Gli artisti della recente mostra Trialogo; curata da Gianluca Marziani, che presenta opere di Matteo Basilé, fotografo di fama internazionale noto per le sue immagini oniriche e surreali al confine tra fotografia, pittura, cinema, scultura, architettura; Danilo Bucchi che rimanda alla tradizione dell’astrazione europea con l’utilizzo di tecniche e supporti tecnologici; e Paolo Grassino che crea sculture di grande impatto che generano nell’osservatore una profonda riflessione sul mondo che abbiamo creato e nel quale viviamo; erano tutti attivi negli Anni Novanta quando la tecnologia digitale in un qualche modo rivoluziona la vita di tutti noi ed anche quella artistica. Un periodo importantissimo per comprendere la cultura e l’arte di oggi, così, nel giorno del suo compleanno, ho incontrato negli spazi della Basile Contemporary a Roma, a pochi passi da Piazza Navona, Rosa Basile e ho cercato di approfondire con lei gli artisti ed il tema della mostra.

Puoi raccontarmi come è nata l’idea di questa mostra?

La mostra inaugurata sotto la curatela di Gianluca Marziani ha alla sua base l’idea di unire insieme questi tre artisti contemporanei mid-career. E’ partita da una mia intuizione perché trovavo delle assonanze tra di loro, banalmente nella cromia ma anche, ancora più forti, nel lavoro. A mio avviso, sono tutti e tre molto forti nelle loro dichiarazioni artistiche. Paolo Grassino è uno scultore, Matteo Basilé è un fotografo, Danilo Bucchi parte dal disegno per arrivare alla pittura ed ad un certo punto alla scultura. La mostra è stata orchestrata da Marziani che ha trovato subito quando gli ho esposto questo progetto, ha visto anche lui una triade che funzionava molto bene e il risultato che abbiamo avuto di pubblico lo ha confermato. Molti ne hanno apprezzato l’eleganza e la sobrietà. Questa è una parete “costellation” dove ci sono tutti e tre gli artisti e qui la destra e la sinistra si potrebbero addirittura confondere, Paolo Grassino e Danilo Bucchi sono diversi ma hanno un’assonanza qualcosa che li unisce come per esempio il cerchio di Bucchi che riprende la scultura di Grassino. In mostra ci sono due teste di Paolo, una è collocata in alto per cui ha un effetto sorpresa che noti solo quando alzi gli occhi in alto. Quello è un cemento puro ed è affiancata all’opera di Basilé che rappresenta una cava di marmo, quindi il marmo prima di essere lavorato. Un altro innesto particolare è quello tra la natura e l’essere umano, lo ritroviamo in Basilé ma anche in Grassino che hanno entrambi questo modo di far uscire dalla natura l’essere umano o dall’essere umano addirittura la natura come fa in alcune foto Basilé. Tutto questo ci ha dato la musica, ci sembrava una melodia orecchiabile perché questi tre artisti che esplodono negli anni 90, hanno più o meno la stessa età, quindi questa musica ci è sembrato che funzionasse e il resto lo lasciamo decidere a chi verrà a visitare questa mostra.

Cambiando argomento, l’esperienza di questa galleria nasce durante l’epidemia giusto?

La galleria in questo spazio specifico apre due anni e mezzo fa, quindi la galleria è giovane ma io come fondatrice della galleria ho un percorso alle spalle molto più consolidato. Ho un’esperienza nel campo da più di vent’anni, sia nell’ambito storicizzato sia in quello contemporaneo. Ad un certo punto della mia vita apro questa sede e dichiaro che la galleria vuole seguire un contemporaneo vivente con un curriculum alle spalle importante ma strizza l’occhio allo storicizzato qualora ci fosse la possibilità o la volontà di creare un dialogo perché io ho sempre dichiarato che a mio avviso non c’è mai stato un punto di rottura nel senso che l’arte è un filo continuo, cambiano i tempi, cambiano le forme, qualcosa si alza qualcosa si abbassa ma in realtà tutto è collegato da un filo. Per cui quando c’è la possibilità lo storicizzato può parlare con il contemporaneo, può fare da specchio all’artista giovane. Cioè l’artista giovane si rivede sia in quel mezzo sia in quel passato per cui è tutto un filo. Se vogliamo trovare un’impronta della galleria questa è la promozione e valorizzazione di artisti mid-career senza privilegiare una pratica artistica particolare come puoi vedere anche nella mostra in corso.

Da quello che mi racconti mi viene in mente un’opera di Maurizio Nannucci che accoglieva i visitatori di un museo egiziano in Germania, non ricordo il nome, e che diceva Tutta l’arte è sempre stata contemporanea.

Sottoscrivo questa dichiarazione. Noi non facciamo altro che raccontare il tempo che abbiamo davanti, raccontiamo in una stanza vuota ciò che accade all’esterno. Ognuno con il suo stile, la sua pratica, la sua sensibilità racconta la storia. Il gallerista racconta la storia secondo la sua sensibilità ed il suo punto di vista. In ogni caso racconta la storia. In questa galleria è sempre ben accetto il racconto dell’artista, la sua voce, poiché nessuno più di lui riesce ad esprimere se stesso. È ovvio che è l’opera che prima di tutto parla con la voce dell’artista, con un linguaggio immediato che non è quello del curatore o del gallerista.