La gentilezza delle parole crea fiducia. La gentilezza di pensieri crea profondità. La gentilezza nel donare crea amore.

(Lao Tse)

Sono nata con la camicia, ma la mia levatrice l’ha presa con lei. Mamma era troppo giovane e a quel tempo poco informata, per capire l’importanza medica del sacco amniotico, un fatto molto raro che nella mia terra, inoltre, è segnato da leggende e credenze popolari, Me lo racconta sempre, come se nel cuore dovesse chiedermi scusa per non aver conservato una parte importante di me. Mi aveva donato la vita, l’importante era questo.

Una parte di me che, seppur assente, ho scoperto col tempo, nascondersi e manifestarsi sotto altra forma nella mia esistenza.

Non c’è momento in cui, avendone un bisogno vitale, come l’acqua che bagna le labbra mentre la febbre annienta ogni movimento, non venga in mio soccorso. E quell’alone di speranza magica che vive con me mi porge un segno, a volte indecifrabile al momento, che mi risolve l’anima in trambusto.

Esulto.

Quel profumo preannuncia che qualcosa o qualcuno di strabiliante, in un tempo non definito, incrocerà la mia quotidianità.

E quella mattina di dicembre dell’anno in cui la Regina Elisabetta abbandona per sempre il suo trono terreno, quel profumo sbatte la mia vita a fare i conti con il destino, ancora una volta. Non posso spiegare a parole l’indefinibile, mi conduce per mano verso un’ignota destinazione, un inizio e mai un traguardo.

Vorrei averlo a portata di mano, quel profumo, ogni qualvolta che sulla ruota panoramica dei miei dolori non ho nulla da ammirare se non sofferenze.

Salgo al volo in metro, un millisecondo in più e sarei stata un sandwich umano tra le porte che si chiudono. Per lo scampato pericolo e la sorpresa di essere riuscita ad entrare illesa, sorrido mentre penso che avrei potuto essere come Gwyneth Paltrow in Sliding doors con la differenza che a casa io non ho nessuno ad aspettarmi.

Un uomo, sulla quarantina, che sembrava uscito da una copertina di moda anni ottanta, con un loden verde e una valigetta El Campero, si spostò per farmi spazio. Prendendo in prestito solo il mio sorriso, iniziò a parlare, parlare e parlare. Senza interruzione: mi travolse: il suo tentato suicidio, il suo essere stato in coma per tanti mesi e della sua fortuna di essere vivo e apprezzare, adesso, la vita in ogni suo aspetto.

Frastornata e pensando in cuor mio che forse aveva qualche problema, gli esternai la mia contentezza per lui e mi sforzai di imprimere nella mente, il suo abbigliamento, il tono della voce, il nome, il suo aspetto. Arrivammo al capolinea e ci salutammo.

Non scorderò il sorriso di Tommaso e i ricciuti capelli del colore del cielo più buio del buio, dove basterebbe una sola stella per illuminare l’universo.

In otto minuti e quindici secondi uno sconosciuto avrebbe sconvolto le mie successive otto ore e quindici minuti, e anche oltre.

Arrivo al catechismo in orario, i bambini mi attendono e iniziamo la lezione leggendo il Vangelo. Giovanni capitolo 8 versetto 15:

Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno.

Giudicare è un argomento che fece colpo sui bambini e lo usai come spunto per parlare di bullismo, diversità e dell’importanza del rispetto.

L’essere diversi è la meraviglia di ogni persona e mi ritornò in mente l’uomo della metro e quel profumo che non riesco a definire a parole, non associabile a nessuna fragranza presente in natura. E poi oggi quei numeri martellanti che si insinuano nelle mie lacerazioni camuffate da solarità insieme all’ansia che ho dentro per il lavoro che ho perso, insieme all’abbandono del mio fidanzato, fuggito, ancora una volta, per chissà quale meta.

Ho affittato per un mese una stanza e al suo ritorno non mi troverà. Sono stanca dei suoi momenti zen di pausa relazionale.

Sento il ritmo del mio cuore come se corresse parallelo sui binari alla stessa velocità della metropolitana. Stavolta ho esultato senza che sia accaduto nulla di straordinario a interrompere il mio mondo ordinario da schifo, mentre scrivo queste righe destinate a rimanere tra le pagine di un quaderno, dalla copertina verde. O forse no, il verde è speranza e i quadretti sono cellette che imprigionano la magia dell’inchiostro.

Otto giorni per scrivere queste righe e quindici per correggerle. Gioco i numeri ma non escono, non vinco nulla. Solo un po’ di attesa per chissà cosa. Mi accontento di un po’ che è meglio di niente, eppure in cuor mio ambisco all’eccellente. Amo la gente che ha fiducia in se stessa, nell'impegno, in Dio che regala coraggio e la giusta spinta. Ammiro le persone che credono nei sogni e che i desideri esistono per essere esauditi. E credo negli incontri casuali che hanno un pizzico di magia.

Domani alle otto e quindici avrò un colloquio di lavoro con Tommaso Esperani, un giovane architetto che cerca collaboratori per la sua società che si occupa di interni minimalisti.
Che Dio me la mandi buona.
Anzi no, me l’ha già mandata.
E in cuor mio attendo l’eccellenza.

Nulla è più memorabile di un odore. Un profumo può essere inatteso, momentaneo e fuggevole, e tuttavia evocare un’estate della nostra infanzia su un lago di montagna.

(Diane Ackerman)