Qualche giorno fa mi è capitato di vedere l’ultimo film di Barbareschi, The Penitent. Il film è la trasposizione sul grande schermo della pièce teatrale di David Mamet. È la storia di Carlos David Hirsch, uno psichiatra ebreo di New York, che vede andare a rotoli la sua vita affettiva e professionale, dopo che un suo paziente compie una strage e gli avvocati della difesa gli chiedono di testimoniare in suo favore. Lo psichiatra rifiuta di testimoniare. Il carnefice si trasforma così in vittima, soprattutto dopo che ha dichiarato di essere gay, innescando l’ennesima manifestazione dei diritti LGBTQ. Perché lo psichiatra si rifiuta di testimoniare?
All’inizio sembra che tutto ruoti intorno al suo essere ebreo e a una mera questione di moralità. Hirsch non vuole testimoniare perché è convinto che il suo ex paziente sia un assassino. Questo, perlomeno, è ciò che percepisce lo spettatore. Ma soprattutto, egli ha giurato di assistere i suoi pazienti con riservatezza, per cui non può e non vuole andare contro il suo giuramento e cedere i suoi appunti presi durante le sedute. Poi, all’improvviso, un quotidiano lo accusa di omofobia, estrapolando dal suo libro una frase che l’uomo, però, non avrebbe mai scritto: «L'omosessualità come aberrazione», espressione manipolata (o erratamente trascritta) dal giornale, al posto di «l'omosessualità come adattamento».
Messo alla gogna mediatica, la sua vita comincia ad andare in pezzi, soprattutto con sua moglie Kath. Un aspetto sorprendente è vedere la moglie di uno psichiatra attaccata alla bottiglia. Possibile che uno psichiatra non sia in grado di aiutare sua moglie e resti imperturbabile dinnanzi alla dipendenza della donna dall’alcol? Un secondo elemento messo in luce è la religiosità dell’uomo, che dice di essere ebreo osservante e di vivere la sua vita alla luce della Torah, ma in lui non c’è amore né fede. È illuminante il colloquio con il pubblico ministero. Qui, gli viene chiesto se crede davvero che la Bibbia sia ispirata. Hirsch risponde: «Non lo so».
Emerge qui la più grande contraddizione: vivere in base a qualcosa che non si crede autentico. Hirsch afferma più volte di essere influenzato dalla Bibbia ma di non sapere se l’abbia scritta proprio Mosè o no, se sia stata veramente ispirata da Dio oppure no. Cerca solo di adeguare la sua vita al Talmud, che, dopo la sua conversione, diviene il suo centro di gravità permanente. Hirsch è un uomo che si considera religioso ma che allo stesso tempo mette in dubbio l’autenticità delle Scritture, su cui dovrebbe basarsi la sua fede. La sua vita si basa più su una serie di riti, da cui crede derivi la saggezza, che sulla fede in Dio. I suoi riti e la direzione spirituale del suo rabbi, anziché avvicinarlo alla moglie, sembrano allontanarlo. O forse è lui, che vive una fede vuota che non porta frutto.
Sua moglie Kath, infatti, non è felice. Ma Hirsch non se ne accorge o forse non se ne cura. Pensa solo al suo lavoro e ai suoi soldi. Nel suo lavoro si limita ad ascoltare. Non agisce, non risolve problemi. Ascolta e fa domande. Ed è proprio in un colloquio con il suo avvocato Richard che emergono i sintomi di una sua certa insoddisfazione. Paragona il suo lavoro, la psichiatria, all’avvocatura e a tanti altri, affermando che si fa tutto per essere pagati. Sembra emergere qui, l’inconsistenza dell’approccio analitico. Sembra quasi un’autoaccusa: la psichiatria (analitica) non risolve i problemi ma si limita ad ascoltare e a ricostruire. La conferma arriva dalla strage posta in essere da un suo paziente, una prova schiacciante, che mostra la sua incapacità a risolvere i problemi degli altri e, forse, anche i propri.
Ma è alla fine del film che capiamo chi sia veramente lo psichiatra Carlos David Hirsch, quando va a trovare sua moglie in seguito a un suo gesto disperato, indotto non tanto dalla situazione mediatica e professionale del marito – che nel frattempo viene anche radiato dall’ordine degli psichiatri – ma dalle conseguenze che questa comporta: la fine della sua relazione sentimentale con Richard, il quale, per non essere travolto dalla capitolazione del suo amico e assistito neanche indirettamente, pone fine alla sua relazione con Kath. Nonostante tutto, Carlos si reputa un uomo onesto, integro, disposto anche a perdonare sua moglie e a riprenderla con sé.
Infine la domanda senza risposta: perché io, perché proprio a me? È una domanda, la cui risposta giunge solo alla fine, quando Richard legge gli appunti segreti di Hirsch e rivela a Kath la triste verità sul marito: un uomo orgoglioso e avido, che con la sua indifferenza potrebbe aver causato una strage evitabile. Il Penitente è la storia di una crisi sociale, dove si è perso il senso dell’umano, ma anche della crisi dei valori che svuota l’intimo delle persone, assuefatte dal contesto sociale. Hirsch è vittima di un sistema mediatico senza scrupoli, ma allo stesso tempo è uno dei tanti carnefici, che alimenta la crisi sociale.