Alcuni dicono che non ci sono più i cantautori di una volta.
Forse però siamo legati alla visione del cantautore con la chitarra classica, la barba e il bicchiere di vino, ai versi in rima baciata, alla solita sequenza di accordi, al significato politico o sociale, a quel tono solenne che ci porta fuori dal tempo.
Il poeta De Andrè, il grandissimo Dalla, l’immenso Gaber...ma di bravi cantautori vivi ne abbiamo? O erano bravi solo quelli morti?
Se pensiamo a un cantautore dei giorni nostri, probabilmente ci verrà in mente Brunori e non Manuel Agnelli, perché Agnelli fa rock.
Idem per Madame o Carmen Consoli, entrambe scrivono e cantano le proprie canzoni, ma Madame fa trap, che non è un genere musicale per cantautori.
Ma siamo proprio sicuri?
Definizione di cantautore:
Da treccani : Cantautore (o cantautrice) - Termine, entrato in uso intorno al 1960, con cui vengono indicati quei cantanti di musica leggera che sono anche autori dei testi delle canzoni che presentano.
Musica leggera quindi, intesa tutta la musica che non sia classica, la cosiddetta popular music.
Il mio maestro di musica una volta, prestandomi dei dischi di opera lirica, mi disse “questa è musica, tutto il resto sono solo canzonette”.
Indie, trap, rap, rock, pop, cantautorato impegnato, new soul, indie rock, indie pop, pop rock, italian new wave, heavy metal, classic metal, elettronica…tutte canzonette a quanto pare.
Quella di dare un nome ai generi musicali è sempre stata una pratica nociva, a furia di incasellare le produzioni, si è arrivati a produrre musica per una specifica casella.
I musicisti orientano il proprio suono e la propria scrittura verso i generi musicali che già esistono, limitando di fatto le proprie possibilità creative per adeguarsi alle esigenze di mercato.
Il mondo dei critici musicali non fa che alimentare questa pratica, cercando subito di catalogare i nuovi ascolti verso qualcosa che già esiste, ed è sicuramente già stata fatta meglio.
Una donna che scrive pezzi rock, sarà mai chiamata cantautrice? Un brano con un sound pop e ballabile ma con un testo impegnato, sarà mai definito come musica d’autore?
Definizione di canzone d’autore secondo (www.canzoneitaliana.it)
La “canzone d'autore” è quella che aspira ad elevarsi al di sopra della media, intesa come prodotto di serie concepito per un mercato di massa. E dunque persegue una propria poetica originale attraverso l'uso di un linguaggio meno convenzionale, musiche, timbri e arrangiamenti meno stereotipati.
Musiche, timbri e arrangiamenti meno stereotipati.
La figura del cantautore nasce per rispondere a un’esigenza ben precisa: farsi voce del popolo, esprimere concetti profondi che raccontino un disagio sociale.
Inevitabilmente quindi, il cantautore per anni è stato strumento della politica o, viceversa ha fatto politica attraverso la propria musica.
Rosa Balistreri si definì “un’attivista con la chitarra”, si fece voce degli oppressi, degli ultimi, dei dimenticati.
Ci sono gruppi rock che scrivono testi densi di politica, di un’intelligenza e profondità rari, ma a nessuno viene in mente di definire la loro musica come “canzone d’autore”, perché sul palco ci sono le chitarre elettriche, forse.
E quanta musica d’autore (o di autrice, sia ben inteso), ci perdiamo perché siamo ancora fermi a una visione stereotipata e superata, che spesso non è altro che una scadente emulazione del passato?
Il disagio delle periferie viene raccontato nei brani trap, è in quel linguaggio violento, sporco e sgrammaticato che i giovani si riconoscono.
Forse quello che per molti è un genere musicale incomprensibile rappresenta invece un linguaggio meno convenzionale, con musiche, timbri e arrangiamenti meno stereotipati.
Chi ha la presunzione di negare la potenza di una corrente musicale che si fa interprete del disagio di un’intera generazione?
C’è stato un tempo in cui si parlava di politica nella musica, perché si credeva che “libertà è partecipazione”, e nell’appartenenza ad un partito si cercava la forza, l’unità, la speranza.
Oggi è considerato oltraggioso parlare di politica nella musica.
Pensiamo a Sanremo 2024: tanta musica ballabile, pochissimi contenuti. Eppure, quei pochi brani con un accenno di messaggio sociale sono stati accusati di propaganda politica.
Quella che prima era una condizione quasi fondamentale per essere definito cantautore (o cantautrice), è diventata una colpa da espiare, qualcosa da giustificare.
Allora forse non è che i nuovi cantautori non hanno voglia di parlare di politica, ma forse parlare di politica ti impedisce di fare il cantautore o la cantautrice.
C’è quindi un cortocircuito tra quello che ci si aspetta dalla musica impegnata e quella che è la reale possibilità di diffusione di un messaggio, in un sistema in cui si ascolta sempre meno musica dal vivo e sempre più musica da un dispositivo.
E quella che ancora viene definita canzone d’autore si riduce più che altro alla ricerca di un messaggio più aureo, una sorta di snobismo musicale in cui si rifugge dalla modernità per tornare a suoni che richiamino un passato ormai trapassato, non più specchio della società ma riflesso di qualcosa che non c’è più.
Il mondo cambia sempre più velocemente; quando ci accorgeremo che anche la musica è cambiata?