L’impressione d’impatto è una gigantografia, invece è una tela, olio e tempera. Lo sguardo sempre più catturato scopre che si tratta di precisione del pennello. È l’arte di Gottfried Helnwein, pittore austriaco iperrealista, che è stata esposta per la seconda volta quest’anno, dopo 11 anni e, al solito, in maniera molto interessante al museo Albertina a Vienna.

Per comprendere l’arte di Helnwein è imprescindibile porsi oltre l’apparenza. Scavare le intime necessità espressive del pittore un senso di inevitabilità che pervade i suoi personaggi:

I miei quadri colgono dei momenti, ma sta all’osservatore completarli con un prima e un dopo. In quasi mezzo secolo ho visto reazioni emotive molto forti davanti alle mie tele. Un’immagine può dire molto più delle parole.

Nato nell’immediato dopoguerra Helnwein, come altri artisti a lui contemporanei, inizia a fare i conti con le colpe derivate dalla sua appartenenza all’identità tedesca nell’incendio politico, ideologico e culturale del 1968. Scopre l’orrore compiuto nella clinica Spiegelgrund di Vienna dove il responsabile dell’istituto sanitario, Gross, procedeva al programma di eutanasia infantile da dopo l’Anscluss (annessione nazista dell’Austria) tra il 1939 e il 1945.

Nonostante si fosse reso colpevole dell’uccisione di 789 bambini “non ariani” poiché disabili, orfani e “degenerati razziali” fu condannato a soli due anni di reclusione dopo la fine della guerra e poté continuare la sua attività medica come neurologo e psichiatra forense ricevendo addirittura una medaglia “per la scienze e le arti” consegnatagli dal governo austriaco nel 1975. A sua difesa Gross affermò che i bambini non avevano sofferto poiché gli forniva cibo avvelenato dando loro la morte “serenamente” ma il ritrovamento di centinaia di resti, soprattutto cervelli di bimbi conservati in formaldeide per futuri esperimenti e la denuncia di Elwein portano ad un nuovo precesso verso la fine del secolo ma Gross morì nel suo letto senza aver fatto un solo altro giorno di carcere.

L’opera di Helwein fu una terribile denuncia contro Gross e la vergona che il suo Paese non mostrava di fronte a tale abominio. Lebensunwertes Leben [Vita indegna di essere vissuta] raffigura in chiave iperrealistica una bambina con la testa riversa sul piatto. La piccola ha ancora il cucchiaio in mano e dalla bocca aperta scende del cibo. Una denuncia che continuerà per fare i conti contro la violenza e la brutalità che il nazismo e la guerra hanno prodotto rompendo tabù e vergogne.

Le sue opere rappresentano quest’ansia di denuncia e di disaccoppiamento dal passato; l’infanzia indifesa da tutto e tutti diventa così il cuore della sua attenzione.

La sua arte rappresenta il bambino ferito, sfregiato fisicamente e psicologicamente, coperto di bende sanguinanti; pone l’infanzia a ruolo di vittima predestinata durante il nazismo, durante la guerra e poi ancora nelle guerre di ieri e di oggi, come nella serie di tele The Disaster of War 49, 51 e 66 dal 2016 al 2019 o nella serie The Murmur of the Innocents, 22 e 39 dal 2011 al 2012.

Il suo soggetto è la condizione umana che espone con deflagrante espressività. Per questo il suo lavoro viene da alcuni considerato controverso. Certamente è provocazione forte, diretta al cuore e alla mente di chi osserva le sue tele e ne rimane stordito, poiché non intende rappresentare suoi incubi ma denunciare il male. Afferma Helnwein: “La violenza contro chi non può difendersi attraversa la storia dell’umanità ed è soprattutto maschile e soprattutto contro donne e bambini. È una cosa che non capisco. Ho visto foto forensi che non mi hanno mai abbandonato. La vulnerabilità, in particolare di bambini, è semplicemente il tema che mi ha portato all’arte”.

Nella tela Encounter 2 (The Man Who Laughts) del 2014, Hitler sorride come una iena di fronte alla preda, un Topolino/Minnie, agghiacciata dalla persona che ha davanti. Topolino rappresenta la realtà distopica dell’infanzia violata e mostra in quasi tutte le tele che lo raffigurano un ghigno quasi diabolico e al contempo impaurito che mostra i denti della paura, del disprezzo.

La tela di maggior impatto e provocazione è la solita iperrealista rappresentazione di quanto sia pericolosa l’adorazione umana verso il capo, in questo caso il maligno. In Epiphany I (Adoration of the Magi) Helwein riprende una foto della propaganda del regime nazista che raffigura Hitler circondato dai suoi gerarchi in adorazione; dipinge la foto ma ne modifica il soggetto centrale. Non c’è più il dittatore nazista ma una madre con bambino che rammenta la madonna dei cattolici con il pargolo sulle gambe. Così vuole rappresentare l’incarnazione dell’individuo innocente e indifeso in balia della brutalità non conclusa ma pericolo costante.