Ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere personalmente David Lynch nel 1987, a Monzambano, un piccolo paese della provincia di Mantova.

L’indimenticabile incontro è avvenuto nella casa di un comune amico pittore, a cui avevo dedicato un documentario. La coincidenza, tanto affascinante quanto significativa, risiedeva nel fatto che anche Lynch, prima di affermarsi come cineasta, aveva intrapreso la carriera artistica come pittore, una passione che ha sempre accompagnato la sua evoluzione professionale. Ancora oggi, molte delle sue opere pittoriche sono esposte in musei e gallerie d’arte di fama internazionale, un tributo alla sua poliedrica sensibilità artistica.

Diventare un artista era per Lynch un sogno che si manifestava sin dalla sua adolescenza, periodo in cui la sua curiosità creativa cominciò ad allargarsi anche ad altri ambiti. Oltre alla pittura, si avvicinò alla musica, dove si distinse non solo come autore, ma anche come cantante e musicista. La sua presenza musicale non è confinata alla composizione, ma si estende anche alle colonne sonore dei suoi film, in cui contribuisce attivamente, infondendo alla sua opera una dimensione sonora unica e irripetibile.

La musica, in effetti, è sempre stata un elemento fondamentale per Lynch, sia nella creazione che nell’atmosfera dei suoi lavori cinematografici. Per lui, la musica non è mai stata solamente un sottofondo, ma un linguaggio preciso, fondamentale, in grado di modellare la percezione ed ampliare il confine tra realtà e immaginazione. La musica non era semplicemente un elemento della narrazione, ma la sua essenza più profonda.

Tuttavia, è il cinema l'arte che ha definitivamente conquistato il suo cuore. Nel 1966, Lynch si trasferì a Filadelfia e si iscrisse all'Accademia di Belle Arti della Pennsylvania, dove la sua passione per la settima arte prese forma concreta. Fu in questo ambiente che iniziò le sue prime esperimentazioni con la macchina da presa, realizzando il cortometraggio *Six Men Getting Sick (Sei uomini che si ammalano) *. Questa sua opera iniziale, audace e fuori dagli schemi, gli valse il primo riconoscimento importante, vincendo il concorso annuale dell'accademia. Fu solo l'inizio di una lunga serie di cortometraggi che, pur essendo brevi, si caratterizzarono per una profonda e totale libertà espressiva, segno distintivo del suo stile.

Il suo primo lungometraggio, Eraserhead – La mente che cancella (1977), divenne un cult ed una fonte di ispirazione per molti registi, incluso Stanley Kubrick, che lo definì apertamente il suo film preferito. La pellicola, con il suo inconfondibile mix di inquietudine e surrealismo, narra la disavventura di un uomo la cui fidanzata dà alla luce un bambino deforme, in un'atmosfera claustrofobica e onirica. Si racconta che Kubrick, durante le riprese di Shining, mostrasse la pellicola al suo cast come esempio di cinema fuori dagli schemi: una testimonianza del profondo impatto che il film ha avuto anche su uno dei più grandi maestri del cinema mondiale.

Con questo film Lynch non solo stabilì la sua reputazione di regista visionario e fuori dagli schemi, ma consolidò anche la sua posizione di cineasta in grado di evocare emozioni potenti attraverso immagini disturbanti e narrazioni enigmatiche.

Il film successivo di David Lynch, The Elephant Man (1980), rappresenta una delle vette della sua carriera, non solo per la sua potenza visiva e narrativa, ma anche per l’intensità emotiva che riesce a trasmettere. Questo film, che racconta la storia di Joseph Carey Merrick, un uomo britannico noto nella società vittoriana per le sue straordinarie deformità fisiche, è un’opera che non solo esplora la condizione umana sotto una luce cruda e realistica, ma affronta anche temi universali di emarginazione, compassione e dignità.

Merrick, che divenne famoso nel Regno Unito nel XIX secolo come "l'Uomo Elefante", fu un caso di studio per i medici dell'epoca e divenne una figura emblematica della discriminazione sociale. Il film è una riflessione sul corpo e sulla percezione che di esso ha la società. Lynch, con la sua tipica sensibilità per l'angoscia ed il dramma, ha saputo trasporre la vita di Merrick in un racconto che affonda le radici nell’umanità più profonda, ponendo interrogativi sulla bellezza, sul valore umano e sulla capacità di una persona di essere accettata e compresa.

La sua regia, intrisa di una rara delicatezza, ha saputo rendere la dolorosa esperienza di Merrick, non solo attraverso la sceneggiatura, ma anche grazie alla straordinaria interpretazione di John Hurt, che ha dato vita ad un personaggio tragico e struggente, suscitando un’empatia profonda nel pubblico. Il successo di The Elephant Man fu notevole, non solo a livello di critica, ma anche di pubblico. Il film ricevette ben otto nomination agli Oscar, tra cui quelle per la miglior regia e la miglior sceneggiatura, consolidando ulteriormente la reputazione di Lynch come uno dei registi più promettenti del panorama cinematografico internazionale.

Pur non vincendo nessuna delle statuette, la pellicola divenne una pietra miliare nella carriera di Lynch, segnando un passaggio significativo dalla sperimentazione dei suoi primi lavori a un impegno più complesso e narrativo, ma sempre distintivo nelle sue scelte stilistiche e tematiche.

Nel 1985, Lynch incontrò Isabella Rossellini, attrice di grande talento e figlia di due icone del cinema mondiale, Ingrid Bergman e Roberto Rossellini. Questo incontro segnò l'inizio di una lunga e significativa collaborazione artistica, culminata nel celebre Velluto Blu (1986), un film che sarebbe diventato una delle sue opere più iconiche. La loro relazione non fu solo personale, ma anche professionale, con Isabella Rossellini che divenne una presenza fissa nei suoi lavori.

Velluto Blu è un film che mescola il noir, il thriller e la riflessione sociale, ed è una delle opere che meglio rappresenta l’universo Lynchiano, dove il contrasto tra l’apparenza di normalità e la realtà sottostante di violenza e corruzione è esplorato con profondità psicologica.

Nel corso degli anni, il film ottenne un buon successo di critica, facendo guadagnare a Lynch la sua seconda candidatura all’Oscar come miglior regista. Isabella Rossellini, dal canto suo, vinse il premio Independent Spirit Award come miglior attrice protagonista, un riconoscimento che consolidò ulteriormente il suo ruolo di musa nel cinema di Lynch. La pellicola esplora tematiche di ossessione, voyeurismo e il lato oscuro della provincia americana, ma lo fa con una visione estetica che riflette le inquietudini e le contraddizioni della società contemporanea.

La bellezza e la grazia di Isabella, con il suo sguardo magnetico, sembravano incarnare perfettamente l’essenza del cinema di Lynch, sempre teso a esplorare le tensioni e le fratture che si celano dietro l’apparente ordinarietà del quotidiano. Nonostante la fama e il successo internazionale che entrambi stavano raccogliendo, David Lynch e Isabella Rossellini si dimostrarono persone incredibilmente umili, quasi riservate, qualità che trasparivano in ogni loro gesto.

Ricordo ancora con emozione quel giorno in cui li incontrai nelle campagne di Monzambano: un pomeriggio che rimane indelebile nella mia memoria. La semplicità e la cordialità con cui Lynch conversava erano disarmanti, come se si trattasse di un vecchio amico. Mi parlò con entusiasmo del suo nuovo progetto, una serie televisiva chiamata Twin Peaks, che avrebbe debuttato nel 1990. I suoi occhi brillavano mentre descriveva la visione e i temi della serie e fu in quel momento che compresi quanto profondamente fosse legato alla sua arte. Isabella, al suo fianco, irradiava una grazia che pareva quasi eterea, rendendo l’atmosfera ancora più speciale e intima.

La serie debuttò sulla rete ABC l’8 aprile del 1990 e divenne immediatamente un fenomeno di culto ed un caso di successo senza precedenti nella storia della televisione. Twin Peaks univa il formato seriale della soap opera con gli elementi del thriller, del noir e del surreale, dando vita a una narrazione complessa che mescolava mistero, umorismo ed inquietudine.

Il racconto di un omicidio in una piccola cittadina del nord-ovest degli Stati Uniti si trasformava rapidamente in una riflessione sulla psiche umana, sull’ossessione e sul conflitto tra bene e male. La serie, con il suo stile visivo distintivo e la sua atmosfera unica, segnò un’epoca nella storia della televisione, influenzando innumerevoli autori e registi e dando vita a un nuovo linguaggio per la narrazione televisiva.

Il successo di Twin Peaks fu clamoroso. Nessun altro progetto di Lynch avrebbe mai raggiunto una simile popolarità e la serie è ancora oggi considerata un pilastro della cultura popolare. La capacità di Lynch di mescolare generi e di spingersi oltre i confini tradizionali della narrazione visiva, combinando surrealismo e realismo, ha fatto di lui una figura imprescindibile nel panorama cinematografico e televisivo. La serie è diventata, col tempo, un vero e proprio culto, ancora oggi oggetto di analisi e discussione.

Negli anni successivi, Lynch ha continuato a lavorare su progetti cinematografici e televisivi, ma la sua carriera è stata caratterizzata da un costante ritorno alla ricerca estetica e tematica. Alcuni dei suoi lavori più significativi, come Wild at Heart (1990), Lost Highway (1997), Mulholland Drive (2001), e Inland Empire (2006), ultimo film di Lynch, che si distingue per essere l’unico girato completamente in digitale.

Tutti i suoi lavori, sono diventati film di culto, segnando il regista come una delle voci più originali e potenti del cinema contemporaneo. Lynch ha saputo mantenere un linguaggio visivo unico ed i suoi film, pur rimanendo enigmatici e difficili da decodificare, hanno saputo emozionare e coinvolgere il pubblico, spingendo lo spettatore a riflettere sulle proprie paure, desideri e contraddizioni.

Nel 2017, Lynch ha dato vita ai tanto attesi diciotto episodi finali di Twin Peaks, una miniserie che ha suscitato un’onda di entusiasmo tra i fan di lunga data. Nonostante il successo continuato di Twin Peaks come opera televisiva, Lynch ha sempre mantenuto un approccio molto personale e solitario alla sua arte, evitando il mainstream e continuando a perseguire un'estetica e una narrazione che riflettono il suo interesse per le profondità della mente umana.

L'ultimo cameo di Lynch come attore risale al film autobiografico di Steven Spielberg, The Fabelmans (2022), in cui compare in un breve ma significativo ruolo, un segno tangibile della sua influenza su generazioni di cineasti. La sua presenza nel film di Spielberg, simbolica e non invasiva, ha confermato ancora una volta il suo status di maestro e figura di riferimento nel mondo del cinema.

Purtroppo, nel gennaio del 2024, Lynch annunciò di soffrire di enfisema polmonare, un male legato al suo lungo ed ininterrotto vizio del fumo, che lo aveva accompagnato fin dall’adolescenza. La notizia fu accolta con tristezza da molti dei suoi fan, consapevoli che Lynch, nonostante il suo spirito indomito e la sua visione unica, stava affrontando una battaglia personale che avrebbe segnato gli ultimi anni della sua vita.

David Lynch è morto il 15 gennaio 2025, all'età di 78 anni, nella casa della figlia Jennifer. Cinque giorni dopo avrebbe compiuto 79 anni. La notizia è stata annunciata su Facebook con un toccante messaggio:

… C'è un grande buco nel mondo ora che non è più tra noi. Ma, come direbbe lui: “Tieni gli occhi sulla ciambella e non sul buco”…

Con queste parole si è voluto sottolineare l’essenza di Lynch: un uomo che, pur affrontando le difficoltà e le ombre della vita, ha sempre trovato il modo di guardare oltre, verso la bellezza, l’immaginazione e la creatività.

David Lynch lascia un'eredità che continua a vivere nei suoi film, nelle sue serie e nel modo in cui ha rivoluzionato la narrativa visiva, influenzando registi, scrittori e artisti di ogni genere. La sua morte, pur essendo un momento doloroso, non cancella l’impronta indelebile che ha lasciato nella cultura popolare, un’impronta fatta di visioni oniriche, di storie disturbanti e di un’incredibile capacità di sondare l'inconscio umano, portando a galla le sue contraddizioni più profonde.