanno condotto dove sono.
I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
(Robert Frost)