Un’impresa ardua dare un’idea di questo Festival, “la capitale mondiale del cinema d’autore”. Mettendo da parte gli eventi e numerose conferenze che si tengono al Forum, parlerò della retrospettiva Columbia e di alcuni dei film del concorso Internazionale, fra quelli visti, che mi hanno colpito per argomento trattato, per capacità di raccontare o, meglio ancora, per le due qualità insieme.
Se non si partecipa di persona, in questa edizione si perde, e non è una perdita da poco, la retrospettiva per i cento anni della Columbia, la Lady with the torch. Ci descrive l’America con commedie spassose, ambientate anche in tribunale, o con interni di famiglie facoltose, dove la servitù è comandata a bacchetta (The Craig’s wife). Ci regala Django Unchained di Quentin Tarantino, un potente film dei giorni nostri. Introdotto da una delle produttrici, Stacey Sher, che si è detta molto fiera di aver contribuito ad un’opera di grande potenza, con effetti speciali conquistati con arduo lavoro. Dovendo fare una scelta fra un delirio di proposte del festival, che ha selezionato 225 opere, passo al resoconto di alcuni bei film, prime mondiali, che sono stati presentati al Concorso Internazionale.
Fogo de vento di Marta Mateus (Portogallo, Svizzera, Francia-2024) ci conduce nella storia dei contadini del Lentajo, alle prese con la vendemmia in giornate assolate di lavoro faticoso. L’arrivo di un toro infuriato li costringe ad arrampicarsi sugli alberi, querce antiche e accoglienti, per salvarsi la vita. Lì questa comunità, costretta a rimanervi a lungo, si apre ai ricordi, condivide pane e vino, racconta ad alta voce i sogni di una vita. C’è l’intento di fare storia attraverso i ricordi degli ultimi, “prescelti” per combattere guerre nefaste e prive di senso. Conservano una dignità pur nel dolore delle perdite di congiunti. Riconoscono che la guerra ha preservato quelli che sono sopravvissuti, dal morire di fame. Un racconto solenne, che ricorda nei tempi lenti e nella forza la tragedia greca, di cui i contadini costituiscono il coro.
Di tragico c’è soprattutto il ricordo di due guerre, quella coloniale e quella mondiale, materializzato da due foto che Maria Cristina estrae dal portafoglio e fa girare fra i compagni di lavoro che le querce hanno salvato dalla morte. Tutti eccetto uno, incornato a morte dal toro nero, per non essere riuscito a salire su un albero. A sottolineare che anche una comunità solidale lascia sempre indietro qualcuno.
In Cent mille miliards di Virgil Vernier (Francia-2024) un’atmosfera da fairy tale, voluta dal regista, viene realizzata con l’uso della pellicola e un’ambientazione natalizia a Montecarlo. Il luogo è scelto come teatro di vite di lusso. Il protagonista è Afine (Zakaria Bouti), un diciottenne cresciuto in fretta perché di professione vende il suo aspetto avvenente in incontri di tutti i tipi. Viene rimproverato dai colleghi per la scarsa convinzione nel lavoro, perché non pensa a farne una professione da centomila miliardi, vista la breve durata della bellezza su cui si basa. Ma un incontro speciale innescherà in lui un rigetto definitivo di quella vita. È invitato a Montecarlo nella lussuosa casa della famiglia di Julia (Victoire Kong), dodicenne in vacanza dal collegio nel periodo natalizio. I genitori, assenti per lavoro, l’hanno affidata alla ex baby-sitter (Mina Gajovic). E lei ha pensato di invitare Afine a tenerle compagnia e dividere con lei la cura dell’adolescente.
Fra Julia e Afine si crea un rapporto forte e delicato ad un tempo, tale da ingelosire Mina. La ingenua maturità di Julia, piena di voglia di vivere malgrado il collegio, andato a fuoco pare per causa sua, contagia Afine. E lei, nel salire sull’elicottero che la riporta in collegio, lo invita sull’isola sulla quale i suoi genitori stanno costruendo bunker antiatomici, per prepararsi al peggio. È ovviamente un rifugio sontuoso per pochi eletti ma lei lo vuole rivedere. Gli farà sapere quando è pronta l’isola. Il film, nell’intenzione del regista, è una metafora della vita, sempre in bilico fra periodi facili e pieni di doni e altri vuoti o carichi di dolore.
Vernier non giudica ma descrive cosa si cela dietro il lusso e l’apparente vita facile dei cosiddetti privilegiati. Ma vuole dirci anche che la mancanza di pregiudizi che apre ai rapporti può permettere a un’adolescente di quel mondo dorato di costruirsi una sua vita. Con la speranza, per lo spettatore, che non sia solo una fiaba di Natale.
Transamazonia di Pia Marais (Francia, Germania, Svizzera, Taiwan, Brasile- 2024) è da apprezzare per la scelta di ambientare una storia complicata, di una fanciulla spacciata per guaritrice dal sedicente padre, in una località della foresta amazzonica dove è in atto la distruzione della stessa. In tutto il mondo ormai si parla di questo scempio ambientale, per dimensioni destinato ad una ricaduta sul contenuto dell’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre, già fortemente compromesso. Vedere gli alberi cadere al suolo e le ferite di sabbia rossa che le strade infliggono alla foresta rende realtà ciò che rimaneva al livello del pensiero. È quindi uno di quei potenti messaggi che solo il Cinema riesce a mandare. E, in questi casi, ci si augura che la distribuzione del film sia il più possibile ampia.
A maggior ragione il film Green line di Sylvie Bayllot (Francia, Libano, Quatar-2024) va distribuito. Il Pardo d’oro sarebbe stato il giusto riconoscimento, in un momento storico in cui la guerra è tornata a straziare Europa e Medio Oriente. Mai nessun film è stato come questo un esempio di come impostare trattative di pace. Al film è stato attribuito il MUBI Award - Debut feature.
Il film riporta i dialoghi fra Fida e i principali protagonisti delle stragi avvenute durante una vera e propria guerra civile fra bande di un quartiere di Beirut dove la protagonista del film viveva da bambina. Ignara allora che persone che vedeva sdraiate per strada non dormissero, ma fossero morte, è tornata da grande in quei luoghi per ricostruire quello che è successo. Con domande dirette come sciabolate verso chi ha ammazzato persone fino a poco prima vicini di casa, è riuscita a ottenere risposte perché ha mediato il ricordo degli scontri ricostruendo il teatro di guerra con statuine e plastici che rendevano altro da lei e dagli interlocutori la drammatica storia recente che in quelle strade si era svolta.
L’idea di questa trasposizione è venuta alla regista Sylvie, amica di Fida e scrittrice, durante dei colloqui con lei, che cercava di elaborare, dopo più di quarant’anni, quello che aveva vissuto nell’infanzia. La prima statuina fatta è stata di lei bambina, un vestito rosso sovrastato da una massa di capelli neri. Nel film appare per prima proprio la statuina. E quando appare lei in carne ed ossa, la riconosciamo, emozionati dalla somiglianza: l’abito della protagonista, ripresa di spalle mentre cammina per le strade del quartiere, è rosso. I capelli sono una massa nera: una donna che si porta la bambina per le strade di Beirut alla ricerca, se non altro, della pace interiore.
L’imperscrutabile giudizio della giuria del Concorso Internazionale ha attribuito il Pardo d’oro a Akiplėša (Toxic) di Saulė Bliuvaitė (Lituania-2024). L’argomento, le sevizie inflitte al corpo dalle modelle, per raggiungere il grado di acorporeità che metta in risalto l’abito rispetto a chi lo indossa alle sfilate, è stato trattato estesamente da molti anni. Chi non ricorda le foto di Oliviero Toscani sul tema? Chi non sa che esiste ormai una moda chiamata Curvy? Forse quello che ha destato l’interesse della regia è il sociale, ovvero che nel desolato paese in cui è girato il film, a due giovanissime la scuola per diventare modella rappresenta l’unica possibilità loro offerta di promozione sociale. Alla Bliuvaité per questo film va riconosciuta un’ottima scelta delle due adolescenti, il senso dell’inquadratura e una bella colonna sonora.
Trailer del film Transamazonia di Pia Marais