Sono la somma.
Somma delle persone che ho incontrato, di modi di fare, dire, acquisiti, di immagini, emozioni, di lavori, competenze, dei professori che ho incrociato, di libri che ho letto, film che ho visto, di concerti, dei musei visitati, di aerei presi e di lunghe attese con le gambe distese, degli imprevisti affrontati, delle classi di yoga, di camminate infinite, di luoghi esplorati, del cibo che ho provato, degli amici che ho avuto, e di quelli che ho perduto. Di confronti, scambi. Contatti. Di incontri brevi, intensi. Di storie lunghe. Di rimproveri dissimulati, di impostori, di resistenza, stanchezza. Somma di pretese disattese. Di sguardi e cliché. Della società, del contesto. Di disturbi ossessivi, a volte, controllati.
Degli animali che ho avuto. Dell’amore ricevuto. Di insicurezze, entusiasmo, calma. Di folla e solitudine. Di telefoni che squillano e chiamate a cui non rispondere. Delle rughe. Di invidia e generosità. Di ascolto e indifferenza. Di tradimenti e onestà. Di ferite e medicazioni. Di accelerate e frenate. Di pettinature e stili. Di vestiti di seconda mano, di storie che non conosco. Somma di due persone che so non aver esplorato, nella convinzione di un interesse dovuto. Somma di persone a cui essere grata, andate via quasi sconosciute, responsabile di averle combattute. Somma di quesiti, paure, incomprensione. Di lunghe conversazioni. Somma di informazioni. La somma delle volte che lascio andare, in cambio di pace, continuando ad avanzare.
Sono sottrazione.
Sono senza i vestiti, con i capelli del mattino, con la presbiopia di occhi che invecchiano e la pelle disidratata. Con il respiro. Con la voglia di stretching, di allungarmi, superarmi, bypassarmi in equilibrio. Sono immobile e sottraggo, mi cerco, in una somma complessa.
Siedo, sul solito sedile a ribalta, in coda al bus che mi porta a lavoro. Da qui si balla. Metto gli auricolari per sentire una canzone da condividere con lei, che ha deciso di non partire, di non venire. Voglio sappia che siamo comunque vicine. La nuova obliteratrice, quella del “tap in tap out” non funziona. Sullo schermo, una grossa x rossa. Iniziano le conversazioni. Sfilo gli auricolari. Metto pausa e rimando l’ascolto. Sfilo la penna blu, con la scritta gialla della società, dalla borsa e inizio a compilare il mio e poi gli altri, passati di mano in mano. Ricordano i controllori con i biglietti di carta sottile e rettangolare. Seduti in una postazione, con tavolino di legno a rotazione orizzontale. Nessuno urla più “biiiiiglieeetti!”. Sembra che la conversazione sia terminata, premo il tasto play di YouTube ma, ricomincia. Di nuovo pausa, con la mia somma e la mia sottrazione.
Napoli parla sempre. Non si può zittire! Starsene per conto proprio. A volte, passeggiamo, in un giorno non lavorativo. Saluto quelli della libreria, la signora del fioraio, il panettiere, le persone del negozio di giocattoli, i ragazzi del primo e del secondo bar. Mi guarda e chiede “come”. Rispondo che sono sempre qui. Entriamo e usciamo. Sorbisce saluti e “É tua figlia? Una copia!”. La fioraia, ce lo urla da lontano e rispondo affermativamente e sorrido.
Non so se la cosa le procuri piacere, in passato avrei detto che l’avrebbe considerata una disgrazia ma, di recente mi concede un’interpretazione più benevola e mi sorprendo con qualche complimento, un azzardo dalla sua voce, sempre più adulta, più definita dalla durezza. È spiritosa ma, severa. Non posso guardarla, sono in privazione. Non posso proteggerla, baciarla o abbracciarla troppo spesso, ormai. Rispetto i confini, i silenzi, provo a non soffocare la ricerca di indipendenza. Argino, limito. Mi occupo di manutenzione di binari sui quali il suo treno in corsa mi spaventa. Sono in privazione ma, prima o poi, sarò parte della somma e non della sottrazione.
Arriva domenica. Nel letto inizio a muovere i piedi, assicurandomi che funzionino ancora. Sono un po' dolorante per le lunghe camminate. Il calorifero in ghisa ancora ospita oggetti inutili, in attesa di essere sgomberato per l’inverno. Fa freddo e nel salotto albergano varie coperte arrotolate da chi per ultimo ha occupato il divano. I panni non si asciugano e il cesto sbuffa quelli sporchi, strapieno. Billie si arrotola come un lombrico e non si stende più sul pavimento di marmo. Sento le persone parlare di un cambio di stagione che non faccio da anni. Vestiti in rotazione, come le temperature. Arrivano le piogge. Quelle del sud, da clima temperato, che però fanno lamentare tutti. Sembriamo congelare. Dopotutto, qui, si stava al mare, sino alla scorsa settimana. Ho due piccoli nuovi nei sul dorso della mano destra. L’inizio di una costellazione.