Il linguaggio è comunicazione e quello dei bambini, nella sua semplicità, racchiude la straordinarietà dell’essere diversi.
Al suono della campanella della ricreazione tutta la classe va in giardino a mangiare la merenda, ormai è bel tempo.
Tutta la classe tranne Andrea che aspetta la maestra, perché lui, al posto delle gambe, ha due ruote di ferro ai lati della carrozzina sulla quale è costretto a muoversi. E il più delle volte preferisce rimanere in classe, da solo.
Andrea è un bambino scontroso, mai gentile, che risulta antipatico agli altri bambini, che si isola e non vuole giocare, parlare o fare amicizia con nessuno.
Ma un giorno arriva in classe Beatrice, una bambina che si è trasferita da poco in città per motivi di lavoro dei genitori.
“Che libro stai leggendo” gli chiese un giorno alla ricreazione, prima di uscire.
“Non è un libro per femminucce” le rispose Andrea con tono scocciato.
“Sei antipatico, che ti ho fatto di male?” replicò Beatrice mentre girandogli le spalle, un po’ triste, stava per andarsene.
“Ti interessa davvero che libro sto leggendo o è perché ti faccio pena”? La fermò Andrea con un tono di voce diverso.
Beatrice tornò indietro e si sedette accanto a lui.
“E perché dovresti farmi pena, non puoi camminare mica non puoi parlare o avere amici. Poteva capitare anche a me di essere su una sedia a rotelle, non sono cose che si scelgono”.
Andrea la guardò e accennò a mezzo sorriso mentre Beatrice continuava a parlare.
“Io a casa ho la bambola di Masha e orso, senza un braccio perché la mia sorellina le ha fatto un’operazione, da grande vuole fare la dottoressa dei bambini. Io non l’ho buttata la mia bambola, ci gioco come con le altre bambole e stanno tutte insieme, le voglio bene a lei, a Barbie e alle principesse”.
Andrea la ascoltava e sembrava un po’ più contento di stare con Beatrice, le piaceva la sua compagnetta che parlava tanto tanto tanto.
“Ti stai perdendo la ricreazione in giardino”.
“Fa niente Andrea, mangiamo insieme? Ho un panino con il prosciutto e tu?”.
“Io ho una fetta di torta che ha fatto mamma, dividiamo le merende?".
“Siiiii, mia mamma lavora sempre e non ha tanto tempo per fare le torte”.
E, tra un boccone dolce e uno salato, Beatrice continuava a parlare con Andrea.
“Il mio fratellino gioca con i soldatini e l’altro giorno a uno gli si è staccata la gamba, ma non l’ha buttato. Ha detto a tutti gli altri soldatini che era un eroe di guerra e l’ha fatto comandante. Guarda, io ho le lentiggini ed ero sempre triste perché mi sentivo diversa ma la mamma mi ha detto che somigliavo a Pippi Calzelunghe, la conosci”?
“Si sì la conosco, è un po’ pazzerella. Ho letto il libro e mamma mi ha detto che da piccola aveva visto tutti i telefilm. Che nome buffo telefilm, è più bello chiamarle serie tv vero? Io vedo su Netflix la serie tv che si chiama Dion, vorrei essere come lui”.
E mentre pronunciava queste ultime parole, i suoi occhi erano lucidi e rivolti verso il basso.
“Si vedo anche io Dion, mi piace un sacco. Qualche volta la possiamo vedere insieme, o a casa mia o a casa tua, e facciamo merenda”.
La campanella del rientro interruppe i discorsi di Andrea e Beatrice, mentre la maestra dalla cattedra sorrideva.
“Allora siamo amici?” chiese Andrea.
“Si certo” rispose Beatrice contenta.
“E ora che siamo amici mi dici che libro stavi leggendo che non era per femminucce?".
“Tarzan il signore delle scimmie” rispose Andrea.
“Io ho letto Mowgli il libro della giungla, appena termini ce li scambiamo?”.
“Si amichetta pazzerella”.
E felici ripresero le lezioni.
Qualcosa nella classe era cambiato.
E anche Andrea.