Nascere e crescere in Italia con un cuore africano è come vivere costantemente su un ponte sospeso. Karima 2G, il cui vero nome è Anna Maria Gehnyei, lo sa bene. Figlia di liberiani, arrivati negli anni Settanta in Italia dove sono rimasti bloccati per via dello scoppio della guerra civile in Liberia, è una delle voci più riconoscibili tra le cosiddette "seconde generazioni" italiane, quella fascia di persone che nascono nel nostro Paese ma che per il colore della pelle e l'origine dei genitori “restano stranieri”.
Anna Maria, nata a Roma, ha smesso di fare la fila per rinnovare il permesso di soggiorno a ventiquattro anni. È a quell’età che il nostro Stato l’ha riconosciuta italiana, sebbene in Italia ci sia nata, ribadiamolo. E per arrivare alla cittadinanza anche Anna Maria, come tutti i figli d’immigrati nati nel nostro Paese, ha potuto fare domanda solo dopo i diciotto anni e, tra la domanda e l’accettazione, ne sono passati altri sei. L’Italia, in tema di cittadinanza agli stranieri, è tra i Paesi con le regole più rigide d’Europa.
Karima 2G, nel suo memoir pubblicato da Fandango Editore nel 2023, racconta anche di questo attraverso l’esperienza annuale in questura: prima minorenne con i suoi genitori, poi da sola e con il suo narrare realistico seppure spesso poetico, ci porta dentro il mondo di chi nasce in Occidente, ma da genitori africani. Una condizione che in qualche modo pone di fronte a un bivio identitario.
Da Roma, città che le ha dato i natali, Karima ha iniziato un viaggio artistico che mescola musica e attivismo: è cantante, danzatrice, producer, scrittrice e oggi si è affacciata al teatro anche come autrice. Nel frattempo si è plurilaureata in Communications e Political Science grazie a una borsa di studio internazionale riconosciutale dalla John Cabot University, proprio per il suo percorso artistico. È un esempio fulgido di seconda generazione, ma non privo di ostacoli. "Avevo sei anni quando mi chiamarono 'negra' per la prima volta”. La diversità del colore della sua pelle era vista come una barriera, qualcosa che la rendeva diversa, nonostante fosse nata e cresciuta tra i “bianchi”, in Italia. Non a caso il suo memoir s’intitola Corpo nero.
Per fortuna c’è la musica: via di fuga, ma anche megafono. Anna Maria è diventata Karima 2G, vocalist professionista, dalle consolle delle maggiori discoteche italiane ed è del 2014 il suo esordio con i video dei primi due singoli, Orangutan e Bunga Bunga, che provocano reazioni di pubblico e critica: velocemente arriva sulle riviste musicali passando per il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano e Vogue.
La musica mi ha dato la possibilità di far sentire la mia voce e ho scelto di farlo in italiano, proprio per rivolgermi a quelli che mi vedono come una straniera. L'italiano è la mia lingua, anche se le mie radici sono in Africa. Con la mia musica voglio dimostrare che si possono unire le due “appartenenze”, che esistono confini tra ciò che siamo e da dove veniamo, ma possono fondersi.
L’attenzione che Karima suscita con i due primi singoli, però, è dovuta anche al fatto che se la prende con i politici dell’epoca (il titolo Bunga Bunga, non lascia dubbi). Canzoni che ancora oggi generano molte visualizzazioni.
Rifletteva quel periodo, quando l’ho fatto, ma per molti riflette l’oggi perché forse molti politici si somigliano. Non è questione di epoche: spesso si è capiti dopo e, spesso, un brano soddisfa una necessità non necessariamente quando arriva sul mercato, ma nel momento in cui viene compreso. Il tempo non c’entra niente, perché non esiste.
Il tempo è un tema, forse è il tema quando si parla di differenze culturali. Prima ancora della lingua è il tempo che complica l’intesa tra popolazioni diverse. All’inizio dell’intervista, per esempio, ho chiesto ad Anna Maria in quale anno è nata, mi ha detto che non lo sa. Ovviamente è una provocazione, però poi mi ha spiegato:
Noi occidentali – perché anch’io lo sono visto che sono nata e cresciuta qui – siamo ossessionati dal tempo, siamo dominati dall'ansia di "gestirlo". In Liberia ancora oggi non esiste un ufficio anagrafe. E così in molti altri Paesi del continente africano. Ho riflettuto su questo: se dico quando sono nata, gli altri m’incasellano automaticamente, mi riportano a un’epoca. Invece noi siamo ieri e oggi insieme, altrimenti le vecchie canzoni smetterebbero di parlarci nel momento in cui nascono.
Pare che in Congo ci sia un detto: "Dio ha dato gli orologi agli svizzeri, il tempo agli africani". In quel continente, ma anche in Sudamerica, il tempo non si misura, si vive. È un flusso da cui lasciarsi attraversare, farsi portare. Come nella vita. Ed è quanto abbiamo fatto in questa intervista, anche con le parole e gli argomenti.
La seconda generazione, di cui fa parte, quale compito ha?
Unire le radici di una Terra alla cultura di un’altra, mettere insieme le ricchezze di entrambe. Forse questa può essere una forza che appartiene a ogni seconda o terza generazione. Qualcosa che da queste parti chiamiamo integrazione: una parola imprecisa che contiene una divisione, c’è qualcosa che stona.
Ne proponiamo una nuova?
Sì, devo pensarci però. Mi dia tempo (ride).
Va bene, intanto andiamo avanti. Come i suoi genitori hanno trasferito la loro cultura a lei e a sua sorella gemella?
Ci sono migranti che chiudono con la propria storia e vivono dimenticandola. I miei genitori ci hanno trasmesso le loro origini perché sono anche parte di noi, ma ci hanno cresciuto in modo molto italiano. Mio padre mi ha trasmesso molto con la musica. Poi noi occidentali siamo sempre lì a chiederci perché, razionalizziamo, cerchiamo spiegazioni. Invece i miei genitori mi hanno insegnato anche ad ascoltare semplicemente il silenzio, più delle parole: lì ci trovi tante spiegazioni.
Farebbe la stessa cosa con dei figli suoi?
Non lo so, ma vedo il rapporto con mia nipote: nella sua libreria ci sono libri che le ho regalato e che sono di Martin Luther King, Malcom X. La più grande soddisfazione è stata che per la tesina di terza media ha portato per la musica i canti degli schiavi liberiani, per la storia Luther King. Sono stata felice, ma ho anche pensato che forse a dodici anni è troppo. Però il passato di cui siamo fatti e che ci appartiene va trasmesso, perché nel passaggio evolve. Scommetto che anche i suoi genitori le hanno raccontato vita e opere ed eventi legati ai suoi bisavoli.
Ha vinto la scommessa. Sua sorella gemella ha fatto scelte diverse rispetto al legame con l’Africa: per esempio non è voluta andare a conoscere quella Terra.
Sì, lei delega a me la connessione con le radici e non si fa coinvolgere, diciamo che non sente i tamburi. Si può essere seconda generazione anche così.
Parliamo di ragazzi. Nel suo libro racconta in diversi capitoli delle relazioni che un’adolescente imbastisce crescendo; in alcuni casi accenna episodi degradanti, di violenza verbale, sberleffi. E poi parla di quando si è innamorata di un ragazzo di Casapound: lei attivista di sinistra, pro diritti civili e migranti. Lui l’opposto. Come avete vissuto questa contraddizione?
Le seconde generazioni sono state molto influenzate dalla cultura di sinistra. Ci sta, perché è a sinistra che tipicamente si battono per i diritti civili. Però ci sta anche un altro ragionamento che ho elaborato di recente, grazie anche a mia madre che resta la mia grande consigliera. Anni fa andò in Liberia e al ritorno mi disse di aver incontrato e perdonato le persone che avevano ucciso mia nonna durante la guerra civile: gli esseri umani possono trasformarsi – mi ha detto - prima di ogni cosa serve capire che cosa li spinge ad avere un determinato atteggiamento. È la stessa cosa per il tipo di Casapound: aveva sensi di colpa per il suo passato, viveva un conflitto interiore. È durata quel che è durata, una relazione breve, ma in quel tempo io ho accolto quella sua parte. Penso sia un approccio costruttivo, sempre.
La sua comunità che cosa pensava?
Nella comunità c’è divisione, ma credo sia normale. Per me è importante conoscere le persone, anche chi la pensa diversamente per capire chi è, il più possibile senza sovrastrutture.
Sulle coppie miste, la comunità afro nelle seconde generazioni che posizione ha?
Fa più stupore un uomo nero con una donna bianca che viceversa, almeno a Roma.
E sui luoghi comuni?
Tipo: ma i neri si abbronzano d’estate? Oppure: avete la musica nel sangue, per altro cosa non vera. Sono sciocchezze, queste. La cosa che più colpisce è un’altra: una donna nera di successo è considerata integrata, una senza successo no. Eppure il successo con l’integrazione non c’entra nulla. Però questo è l’approccio culturale generalmente da noi, in Europa.
Luoghi comuni sugli occidentali?
Non lo so io sono occidentale.
Giusto. Per sentito dire?
Diversi africani ridono sul fatto che gli italiani fanno domande che sono luoghi comuni. La relazione col “bianco” gli afro ce l’hanno sempre avuta, non possono avere pregiudizi: li conoscono. Li conosciamo.
È stato proposto un referendum per rendere meno complicata la legge sulla cittadinanza degli stranieri. Cosa ne pensa?
Le risposte al referendum sono state numerose e rappresentano l’unione di persone che credono in un cambiamento che è inevitabile, noi siamo la seconda generazione, ma a breve ci sarà la terza e questo spingerà per forza in quella direzione. Noi siamo nati con le catene alle caviglie, ma poi le abbiamo spezzate. Le cose cambiano. Bisogna solo continuare a seminare, a non arrendersi e ad avere fede.
La parola che sostituisce integrazione, l’ha trovata?
No, serve studiare un po’. Serve più tempo.
Quanto?
Quello che ci vuole.