Fuggire i bimbi schiamazzanti e altri gruppetti dal volume troppo alto: vedove allegre e versioni rinnovate dei vitelloni. E chi se li aspettava, presto nel pomeriggio, in un caffè fiorentino di periferia?
Si potrebbe riparare, suggerisce la cantante, su una panchina del giardino di piazza Francia.
Una breve passeggiata, con quella lieve sospensione da sconosciute che aspettano il momento di guardarsi, affinché il dialogo possa fluire, eppure già con la complicità di allontanarsi dalla pazza folla, confessandosi il rammarico di non sapere che cosa fanno i concittadini, a che ora e dove.
Marina Comparato, mezzosoprano, in scena dal 1996, è abituata all’importanza: dei ruoli, dei direttori d’orchestra, dei registi, dei teatri ma, camminando verso gli alti pini, accenna alla timidezza.
Perugina, invita a essere scoperta, donna e artista, anche perché, osservando il volto bello e umbratile, torna in mente, per contrasto, la sua Carmen. Una promessa di complessità.
La timidezza, diceva?
Più che timidezza, la chiamerei ritrosia: una volta rotto il ghiaccio sono abbastanza esuberante e mi fa piacere parlare, interloquire, anche discutere. Non litigare.
Ritrosia, timore di disturbare, di apparire troppo, di apparire presuntuosa, timore di ricevere un rifiuto. Ecco, tutta questa cosa è un po’ psicoanalitica.
E quando si apre il sipario?
Quando si apre il sipario non c’è più Marina sul palcoscenico. C’è un’altra persona, e a quel punto Marina non si deve più preoccupare di non essere all’altezza perché è un’altra quella che sta facendo il lavoro. Infatti per me è più facile l’opera, dove sono un personaggio, rispetto a un concerto in cui c’è Marina che canta. Nell’opera, il teatro diventa un’attività catartica e posso veramente sostituirmi a me stessa. Al concerto sono io, nuda, davanti alla platea. Nuda, sì. La voce viene da dentro e apre al pubblico qualcosa che è profondamente interiore. Che cosa c’è di più interiore della voce? Niente. Nemmeno noi cantanti possiamo vederla o toccarla. E allora, Marina concertista deve mettersi in gioco ed è un momento di crescita. Psicanalitico pure quello.
Alla fine del concerto?
C’è il lato della soddisfazione per aver superato un ennesimo confronto con Marina e la gioia di aver fatto la musica. Poi gli applausi: una forma di egocentrismo ce l’ho, non è che sono una santa. Per fare questo mestiere ci vuole una buona dose di narcisismo, di consapevolezza di se stessi. Ecco, questo vado cercando: la consapevolezza di me. Un aspetto sul quale sto lavorando in questi ultimi anni.
A che punto siamo?
Al principio! (ride n.d.r.). Ho iniziato da qualche tempo un percorso con una dottoressa: in occasione di un malanno di mio padre, che mi aveva sbalestrata, decisi di farmi aiutare. Ovviamente la terapia ha fatto uscire tutto il resto. Era giusto che così fosse perché la malattia di papà non mi avrebbe turbata a tal punto se non ci fossero stati alla base altri malesseri.
Adesso ho più consapevolezza di me, di quella che sono diventata. So di non essere più la figlia di mio padre, ma di essere una donna e di aver fatto carriera.
E una signora carriera.
Ecco, io sono sempre restia a dirmi, e a dire, che ho fatto una gran carriera.
Però è la realtà.
Appunto, questa è la consapevolezza di se stessi che occorre trovare. Io credo di averla, ma un po’ anche di respingerla, per apparire più bambina, più a inizio carriera.
Almeno non rischia la boria.
Sicuramente. Detesto quel modo di fare. Però bisogna ogni tanto fare i conti con quello che si è: non sminuirsi, ma non elevarsi a chissà che. Sto cercando questo. Cercando di sapere… cioè un po’ lo so, ma vorrei accettarlo e dirlo: io sono questo, ho fatto questo, posso fare questo e farò quest’altro (ride n.d.r.).
Lo Schubert italiano la aiuta?
In parte sì. Luigi Gordigiani, intanto chiamiamolo con il suo nome vero, è stato un compositore fiorentino di metà Ottocento, morto nel 1860, che ha scritto quasi esclusivamente musica vocale da camera, romanze, come Schubert. “Schubert italiano” non è un soprannome moderno, Valentina Lo Surdo ha pensato di riproporlo, ma gli è stato dato dai contemporanei che lo hanno paragonato a Schubert per il tipo di produzione musicale, non solo per la forma della Liederistica, ma proprio per le forme pianistiche all’interno di ciascuna romanza. Molti dei suoi, chiamiamoli Lieder, ricordano alcuni Lieder di Schubert e lo capisco bene, ora che l’ho studiato e registrato: ho trovato alcune melodie che sembrano Erlkönig, per esempio.
Quindi meravigliose.
Sì, veramente bellissime. L’idea non è partita da me, devo rendere merito al pianista, che è il maestro Gianni Fabbrini, il quale aveva nel cassetto tutte queste melodie di Gordigiani che da anni voleva registrare e gli ho detto: le canto io. Siamo andati con un mucchietto di musica al Maggio Musicale Fiorentino e, toc toc (ride n.d.r.), abbiamo bussato a Giovanni Vitali: “Ti interessa un disco di Gordigiani?”. "Sì, mi interessa”. E così il Teatro del Maggio ci ha prodotto il disco, ci ha dato la sala. Abbiamo inciso con il loro tecnico del suono. Vitali l’ha proposto a Dynamic che ha accettato.
Ci sarà un concerto di anteprima per l’uscita del disco, il 13 maggio al Maggio in cui presenteremo alcuni brani di Gordigiani accostandoli, appunto, a quelli di Schubert.
Il sovrintendente Fuortes ha deciso di aprire il backstage del teatro, le sale prova, a concerti più piccoli, tipo questo, che faremo dove abbiamo registrato. Una bella novità.
Ci racconti ancora di Gordigiani.
Non è finita, infatti. Gianni Fabbrini, il pianista, ha scovato nella biblioteca del Conservatorio Cherubini di Firenze delle raccolte stupende di melodie di Lieder di Schubert tradotti in italiano nell’epoca di Gordigiani. A fagiolo! Quasi tutta la Liederistica schubertiana. Quasi tutta no, ma tanta. Io mi sono messa là a spulciarle per trovare quelle che più si avvicinano alle melodie che ho inciso. Più tardi viene a casa mia Gianni per decidere quali scegliere della lista che ho selezionato.
Gordigiani era un personaggio interessantissimo, secondo me. Poveretto, non se lo fila più nessuno. Ma ha avuto una grande notorietà all’epoca perché la musica da camera si faceva tanto nei salotti fiorentini. Era paragonato un po’ a Tosti, come fama.
Fu sostenuto da due personaggi notevoli, Demidoff e Poniatowsky, che furono suoi mecenati. Poniatowsky lo portò nei salotti parigini e londinesi.
Anche la famiglia è interessante. Lui si sposò con Anna, la figlia di Mauro Giuliani, il famoso chitarrista, per chi studia chitarra “il chitarrista”. Ebbero vari figli fra i quali Michele Gordigiani, pittore macchiaiolo, ritrattista ufficiale di corte dei Savoia e di Cavour. Ci sono tanti quadri suoi a Palazzo Pitti.
È stato anche appassionante studiare la musica e il mondo ottocentesco fiorentino.
Sopraffatto dalla grandiosità abbacinante del Rinascimento, l’Ottocento è un secolo da rispettare a Firenze che, inoltre, è quasi la sua città.
Eh, sì. Ormai sono trent’anni che vivo qui.
Il proseguo?
In contemporanea con il caro Gordigiani, sto preparando, con molta fatica, un ruolo per il Maggio Musicale. È una parte bella sostanziosa nel Der junge Lord di Hans Werner Henze che andrà in scena a maggio. Un ruolo-monstre, difficilissimo. Intanto la memoria, poi il tedesco, e l’intonazione.
Uno dei suoi ruoli del cuore?
Sono tre. Posso dirne tre?
Certo.
Coincidono con le fasi della vita. Prima fase: senza dubbio Cherubino il ruolo della mia giovinezza, della partenza. Poi viene la Rosina del Barbiere di Siviglia che è stato forse il ruolo che ho cantato di più, per più di tempo, fino al 2024. Cherubino l’ho abbandonato, invece la Rosina me la porto dietro dal mio debutto, nel ’96. E il ruolo della maturità che è la Carmen. Aspetto quello della vecchiaia, arriverà. Potrebbe essere la Suzuki. L’ho già fatta, in realtà.
È presto per la quarta fase. Che Suzuki pazienti.
D’accordo, pensiamo hic et nunc.
Gordigiani, Henze…
Ho anche appena finito la Maddalena, alla Fenice. Mi difendo!
Ah, c’ho pure la nipote di Gordigiani, se vuole. Sposata a un discendente ricchissimo di Mendelssohn. Giulietta Gordigiani von Mendelssohn, donna di una bellezza sconvolgente, suo padre Michele la ritrasse, fu una cantante lirica e una pianista. Si installò a Berlino con il marito e cominciarono i salotti musicali: frequentò Isadora Duncan, Rubinstein, Serkin.
Poi questo marito morì. Lei tornò in Italia e si installò nel Mugello, nella villa di Striano che aveva comprato il babbo. Riprese i suoi salotti, conobbe Edmondo De Amicis, Eleonora Duse, si rimise a suonare il pianoforte, era bravissima, e incontrò Gaspar Cassadò con il quale iniziò una relazione amorosa. Formarono un duo pianoforte e violoncello e cominciarono a girare l’Europa. Ho ritrovato su YouTube dei pezzetti in cui suonano.
Il regime nazista le tolse tutto, e i quadri preziosissimi se li prese Hitler. Alla fine della guerra i figli cercarono di riaverli, ma non ci riuscirono.
Sa qualcosa pure dei figli di Giulietta?
Storie tragiche, la figlia morì prima di lei. Ho iniziato a settembre a fare una serie di pillole di Gordigiani sul mio canale YouTube, sono arrivata al Risorgimento.
Che c’è da aggiungere?
Un po’ di anni fa ho inciso con la pianista Elisabetta Sepe un lavoro che ancora non è uscito perché abbiamo avuto un intoppo con il tecnico del suono, ma io voglio assolutamente farlo uscire, dopo Gordigiani. Sono melodie da camera della compositrice fiorentina ottocentesca Carolina Uccelli che era un’amica di Rossini.
Aspettiamo che Marina Comparato faccia giustizia: il giornale Il Censore, un nome una garanzia, definì un esercizio di “vanità femminile” il comporre di Carolina Uccelli, nata Pazzini (1810-1858).