Dalmatiche, piviali, pianete, drappi per coprire i sacri calici.

Non appaia una mostra per cardinali di Santa Romana Chiesa ed esperti di stoffe antiche, Tesori di seta. Capolavori tessili dalla Donazione Falletti. Anzi: porporati e specialisti lascino spazio a chi non si è mai occupato di pannelli serici con medaglioni di santi in mezzo e, magari, pensava che non gliene importasse niente perché l’esibizione che festeggia, fino al 21 dicembre, i cinquant’anni del Museo del Tessuto di Prato è sorprendente. Un salon di mirabilia che suscita riflessioni, riconoscenza per tessitori e ricamatrici senza nome, svaga dalla sciatteria di certa attualità, e, soprattutto, esperienza simpatica e infrequente, fa rimanere a bocca aperta.

Lamelle e fili d’oro e d’argento, corallo, broccati, lampassi, rasi, richiami alla Natura, colori incantevoli raccontano quattro secoli di grande manifattura tessile europea dal Quattrocento alla fine del Settecento. Curata da Daniela Degl’Innocenti, conservatrice del Museo del Tessuto, con la consulenza scientifica di Roberta Orsi Landini, massima studiosa italiana del tessuto e del costume, Tesori di seta presenta al pubblico, per la prima volta, ottanta fra manufatti tessili e ricami antichi che rappresentano il nucleo iniziale dal quale il medico fiorentino Giovanni Falletti intraprese un percorso di collezionista eclettico e cultore di diverse discipline. Falletti fu infatti folgorato da un abito liturgico di velluto verde del Quattrocento, esposto nella vetrina di un antiquario a Firenze.

La sua grandiosa donazione alla galleria pratese conta quasi duemila oggetti molto eterogenei, oltre ai tessuti: 250 stampe giapponesi della seconda metà del Settecento e dell’Ottocento di artisti come Hokusai, Hiroshige, Kuniyoshi, Utamaro, 450 e più tra litografie, acqueforti, xilografie e stampe dal Cinquecento all’Ottocento di Dürer, Van Leyden, Salvator Rosa, Piranesi, Max Klinger, Lorenzo Viani e almeno mille pezzi tra ricami, fasce ornamentali, maschere, monili, armi rituali provenienti da Africa, Asia Centrale, Asia Orientale, Sud America.

Non volevo che quanto da me raccolto andasse disperso in mille rivoli inadeguati e impropri - ha spiegato Falletti -. Il Museo del Tessuto di Prato mi è parsa una struttura ottimale per il suo alto livello culturale e scientifico. Avevo più volte visto alcune delle mostre e apprezzato l'ottima presentazione dei materiali e la completezza dei testi storico-culturali che le corredavano. Anche gli studi scientifici erano inappuntabili. Quindi le mie cose andavano in buone mani. Inoltre, questo museo, al contrario di altre importanti strutture, usa il materiale in suo possesso per un susseguirsi di mostre e altre iniziative, non solo collocate a Prato. Evitavo così che le mie cose finissero sepolte in nobili ma inaccessibili depositi. Infine la donazione ad un museo permette alle mie cose di non essere più di piacere ad un singolo, ma di divenire di pubblica utilità.

Utilizzati per la confezione di sfarzosissime vesti laiche destinate alle aristocrazie del tempo, i tessuti in esposizione, per il loro enorme pregio e valore, venivano successivamente regalati a istituzioni religiose che li riutilizzavano per realizzare paramenti sacri, una straordinaria pratica di riuso che ha permesso la conservazione di questi capolavori tessili.

I velluti operati esposti rappresentano l’eccellenza assoluta dei maggiori centri manifatturieri italiani del Quattrocento. La melagrana, tra i disegni più diffusi del periodo, è inclusa in una foglia lobata ed è simbolo sia laico che religioso. Una produzione di ambito fiorentino, più seriale ma non meno interessante sotto il profilo artistico, è quella dei tessuti figurati con episodi del Vangelo o simboli la cui funzione era quella di ornare alcune parti precise dei paramenti liturgici. I modelli ai quali si ispirano sono quelli pittorici dei maggiori artisti del tempo: Antonio del Pollaiolo, Andrea del Verrocchio, Domenico Ghirlandaio, Raffaellino del Garbo.

Nata come produzione economicamente più accessibile rispetto al lavoro di ricamo a or nué, tecnica raffinatissima, dispendiosa e di lenta esecuzione, questo tipo di ornamentazione tessile nel Cinquecento viene progressivamente sostituita dal ricamo in applicazione. Grazie ad appositi cartoni disegnati con soggetti o motivi decorativi, spesso eseguiti dalla mano di autorevoli pittori, il ricamatore procedeva a ritagliare il tessuto secondo le sagome per poi applicarlo a cucito su un supporto di stoffa e, infine, rifinirlo a tempera e con filati adeguati di seta o metallici.

Guerre, carestie e pestilenze mettono in crisi il mercato europeo del Seicento, ma le manifatture tessili italiane si riorganizzano con un’offerta più varia di prodotti e disegni che impiegano un quantitativo inferiore di seta rispetto ai classici drappi auro-serici del secolo precedente.

La progettazione dei disegni risente, infatti, della contaminazione artistica dei tessuti orientali, pervenuti in Occidente grazie all’intraprendenza commerciale di Inghilterra, Olanda, Francia, Danimarca. I souvenir importati in Europa dalle Compagnie delle Indie diventano di ispirazione modelli per le inedite palette di colori, per l’accentuato naturalismo e l’inusuale composizione delle decorazioni.

La felice stagione dei damaschi broccati dell’ultimo quarto del XVII secolo fa da apripista a una grande trasformazione nel disegno tessile ed è la Francia a indirizzare il gusto delle manifatture tessili europee, grazie alle riforme applicate al settore dei beni di lusso da Luigi XIV e dal suo ministro Colbert.

“La Grand Fabric” di Lione sarà l’opificio più propositivo a cui guarderanno le manifatture italiane tra fine Seicento e per tutto il Settecento. Proprio a quest’epoca importante, ricca di sperimentazione e di innovazione artistica, Tesori di seta dedica speciale attenzione con tessuti storicamente definiti bizarre, dentelle o Revel, denominazioni che indicano specifiche tipologie di disegno.

La cosiddetta “pittura di capriccio” era un genere che permetteva la congiunta e stravagante combinazione di paesaggi, architetture, scorci di rovine, giardini insieme a composizioni di fiori e foglie. La restituzione pittorica e tridimensionale delle scene è ottenuta grazie a un fine lavoro di broccatura ottenuto con l’accostamento di trame a colori digradanti e tecnicamente integrate l’una nell’altra.

Nel Settecento la pittura e il disegno tessile sono due ambiti che spesso si appaiano e alcuni pittori francesi fra i quali Charles Le Brun, Jean Revel, Antoine Watteau, Jean Berain, François Boucher si dedicano spesso anche alle arti decorative. La Francia, pur mantenendo il primato della qualità artistica e tecnica dei prodotti tessili, innesca nelle altre manifatture europee una rivalità che conduce a esiti produttivi e stilistici alternativi e originali. Inghilterra, Olanda, Germania e Spagna, in Italia Venezia e le manifatture siciliane raggiungono un ottimo livello applicandosi alla diversificazione dei prodotti e degli ornati.

Tre protagoniste della scena pratese sono entusiaste. Fabia Romagnoli, presidente Fondazione Museo del Tessuto:

Ringrazio sentitamente Giovanni Falletti per questa straordinaria donazione che arricchisce in modo rilevante il patrimonio del Museo e i suoi contenuti, proiettandolo verso un futuro di ulteriore apertura a tematiche interdisciplinari e amplificando, a cinquant’anni di distanza, il grande atto donativo del fondatore del Museo Loriano Bertini.

Ilaria Bugetti, sindaca di Prato:

È un regalo bellissimo al Museo del Tessuto e dunque alla città perché Prato è il distretto tessile, quello passato ma anche quello presente. La sua storia è il prodotto di intrecci e trame che nel corso dei secoli hanno fatto la grandezza e la ricchezza del nostro territorio fino ad arrivare ai giorni nostri.

Diana Toccafondi, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato:

Questo museo ha la singolare qualità di parlare di noi e, nello stesso tempo, di metterci in dialogo con gli altri, rappresentando un punto di riferimento mondiale per la storia del tessuto, della moda e del costume.

Chiudendo gli occhi, si immaginano le tre signore sfoggiare portabili vestitini, fatti su misura, di quei panni ineffabili.

Dev’essere il fascino della mostra che sbriglia la fantasia.