L’incontro con Sergio Perosa è stato determinato da un mio casuale passaggio in piazza Duomo a Milano. Alzo gli occhi e noto una serie di ritratti con colori accattivanti: osservo meglio e vedo un disegnatore che sta accuratamente utilizzando l'acquerello, seduto accanto ad un tavolinetto da ambulante.
Mi avvicino, mi informo, osservo meglio i ritratti e capisco perché ne sono stata attratta: l'artista è bravo, sa dosare il colore con personale originalità e sa cogliere, della persona ritratta, l'anima, con semplicità, forza e tanta bravura.
Solo un animo sensibile e attento può ottenere questi risultati. Gli propongo un'intervista, mi sta incuriosendo: gli brillano gli occhi, non se lo aspettava, lui che non ha mai partecipato neppure ad un'esposizione! Ci accordiamo per l'intervista, approfondisco la conoscenza, rimango strabiliata dalla personalità che ho scoperto… Un vero, autentico artista! Non me lo aspettavo da un ambulante, ma da tempo so con certezza che l'arte si annida là dove meno te l'aspetti.
Tutti ci chiediamo cos’è l'arte, sono state date tante risposte, nessuna esaustiva. Alla base ci vuole talento, capacità di realizzazione tecnica, poi impegno, resilienza, soprattutto avere un animo sensibile in grado di cogliere gli aspetti più profondi e nascosti della realtà, con le sue infinite sfumature. L’artista è, per sua natura, ipersensibile, perché così attento ai moti dei sentimenti e delle sensazioni, vive per primo queste emozioni.
Fa la differenza il suo bisogno di comunicare il proprio sentire agli altri esseri umani, in un afflato di universalizzazione del pensiero. La poesia, l'arte, sono tali, solo quando superano il sentire individuale per trasportarlo nell'universale, in un'osservazione corale dell'identità umana.
È un bisogno di condivisione e di comunicazione che trova la propria realizzazione nell'incontro con l'altro, perché la sensazione dell'immane sentimento umano unisce e consola nella condivisione. L'arte non deve essere mai mero sfogatoio delle personali tribolazioni, ma il canto idilliaco del loro superamento.
Nella gioia, come nel dolore, nel godimento, come nel tormento. Ciò che ha spinto Sergio Perosa verso il ritratto è stata l'attrazione verso l'altro, un profondo desiderio di dialogo e di colloquio intimo con l'anima della persona che ritrae.
È un rispecchiamento, d'altronde in psicologia si dice che ogni ritratto sia l' autoritratto dell'artista, un riconoscersi delle anime, così accurato che a volte la persona ritratta trova parti di sé presenti, ma ancora latenti.
Quando si ritrae una persona, si scrutano le fattezze, cercando di cogliere, al di là dell'aspetto visibile, la muscolatura che ricopre lo scheletro che sottende ai lineamenti. Emergono i piccoli moti degli occhi, della bocca, delle sopracciglia, persino il naso ed il mento hanno guizzi. E mentre l'artista cerca la somiglianza è come se entrasse nell'anima e nel pensiero della persona, pian piano ne va scoprendo i segreti nascosti, che si riveleranno nell’opera finita.
Un ritrattista è grande non solo quando cattura la somiglianza, ma quando sa cogliere le sfumature emozionali e caratteriali. Succede che, a volte, in un ritratto si riconosca una persona cara, perchè ne emergono, come dal limbo, le sue particolarità, che hanno determinato la qualità alla persona ritratta. A volte invece si riconoscono tendenze sgradevoli, come può emergere una bontà inaspettata. E' una scoperta che affascina e che incanta!
Sergio Perosa si sente realizzato quando crea questo contatto con l'altro e questa sua passione lo spinge a dedicare parte del suo tempo, già pieno di impegni, al ritratto e lo può fare a piacimento con la sua attrezzatura di ambulante. La sua compulsione a ritrarre, a cogliere i volti, lo obbliga ad avere sempre con sé un album, che utilizza ogni volta che può catturare volti che lo attraggono. Così come facevano Modigliani, Degas, Toulouse-Lautrec e tanti altri artisti che hanno disegnato nei bar a Parigi, proprio come fa ancora, dappertutto Sergio, che a Parigi ha vissuto e si è perfezionato in arte.
Nonostante la sua bravura, probabilmente questo artista non diventerà mai famoso, ma ci saranno molte persone che terranno caro quel ritratto, perché l'artista ne ha colto i lati più interessanti e nascosti ed ha saputo renderli in modo mirabile e molto apprezzabile anche per l'armonia dei colori, che si adatta ad ogni personalità, creando un equilibrato insieme di grande impatto.
Certo, c'è la fotografia, che è la fedele riproduzione della realtà: ma in questi ritratti viene colto anche l'animo più segreto, che nessuna camera coglierà mai!
Ho intervistato Sergio Perosa:
Quando hai scoperto di voler diventare artista?
Intorno ai 16 anni, ho cercato l’incontro personale con gli artisti che gravitavano attorno al lago D’Orta, dove ho vissuto fino ai 18 anni. È stato il mio rito d’iniziazione: mi presentavo a casa degli artisti con qualche mia opera e volevo che mi dessero il loro punto di vista su di me, sui miei lavori. Ero curioso della loro vita artistica. Nessuno mi ha mai detto di no, con alcuni ho sviluppato un rapporto di amicizia che in un caso dura tuttora.
Come ti sei avvicinato al mondo dell'arte?
Da piccolo seguivo mio padre, architetto, nei cantieri. Uno di questi era il restauro di una pieve medioevale affrescata. Seguivo i restauratori sui ponteggi, ho avuto la fortuna di vedere le pennellate originali, la miscelazione dei colori e le tecniche di restauro: la trasparenza tra disegno, colore, macchie d’umidità, scoloriture del tempo, il lavoro del salnitro e la dilavazione dell’umido sono state l’imprinting che caratterizza i miei lavori. Non nascondo i ripensamenti e non uso cancellazioni nei miei lavori.
Cosa ti ha spinto a scegliere i soggetti e le tematiche?
Ho da sempre avuto la vocazione per il ritratto, fin dall’infanzia ero attratto dall’altro, dal suo sguardo. Durante la mia infanzia mi feci regalare dei libri di disegno: erano opere di Michelangelo, Tiziano, Leonardo ed anche artisti minori: sono tutti ritratti o figure. Ovviamente simboleggiano Santi, Angeli, ma sono così reali che sicuramente erano presi dal vivo, sono uomini o donne ritratte ed investite, nell’opera, di aspetti religiosi dell’umanità intera.
Quali significati vuoi rappresentare nelle opere?
I ritratti che eseguo nascono dal rapporto tra me e l’anima della persona davanti. Non nascondo che sia un dialogo inconscio e che spesso sfugge ad entrambi se non, a lavoro ultimato, per rispecchiarsi profondamente. È un senso di riconoscimento dell’uno nella natura dell’altro.
Quanto c'è della tua vita nelle tue opere?
Le mie opere sono lo specchio della mia anima che si confronta con gli altri.
A quale Corrente artistica ti ispiri?
Non appartengo a nessuna Corrente, almeno io non la conosco: provo vera estasi artistica dagli affreschi medioevali. Mi ispiro al succedersi delle epoche e stili come nella basilica di San Marco in Venezia o Ayasofya a Istanbul.
Come vedi il mondo dell'arte italiana? E quello estero?
Non sono esperto dell’una né dell’altra. La mia esperienza in Francia mi ha impressionato per quanto rispetto ci sia per il mondo dell’arte moderna italiana.
Cosa pensi dell'arte contemporanea, del mondo dell'arte, dei critici e dei curatori?
È veramente un mondo a me estraneo.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Impegnarmi sempre di più nella fluidità e proporzione. Ogni opera che realizzo per me è una tavola sperimentale in cui soffro e mi impegno con una concentrazione che mi lascia ogni volta senza energia.
Quanto ti senti soddisfatto delle opere che realizzi?
In ognuna di esse vedo il passo in più svolto, adoro vedere i percorsi arzigogolati che ho fatto, non ho idea di dove stia andando. Provo grande soddisfazione nel condividere le strane esigenze della mia anima con le persone ritratte, nei loro occhi leggo quanto sia trasparente questo processo.
Quali Esposizioni ritieni più significative nella tua vita artistica?
Non ne ho mai fatte, ho sempre regalato o venduto le opere alla persona ritratta.
Consiglieresti a un giovane artista di intraprendere questa carriera?
La mia anima mi ha condotto qua e per gran parte della mia vita non l’ho seguita. Consiglio ad altri di leggere meglio, prima e più profondamente i propri moti dell’animo.
Quali sono i tuoi artisti preferiti e perchè?
La mia personale “Cappella Sistina” è l’Ambone della Basilica di San Giulio in Orta; percepisco che lo scultore ha ritratto i soggetti da lui veramente toccati e vissuti. Si stacca dall’iconografia dei suoi contemporanei: per me esiste un prima ed un dopo questa opera. Andrej Rublëv, la sua Sacra Famiglia mi è sempre stata fonte di ispirazione. Nella mia tavolozza vi sono inconsciamente i medesimi colori, mi ha insegnato a non avere paura ad inserire il vissuto ed il punto di vista su sse stessi. Sergio Floriani perché è colui che ha letto in me l’anima artistica e questo mi ha aiutato molto a ritrovarmi. Mi specchio molto nelle sue opere tanto distanti stilisticamente da quello che io faccio.
Quali artisti contemporanei secondo te passeranno alla storia?
Il mio amico Sergio Floriani. Seguo da tempo il percorso di Grazia Toderi, per la sua visione estaticamente poetica.
Descrivi la vita in piazza del Duomo e le tue esperienze connesse.
Eseguo ritratti a pagamento in piazza Duomo a Milano. Traggo grande appagamento, perché è un’esperienza totalizzante, un' immersione ed esposizione al pubblico di me come artista. È il mio momento di dialogo con l’anima. Vi sono degli episodi che descrivono ciò che avviene: una sera tardi, stanco e senza energie, sono in attesa di salire sul tram 12 per tornare a casa. Un barbone, visibilmente disturbato e disturbante mi vede con il mio carrello da ambulante e mi domanda con un cenno delle mani se “faccio musica”. Io rispondo con una mano che mima il pennello sulla tela. Lui mi risponde: “my respect, Bro”. Eravamo in mezzo a migliaia di persone e lui mi ha riconosciuto ed accettato nella combricola di coloro che vivono per strada.
Un giorno si avvicina un ragazzo disadattato di circa 25 anni e mi chiede di raccontargli una storia bella. Gli faccio cenno di sedersi e comincio a fargli un ritratto, lui impaurito fa cenno di andarsene, ma lo rassicuro che è gratis. Inizia a raccontarmi della sua vita, dei travagli di russo senza documenti in Italia, di senza tetto e senza speranza se rimpatriato e poi della sua volontà di incontrare un amore e “mettersi a posto”. Alla fine gli ho consegnato la sua bella storia.
Un altro episodio: si siede una signora anziana con modi rudi e mi dice che vuole il ritratto suo e di suo marito da consegnare ai figli. Sono appena usciti dall’ospedale dove hanno diagnosticato un male incurabile all’uomo e gli rimane ben poco da vivere. Si raccomanda che sia un “bel ritratto”. Una ragazza si siede e desidera il ritratto, mi racconta dei suoi sogni e del mondo del lavoro in cui si sta affacciando: è il giorno del suo ventesimo compleanno e vuole festeggiarlo dedicandosi all’arte. Rimane impressionata dalla mia libertà nei colori, passerà la giornata, su mio consiglio, a visitare la mostra di Goya e poi a Brera.
Perché hai scelto di dipingere ritratti come ambulante?
Sono sinceramente interessato all’incontro con l’altro, alla conoscenza intima e non formale del vissuto di altre persone. Io faccio tuttora ritratti nei bar e per strada. A Parigi, dove ho vissuto per anni, mi mettevo sulle scalinate dell’Opéra o ai Jardin Tino Rossi. A Milano alle colonne di San Lorenzo, al Joy Bar, al Cinemino, o altri bar a caso. La mia anima è raminga come una scultura di Giacometti.
Quanto ti senti soddisfatto di questo lavoro?
Dialogare attraverso il disegno è parte essenziale di me, non posso ritenerlo un lavoro. Appena posso mi dedico a fare ritratti, anche in attesa all’aeroporto o per strada se ho un momento: porto sempre con me un album ed una matita, non mi serve nulla d’altro... in realtà con me c’è sempre la mia Laica M11 Mono.
Quali difficoltà incontri in esso?
Nessuna, è veramente la mia natura.
Come sono i tuoi rapporti con le persone a cui fai il ritratto?
Dopo l’esperienza del ritratto, rimaniamo a volte in contatto su Instagram. Con altri ho sviluppato una vera amicizia professionale: artisti, ballerini, fotografi e musicisti mi hanno aiutato a produrre dei video con al centro la mia strana arte (potete trovarli sul mio profilo Instagram: perosaarte).
Chi sono le persone che ti chiedono il ritratto?
I miei clienti in Duomo sono per lo più turisti in cerca di un souvenir e di un’esperienza particolare da raccontare. Ho avuto foto e video prese durante il ritratto in moltissime “Stories” in tutte le parti del mondo. Diverso è quando io chiedo a qualcuno di posare per me, sono persone che stanno passando una serata al bar con gli amici o con colleghi in pausa. Rimangono tutti stupiti di quanto possa essere un’esperienza intima: più di una persona ritratta si è messa a piangere riflessa nella sua essenza e persa nel proprio dialogo interiore.
Mi ricordo a tal proposito di uno spacciatore in zona Colonne di San Lorenzo. Si vantava durante il ritratto di avere anni di galera ed un viso da duro. Gli ho risposto che non avevo problemi a disegnare le sue cicatrici ed un viso dai lineamenti scavati ed effettivamente da duro, ma che mi risaltava di più la luce dei suoi occhi pieni d’amore, un amore che sembra non esser mai riuscito ad uscire. Alla fine mi ha stretto la mano, come tra pari, cosa inusuale per lui, confidandomi che nessuno lo aveva mai capito come io l’avevo letto dentro e di aver capito di quanto avesse nascosto l’amore anche a se stesso.
Rapporti con i passanti.
I passanti sono incuriositi da ciò che sta avvenendo, ne sentono l’energia. A volte la loro curiosità si concentra sui colori che definiscono mano a mano la figura, ma spesso cadono nel dialogo intimo che sta avvenendo cercando di preservarlo.
Intendi continuare con questo lavoro? Ne hai un altro?
Questa è la mia vita, certo che continuerò. Per vivere economicamente faccio altri lavori, sono turnaround manager e gestisco due aziende di proprietà.
Per un ulteriore approfondimento su Sergio Perosa
Quanto conosci dell'Arte Contemporanea?
Poco o nulla, nei primi anni '90 andavo ad Artissima, al Castello di Rivoli e alle Biennali di Venezia con regolarità, oltre a non perdermi le esposizioni più importanti. Dal '96 in poi sono stato completamente assorbito dalla carriera professionale e non ho avuto più modo di frequentare gli ambienti artistici.
Perché hai scelto l'acquerello? Quali altre tecniche conosci?
L'acquerello è il mezzo artistico che prediligo. Artisticamente nasco come colorista ad olio, con gli anni ho esplorato l'aerografo, ho sperimentato la computer grafica e per studi tecnici e professionali, sono un ottimo disegnatore CAD 3D. Con gli anni sono passato dal mondo del colore a quello del segno nero della grafite. Gli studi artistici tardivi a 46 anni mi hanno regalato la proporzione e l'essenzialità, l'unico mezzo che utilizzavo era la matita e così successivamente. Solo di recente ho introdotto il colore con l'acquerello: lo utilizzo come un affresco, i miei colori sono una ricerca psicologica e seguono le ragioni del sentire e non del vedere.
Quali sono le difficoltà nella vita di ambulante?
Per come la interpreto io nessuna: ho la fortuna di non avere assilli economici e dedico a questa attività solo il tempo che gli altri impegni mi permettono. Mi considero un "pertigante", erano gli uomini che, dall'invenzione delle stampe in poi e nei mesi invernali, che non permettevano il lavoro nei campi, andavano di villaggio in villaggio a vendere stampe artistiche. Le uniche che la gente poteva permettersi per avere in casa un'immagine sacra devozionale. La “pertiga” era un bastone che usavano per tutto: per difendersi dagli animali, come appoggio, come struttura per sostenere il tabarro e fare una tenda improvvisata per la notte. Col mio blocco da disegno, matita e acquerelli, vado di bar in bar, a Milano come a Parigi o qualunque altra città, mi porti il lavoro e porto un po’ di arte nelle case di molte persone.
Perché sei stato a Parigi? Puoi descrivere quell'esperienza?
Ho vissuto a Parigi per qualche anno per motivi professionali. Abitavo a 5 minuti a piedi dall’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts de Paris, che sarebbe la “Brera” di Parigi e così ho deciso di iscrivermi frequentando solo i Corsi che il tempo strappato al lavoro mi permetteva. Per fortuna i Corsi che avevo scelto erano il lunedì pomeriggio e venerdì mattina, così ho potuto frequentarli con continuità. Ho vissuto anni in Inghilterra, in Italia ho vissuto a Torino, Vicenza, Padova, Roma, Modena, Perugia... Solo per citarne alcune. Sono veramente un girovago senza fissa dimora.
Che studi hai fatto nel mondo dell'Arte?
Nell'infanzia ed adolescenza sono stato autodidatta, sono cresciuto artisticamente confrontandomi direttamente con chi l'arte la faceva: frequentavo con assiduità gli artisti, i grafici ed i restauratori. Solo a 46 anni la vita mi ha permesso di strutturare degli studi accademici seri a Parigi: ho frequentato per 4 anni i Corsi di Anatomia e Morfologia umana con modelli dal vivo.
Cosa mi racconti degli altri ambulanti?
Alcuni di loro hanno studi strutturati e si vede nei lavori, altri hanno padronanza di alcuni trucchetti che, chi è disegnatore come me conosce e quindi sono buoni artigiani. I discorsi che per lo più scambiamo sono inerenti agli spazi a disposizione del Comune, le assegnazioni con antichi e nuovi rancori. Con alcuni ho sentito subito affiorare un non so che di ansia da competizione nei loro discorsi. Per mia natura vorrei un dialogo aperto ed evolutivo, ma non ho ancora trovato l'ambulante giusto.
In conclusione
Emergono dall'intervista molti aspetti interessanti di questo artista, non solo appassionato d'arte, ma anche fine conoscitore del mondo, di cui sa apprezzare il bene e il male, in un atteggiamento di comprensione e condivisione mirabile. La sua sensibilità di artista lo porta ad un'empatia fuori dal comune, che lui ha arricchito in tanti anni a contatto con le persone più improbabili e disparate.
È stato un incontro fortunato il mio e la scoperta di un artista dal profondo sentire, che sa non solo dipingere, ma anche capire gli altri, qualità di grande pregio nell'affannarsi quotidiano, a lui ben presente nelle ore in cui trascorre il suo tempo in piazza del Duomo a Milano.