L’antica Roma è di certo un momento fondativo dell’intera civiltà occidentale e non solo e, proprio per questo motivo, è stata una fucina inesauribile di miti che hanno ispirato la letteratura e il cinema. Uno di questi è il mito del gladiatore, lo schiavo che combatte nell’arena per il divertimento dei Romani, mito che nel XXI secolo ha conosciuto la sua massima consacrazione nel film di Ridley Scott Il Gladiatore. Quello della gladiatura è un mito riscoperto dal romanticismo in avanti, e che ha avuto fortuna soprattutto grazie al personaggio storico di Spartaco, il gladiatore ribelle. Ma che ora è più legato alla fittizia figura di Massimo Decimo Meridio.

Come è ben noto, il film di Ridley Scott si prende diverse libertà, a cominciare dal nome del protagonista, dove nome, cognome e soprannome sono mischiati (la dizione corretta sarebbe Decimo Meridio Massimo), al fatto che i Romani non chiamavano Colosseo il Colosseo, bensì Anfiteatro Flavio, sino alle molte libertà riguardo le vicende di Marco Aurelio (che non morì assassinato, bensì probabilmente di peste), a Commodo.

Poi ci sono molti “errori che non sono errori” o non lo sono in senso stretto: le tigri erano conosciute dai Romani che le importavano da una regione della Persia chiamata Ircania, e la questione del pollice verso, popolarizzata dall’omonimo quadro del pittore francese Jean-Léon Gérôme e che è errato, ma che oramai è talmente entrato nell’immaginario che non avrebbe avuto senso cambiarlo.

Ridley Scott però non si è inventato tutto di sana pianta. La storia è vagamente ispirata a personaggi realmente esistiti. Al di là dei personaggi storici oltre ogni ragionevole dubbio, quali Marco, Aurelio, Commodo e Lucilla, lo stesso Massimo non è completamente inventato, ma è la fusione di alcuni personaggi realmente esistiti: il prototipo è Tiberio Claudio Pompeiano, un generale originario di Antiochia.

Come Massimo, si distinse nelle Guerre Marcomanniche. Come Massimo, rifiutò la porpora imperiale che gli era stata offerta da Marco Aurelio. E come Massimo ebbe rapporti profondi con la figlia di Marco Aurelio, Lucilla, dato che Pompeiano era proprio il marito di Lucilla. Ma a differenza di Massimo, dopo la morte di Marco Aurelio, evitò di immischiarsi nelle lotte di potere e visse tranquillamente sino alla fine dei suoi giorni, a differenza della moglie. Un altro punto in cui il film di Ridley Scott devia dalla Storia è nella sorte di Lucilla che cospirò contro il fratello, ma venne scoperta, esiliata e poi uccisa.

E qui veniamo al secondo personaggio che ha ispirato Massimo: il gladiatore Narcisso. Commodo amava davvero scendere nell’arena a combattere coi gladiatori. E aveva un allenatore personale, il gladiatore Narcisso. Che fu anche colui che lo uccise in un complotto ordito non da Lucilla ma dall’amante dell’imperatore, una donna cristiana di nome Marzia. Narcisso non uccise Commodo nell’arena, ma strangolandolo in una piscina. Il successore di Commodo, Pertinace, fece poi giustiziare tutti i congiurati.

Ma allora Il Gladiatore merita lo status di film iconico? Sì, e per vari motivi. Innanzitutto è un grande racconto archetipico, è il perfetto viaggio dell’eroe. E possiamo perdonare vari svarioni storici. Pensiamo che anche il sommo Shakespeare infarcì il suo Julius Caesar di moltissimi anacronismi (tra cui addirittura il rintocco delle campane!), ma non per questo il suo dramma non è un capolavoro.

E poi c’è anche una ragione storica. Il Gladiatore si prende molte libertà riguardo gli eventi storici, ma ripropone lo spirito romano spesso frainteso da Hollywood. Il Gladiatore è il film che meglio di ogni altro rappresenta la mentalità di un antico romano, mostrando anche alcuni usi religiosi (come l’altare dei Lari), e soprattutto non giudica una mentalità così lontana da noi. Hollywood ha sempre avuto il pessimo vizio di rappresentare i Romani come una sorta di “fascisti del mondo antico”, cosa assolutamente lontana dalla realtà (si pensi all’assenza assoluta di ogni forma di razzismo o etnocentrismo nella mentalità romana).

Paradossalmente, un film che invece mostra aspetti anacronistici è un altro film a tema gladiatorio, lo Spartacus di Stanley Kubrick, nel quale il gladiatore ribelle è visto come una sorta di rivoluzionario dell’antichità. Questa lettura errata nasce da una lettera di Karl Marx a Engels nel quale Spartaco viene definito “genuino rappresentante dell’antico proletariato”. Questa visione influenzò i vari movimenti comunisti ma Spartaco, pur uomo colto e intelligente, non ebbe mai una visione di lotta di classe o un progetto rivoluzionario organico semplicemente perché in quei tempi non era nemmeno concepibile. Questo sì che è un anacronismo, assai più grave di quelli contenuti ne Il Gladiatore.