Lo disse per primo Antonin Artaud e ormai tutti ne sono convinti: “Van Gogh è il più pittore di tutti i pittori”. Un libro appoggiato su un tavolo o una pipa abbandonata su una sedia e il sipario si apre sugli attori della sua tormentata storia.

L’immagine del genio folle da sempre seduce l’immaginario collettivo e lo stesso Artaud, drammaturgo, attore e regista francese, ne fu ammaliato dopo aver visto una sua mostra a Parigi. Non è però solo la fragilità mentale dell’artista olandese l’unica chiave ad aprire le porte delle sue opere.

Personalità poliedrica, costantemente alla ricerca di un nuovo stile e di una nuova forma pittorica, Van Gogh, una volta arrivato in Provenza, abbandonerà la realtà per seguire il suo cuore e dipingere quello che realmente desiderava. Pennellate d’istinto? La National Gallery ‘demolisce’ questo cliché evidenziando in una mostra (eccezionale per qualità, quantità e provenienza dei dipinti) il complesso processo artistico nascosto dietro opere cariche di suggestioni e colori.

Non una mano guidata dalla follia, ma da un accurato e razionale disegno che passava attraverso un vocabolario di Impressionismo, Neoimpressionismo e Giapponismo importati dal precedente soggiorno parigino. Non a caso, Van Gogh espone i suoi dipinti nella Casa Gialla che aveva affittato ad Arles, preparandola all’arrivo di Gauguin e di altri colleghi con cui voleva fondare un’avanguardia artistica. L’idea finale ed esplicita era quella di mostrare poi al pubblico le sue opere nell’Esposizione Universale di Parigi. Un disegno preciso e ambizioso in cui Vincent si impegna anima e corpo, come si legge nelle lettere al fratello Theo.

Spiegano i curatori della mostra Cornelia Homburg e Christopher Riopelle: “Negli ultimi due anni di vita ad Arles e a Saint-Remy de Provence Van Gogh crea una straordinaria e innovativa quantità di opere in cui trasforma i posti e le persone che incontra nella sua vita. Riunendo una parte di questi dipinti emerge un Van Gogh meno familiare: un intellettuale dalle lucide intenzioni e con grandi ambizioni.”

Sono 50 i lavori importanti raccolti in Van Gogh. Poets and Lovers nelle sale della National Gallery per celebrare il duecentesimo anniversario dalla sua fondazione. Provengono da musei di tutto il pianeta e da collezioni private, raramente o mai concessi alla pubblica visione. Un’occasione unica per vederli e per ascoltare la storia che ci raccontano.

Eccolo allora Van Gogh già trentaseienne, da sempre fragile caratterialmente e alla costante ricerca di affetto e di amicizia, su un treno in partenza da Parigi, dove aveva trascorso l’ultimo anno, diretto verso il Sud della Francia. “Il mio progetto è andare per un po’ nel Sud, dove c’è più colore e anche più sole” aveva scritto alla sorella Willemien.

Nel febbraio del 1888, dunque, la decisione è presa. Per la verità sembra che la sua destinazione finale fosse Marsiglia, ma durante il viaggio i suoi piani cambiarono e scese alla stazione di Arles, in Provenza. Il motivo di questa variazione resta ad oggi sconosciuto. C’è chi azzarda che l’artista volesse evitare l’incontro con Cezanne e Renoir, che stavano dipingendo ad Aix, perché non erano considerati candidati ideali per quella colonia di pittori avanguardisti che lui voleva fondare nel Sud. Ma è solo una supposizione.

Quello che è certo è che arrivando ad Arles, quel 20 febbraio 1888, Van Gogh non si trovò davanti al sole, ma ai campi imbiancati dalla neve. Per gli Impressionisti e i Post-impressionisti la neve è materia complessa perché non emana la luce calda del sole nelle sue multiformi variazioni, bensì riverberi più uniformi e freddi. Fu infatti con lo sbocciare della primavera che Van Gogh finalmente dette il via alle sue ricerche sul colore, illuminando la tavolozza con la luce della Provenza.

“Il pittore del futuro è un colorista come non ce ne sono stati prima”, scriveva al fratello. Se il suo primo passo fu quello di affittare un appartamento tutto per sé, la famosa Casa Gialla, sarà il Giardino della Cavalleria, da poco realizzato davanti a quella casa, a concentrare la sua attenzione. Alberi e fiori si alternano a scene di tutti i giorni con i numerosi personaggi che frequentavano il parco. Tra questi lo stesso Van Gogh, che troviamo in primo piano vestito di blu mentre legge il giornale.

Quello stesso modesto giardino pubblico nella sua immaginazione si trasforma anche nel Giardino dei Poeti dove Dante, Petrarca e Boccaccio potevano passeggiare. La passione per la letteratura stimolava i sogni dell’artista che andava oltre la realtà fingendo spazi idealizzati. “Questo giardino è strano”, scrive sempre a Theo, “perché puoi immaginare facilmente i poeti del Rinascimento, Dante, Petrarca e Boccaccio, passeggiare tra questi cespugli e sul prato fiorito”.

Spiega la curatrice:

In questo periodo Van Gogh confidava nell’immaginazione, così come nell’ispirazione dalla letteratura e dalla poesia per creare ambienti idealizzati o inventati.

Certo è anche vero che non abbandonerà mai l’osservazione della natura, ma i suoi dipinti saranno conclusi nello studio, in maniera da modificare colori e luoghi creando un maggiore e più emozionale impatto visivo. Sorprendente che il suo proposito di idealizzazione della realtà si applichi anche ai ritratti. Van Gogh sceglie Eugène Boch, un pittore impressionista belga di cui neanche apprezza troppo le qualità artistiche per rappresentare il concetto di poesia.

Il suo aspetto, gli occhi e forse anche il naso gli ricordano Dante e questo gli basta per farlo assurgere al simbolo di Poeta. Diverso è per il luogotenente Milliet che aveva conosciuto nel bordello di Arles. Lo dipinge con la sua uniforme da Zuavo e ne fa la quintessenza dell’amante. A Milliet Van Gogh dava lezioni di disegno ma di sicuro gli invidiava la capacità di sedurre, un talento innato in cui lui legge il tipo eterno de L’amante.

Augustine Roulin è un altro simbolo, quello della moglie e madre, capace di consolare e di placare l’animo. La rappresenta seduta: sguardo umile e mani che stringono il cordone con cui si dondola la culla per far addormentare un bambino. La Berceuse, appunto, cioè colei che culla.

Per il sempre assetato di affetto Vincent, Madame Roulin è una sorta di monumento. Vuole la grande tela nella Casa Gialla in cui sta allestendo l’esposizione delle sue opere in attesa dell’arrivo, ogni volta rimandato, dell’amico Gauguin. Non basta. Perché il ruolo ideale di moglie e madre sia ben evidente sistema sulla parete, ai lati dell’opera, due suoi dipinti di girasoli, alla stregua di candelabri.

La mostra della National Gallery ce li ripropone così come Van Gogh li aveva voluti. Uno dei due quadri di Girasoli è arrivato da Filadelfia e per la prima volta ritorna in Europa da quando ne varcò i confini, nel 1935. L’altro invece appartiene dal 1924 alla collezione della National Gallery, che quest’anno e con questa esposizione celebra dunque il centenario del suo acquisto.

Nell’ album di ricordi che costellano il periodo provenzale di Van Gogh c’è anche L’ Arlesienne, altra idealizzazione e altro mito eterno. Questa volta della bellezza. Perché nella cultura popolare del tempo, le donne di Arles venivano indicate ed esaltate come bellezze incantevoli e l’artista, arrivando in Provenza, lo confermò al fratello Theo in una delle sue numerose lettere. Poco dopo, però, avendo avuto difficoltà a stabilire legami con loro e anche solo ad incontrarle (come sempre d’altronde), modificò il suo giudizio relegando la loro bellezza al passato. “Non sono come devono essere state”, scrive a Theo. “Sono in declino”.

Quale archetipo delle Arlesiane moderne scelse dunque Madame Ginoux, proprietaria col marito del Caffè che Van Gogh frequentava e con cui aveva fatto amicizia. Certo, non era bella, ma era quello che restava dell’antica leggenda, l’idealizzazione di un declino che lui voleva rendere eterno.

Fu, comunque, il suo indelebile romanticismo a restare l’icona più ricercata dei suoi quadri, in quella struggente ricerca di amore che lo consuma, anche quando si auto ricovera nell’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy, dopo che proprio gli abitanti di Arles avevano firmato una petizione per internarlo. Persino i poveri giardini del manicomio, in cui l’ingresso alle donne non era permesso, si animano nelle sue opere di personaggi maschili e femminili e si trasformano in ‘nidi per gli amanti’.

Di questa storia che ci raccontano i suoi quadri, un po’ tristemente vera e un po’ serenamente immaginata, oggi restano capolavori assoluti. Misconosciuto e spesso deriso durante la sua vita, Vincent è diventato Van Gogh solo dopo la sua scomparsa. E molti sono stati i pittori a cercare ispirazione nei luoghi che erano stati i suoi spazi poetici e che oggi si sono trasformati in meno poetici addensamenti di turisti e di traffico. Come quel giardino della Cavalleria dove Dante, Petrarca e Boccaccio aleggiavano tra platani, oleandri e acacie mentre ormai potrebbero solo schivare le auto di una affollata rotatoria.