Non credo che ci sia mai stato un uomo che abbia trattato una donna da pari a pari e questo è tutto ciò che avrei chiesto, perché conosco il mio valore.

Si sfogava così Berthe Morisot scrivendo su uno dei suoi taccuini verso la fine della sua vita, dopo aver combattuto per essere considerata un pittore come tutti gli altri e non una donna talentuosa che dipingeva donne graziose. Battaglia difficile per i suoi tempi – e non solo -, quando la femminilità sul piano intellettuale era relegata ad un livello inferiore rispetto alle mascolinità e ancora la Scuola di Belle Arti non permetteva l’accesso al “secondo sesso”. Era la Parigi di metà Ottocento, quando la borghesia rampante scalava le classi sociali e si incontrava nei salotti raffinati. Berthe Morisot, figlia di un funzionario pubblico di alto rango, cresce qui, in un ambiente imbevuto di valori tradizionali quali l’ordine, la gerarchia e i buoni costumi.

È all’interno di questa cornice convenzionale che la madre, donna di grande sensibilità artistica, iscriverà la tre figlie a corsi privati di pittura, oltre che di musica. Ma se Yves, la più grande, getterà subito la spugna, Edma, pur essendo molto dotata, abbandonerà i pennelli al momento del matrimonio, Berthe, invece, farà della pittura la sua ragione di vita. E poco o niente le importò che i suoi maestri la sconsigliassero fortemente di proseguire su questa strada e assolutamente disapprovassero il suo ingresso tra i rivoluzionari avanguardisti che con una pennellata tremula volevano catturare la luce en plein air anziché ricostruire paesaggi idealizzati in atelier.

Per punizione dovrebbe andare al Louvre due volte alla settimana e stazionare tre ore davanti al Correggio per chiedergli perdono di aver voluto far dire all’olio ciò che è assoluto dominio dell’acqua.

Sentenziò il suo primo maestro, Joseph-Benoit Guichard, scrivendo alla madre.

Ma furono parole vane. Risoluta e imperterrita il 27 dicembre 1873 Berthe Morisot entrò a far parte della “Società Anonima degli artisti pittori, scultori e incisori”, insieme a Monet, Degas, Pissarro, Sisley e Renoir, che più tardi saranno chiamati Impressionisti e che per la prima volta esporranno l’anno successivo nella sede del fotografo Nadar, in contrapposizione e polemica col Salone Ufficiale. Di spirito aperto ed ugualitario, i futuri Impressionisti furono i primi a non fare differenza tra artisti uomini e donne.

Così lei, la bella ed elegante Berthe, fu tra i fondatori del gruppo, prima e unica donna a superare i pregiudizi e mostrare i suoi quadri in un evento pubblico e rivoluzionario. Certo, diversa fu l’accoglienza da parte dei suoi contemporanei. Pur ottenendo anche critiche positive, che qualificavano la sua arte come ‘spontanea’ o ‘raffinata’ e ‘delicata’, secondo stereotipi femminili, il suo essere donna le rese il cammino molto più difficile tanto che poche delle sue tele vennero vendute. Il suo nome è rimasto a lungo famoso per i molti ritratti che il suo grande amico - o forse amante - Eduard Manet le dedicò dal 1868 al 1874, anno del matrimonio che la legò ad Eugène Manet, fratello dell’artista. Ma in nessuna di queste opere, dove si mettono in evidenza l’eleganza e lo sguardo magnetico della giovane Berthe, viene mai indicato il suo mestiere di pittrice.

Per fortuna il tempo è galantuomo e grazie anche all’impegno della famiglia e della figlia Julie, il suo percorso eccezionale è stato ormai riscoperto dandole un posto importante nel mondo dell’arte. Celebrando il centocinquantesimo anniversario dalla prima esposizione impressionista una mostra al Palazzo Ducale di Genova vede protagonista Berthe Morisot, mettendo in evidenza tutti i diversi aspetti della sua vita professionale. Nelle undici sale dell’Appartamento del Doge incontriamo l’artista dalle sue prime copie al Louvre fino alle ultime opere di impressionismo sempre più audace, che la portano vicino all’astrazione.

C’è una forte dimensione biografica nell’esposizione, non solo perché sono in mostra dipinti inediti che appartengono alla famiglia, ma anche perché la sua arte si è sviluppata in gran parte in ambito familiare, come d’altronde esigevano le convenzioni del tempo. “Coltivando la propria libertà e indipendenza, Berthe Morisot ha saputo conciliare perfettamente vita familiare e ambizioni artistiche, in un’epoca che certo non incoraggiava a farlo”, scrive Sylvain Amie, presidente del Museo d’Orsay e dell’Orangerie nella prefazione al catalogo, curato da Electa.

Abbandonando presto il paesaggio per impegnarsi ad esplorare l’intimità della vita borghese, saranno in particolare le donne e i bambini i soggetti preferiti del suo pennello. Dal 1859 al 1895 eseguirà 850 opere, tra dipinti, pastelli e acquarelli, e di questi più della metà sono dedicati a donne. Un solo uomo appare – raramente - nei suoi quadri ed è il marito Eugéne, che sarà il suo sostenitore più acceso, e che, lui stesso pittore amatoriale, saprà mettersi da parte, riconoscendo la superiorità di Berthe. In mostra lo troviamo in un doppio ritratto insieme alla figlia Julie. Indossa la blusa del pittore e per la prima e unica volta ci appare intento a disegnare. Entrambi sono immersi nella natura lussureggiante di un giardino in cui si incrociano toni diversi di verde impressi con quella pennellata a virgola tipica degli impressionisti che rende l’immagine evocativa di emozioni e suggestioni.

Eccole allora le donne di Berthe, quelle donne moderne, spesso assorbite nei loro pensieri, che lei fissa in momenti fugaci di luce e di movimento. Il bianco nelle sue infinite sfumature, illumina le sue tele. “La mia vita si limita a voler fissare qualcosa di quello che accade”, scrive. “Eppure quest’ambizione è ancora smisurata”. Certo a volte stupisce come le sue modelle siano ritratte così tanto da vicino, al punto che lo spettatore può sembrare quasi avere con loro un contatto fisico.

Invece no. Il loro controllo desta rispetto anche quando sono intente ai lavori domestici o alla toeletta. Il loro isolamento e talvolta la loro malinconia le rende emblematiche, nonostante un’iconografia conforme alle regole del tempo, che voleva le donne in abiti sfarzosi, un po’ come le bambole.

Sottolinea Marianne Mathieu, curatrice della mostra:

I dipinti di Berthe Morisot non sono ritratti: l’atmosfera prevale sul soggetto, l’insieme sul particolare. La pittrice non studia a fondo le sue modelle, non rivela nulla del loro carattere, non lascia trasparire la loro vita segreta. Trasfigurate dall’atmosfera, i tratti levigati, se non addirittura cancellati dalla luce, le sue figure sono universali e senza tempo.

Jiulie, la figlia, e Paule, la nipote, sono state senza dubbio le due muse più importanti. Julie la incontriamo bambina, mentre gioca con le bambole, la ritroviamo ragazzina che suona il mandolino e un po’ più grandicella seduta sulla panchina in un parco, con i capelli sciolti e un cappello in testa. Paule Gobilard, assorta e sguardo mesto, è in abito da ballo luccicante di bianco.

Per una intransigente e perennemente insoddisfatta come Berthe Morisot, neanche i viaggi e le vacanze potevano distoglierla dal suo lavoro. Nel 1881, in viaggio verso l’Italia, l’artista con la famiglia si ferma a Nizza e qui, per dipingere il porto e i suoi navigli ‘affitta’ un pescatore e la sua barca, mentre Julie e Eugene la aspettano sul molo. Più tardi, nel corso di un secondo soggiorno e probabilmente con lo stesso metodo, dipinge il suo unico notturno, Barca Illuminata, ora esposto alla mostra di Genova Impression, Morisot. Era lo yacht del magnate americano James Gordon Bennet junior, splendente nella serata di apertura del Carnevale.

Ed è proprio ai due soggiorni in riviera che lascia spazio la rassegna genovese perché è qui che la sua pittura ha una nuova evoluzione, ispirandosi ai colori e alla luce di Renoir. Mentre la sua tavolozza si schiarisce, la vegetazione locale e gli aranci diventano soggetti privilegiati, sempre più evanescenti per il sole accecante del Midì. Un passo coraggioso verso l’astrazione a cui però Berthe Morisot non arriverà mai, fermata da una polmonite il 2 marzo 1895, a soli 54 anni.

Fu pioniera nell’arte come nella vita riuscendo a coniugare il suo essere donna con una professione da uomini in anni di convenzioni e di severi giudizi morali. Oggi i suoi dipinti sono battuti nelle aste internazionali a cifre che superano il milione di euro, ma i pregiudizi sono stati duri a morire: sulla sua lapide nel cimitero di Passy a Parigi i suoi contemporanei scrissero: “Vedova di Eugéne Manet- Senza professione”.