1481

Il drappello percorse il sentiero che portava alla torre, senza troppo entusiasmo. Gli uomini erano stati da poco reclutati, per fare fronte all’emergenza nel migliore dei modi. Nessuno era entusiasta all’idea di trascorrere chissà quanti giorni a presidiare la torre, eppure andava fatto, per proteggere tutto il territorio da un eventuale attacco. C’era chi pensava alla moglie ed ai figli, riuscendo a stento a trattenere una lacrima. C’era chi pensava al lavoro nei campi, abbandonati alle inesperte mani di figli troppo giovani per sopperire in pieno alla mancanza dei padri. C’era chi ricordava il rumore delle tintinnanti monete, frutto di lucrosi commerci. E c’era anche chi ringraziava il capitano di averlo arruolato, appena prima di finire in cella o, peggio, ai remi di una nave. Al comando dell’eterogeneo gruppo era Ruggiero, l’unico vero uomo d’arme di professione.

Giunto sotto la torre, Ruggiero smontò da cavallo, lasciandolo alle cure di un paio dei suoi, e fece un giro attorno a controllare le difese. Prese nota mentalmente di far rinforzare lo schieramento di pali acuminati, che si stendeva verso la spiaggia, sia per aumentare la protezione del lato più a rischio in caso di attacco, sia per dare agli uomini qualcosa di molto manuale da fare, essendosi reso conto del loro stato d’animo, propenso alla depressione, come se sentissero che la loro missione fosse destinata a finire male. Terminato il giro, varcò la porta d’ingresso ed entrò nella torre, dove lo attendeva il comandante della forza smontante, Germano da Fiesole, un soldato in gamba ed esperto almeno quanto lui.

«Salute, capitano», disse Germano, tendendo le braccia in un abbraccio «Grazie per averci dato il cambio, cominciavamo a non sopportare più questa dannata salsedine. Guarda la mia armatura, chissà quanto ci vorrà a rimetterla in ordine».

«Spero che non finisca così anche la mia», scherzò Ruggiero «basta non rimanere qui quanto siete rimasti voi. Spero proprio che la guarnigione di Brindisi non abbia più bisogno dei rinforzi che gli abbiamo mandato e gli uomini tornino tutti indietro, ai loro posti, cioè qui e nei dintorni».

«Certo che è stata una bella furbata, sguarnire noi per potenziare le difese della città, che è già ben protetta di suo. E poi, i saraceni non attaccherebbero direttamente una piazzaforte. Siamo noi il punto debole dello schieramento», disse Germano.

«Comunque, per ora è tutto tranquillo, solo le condizioni del mare, con questa calma piatta, favorirebbero qualche tentativo, ma nulla di più di una scaramuccia, senza le grandi navi, cariche di truppe. È sempre meglio tenere gli occhi aperti».

I due soldati si salutarono fraternamente e, mentre Germano guidava i suoi sul sentiero, stendardo crociato bene in vista, Ruggiero cominciava a sistemare la sua "truppa". Fu una giornata lunga e difficile, per via della completa ignoranza dei suoi uomini di ogni regola militare. Il comandante dovette far vedere, a tutti e ad ognuno in particolare, quali erano ai compiti da assolvere. Se fu facile spiegare che bisognava aguzzare la vista durante il turno di guardia in cima, più difficile fu spiegare in quale direzione far partire i dardi infuocati e come tenere nascosto il fuoco durante la notte, per non dare all’eventuale nemico un punto di riferimento preciso. Al calare delle prime ombre della sera, Ruggiero si scoprì, con sua stessa sorpresa, meno pessimista sul valore effettivo dei suoi uomini e, addirittura, dopo la frugale cena, si scoprì fiducioso, quando, guardando il mare, vi vide riflessa, ingigantita, la faccia argentata della luna che rischiarava la notte, rendendo possibile persino distinguere l’orizzonte.

Scelse per sé il primo turno di guardia e, una volta terminato, si abbandonò al sonno ristoratore fino alle prime luci dell’alba. Uscì dalla torre, fece un giro intorno, rientrò e salì in cima, giusto in tempo per ammirare lo spettacolo della prima fetta di sole che faceva capolino dall’orizzonte.

2049

Il sole, che faceva appena capolino dall’orizzonte, colpì le lenti della maschera da sub di Nicola, che emergeva in quel momento. Non ebbe tempo di gustarsi l’alba perché doveva liberare la fiocina dal bel pesce che aveva preso. Pescare in apnea era la sua passione ed in estate, quasi ogni giorno, il sole dell’alba lo trovava già in acqua da almeno mezz’ora: era l’ora preferita per la pesca subacquea, sempre ricca di belle prede. Nicola uscì dall’acqua con tre saraghi e due orate, giusto quello che gli ci voleva per la cena della serata, con fratello e famiglia.

Si avviò verso la torre. Chiara, sua moglie, lo aspettava, appoggiata all’uscio. Entrarono insieme, dopo che lui ebbe lasciato il ricco carniere nel lavandino del cucinino ricavato nel sottoscala. Fecero colazione con caffellatte e biscotti fatti in casa.

«Cosa è successo, stanotte? ho sentito che suonava due volte l’allarme» chiese Chiara.

«Niente di che», rispose il marito, «un peschereccio greco che ha sconfinato ed una barca di cretini che, forse ubriachi, si sono fermati proprio sotto una boa. Sono rientrati entrambi senza bisogno di intervenire».

«E tu hai perso il sonno… ancora una volta… se penso che dobbiamo passare tutta l’estate in queste condizioni…», disse la donna, senza nascondere la sua irritazione.

«Dai, non ricominciare con questa storia, lo sai che lo faccio per staccare per qualche tempo dalla città. Impazzisco per questo posto, aria buona, ottimo cibo, relax», rispose lui.

«Relax, lo chiama», disse lei, alzandosi di scatto, «relax sarebbe stare tranquilli almeno una notte sì e una no, relax sarebbe starsene tutto il giorno stesi al sole oppure su una sdraio a guardare gli stambecchi in montagna. Quello è relax. Il tuo, caro mio, è lavoro, lavoro! Puoi dire tutto quello che vuoi, che ti piace, che ti fa guadagnare qualcosa in più, ma non è una vacanza. L’anno prossimo me ne vado in montagna, con o senza di te» ed uscì dalla stanza, dopo essersi armata di telo, borsa ed occhiali da sole.

Ormai era qualche anno che Nicola accettava di passare l’estate, lavorando nella torre d’osservazione. Aveva provato il primo anno, era una missione, quindi più soldi in busta paga, e a parte il discorso economico, gli era piaciuto tanto che aveva fatto carte false per ripetere l’esperienza negli anni successivi. All’inizio piaceva anche alla moglie, ma con gli anni, Chiara sopportava sempre meno di trascorrere tre mesi di seguito in quel modo. Certo anche lei si era affezionata al posto, un vero gioiello della natura, perfettamente conservato perché assurto allo stato di Parco Marino. Una serie di spiaggette dalla sabbia finissima, calette con pittoresche scogliere e l’acqua del mare, così trasparente, con i colori continuamente cangianti, ricchissima di pesci di ogni specie. Un paradiso che per Chiara nascondeva un inferno. L’antica torre, una volta recuperata dal punto di vista architettonico, era diventata un anello della sofisticata rete di protezione europea.

La legge europea del 2026 aveva, finalmente, affrontato e risolto, una volta per tutte, il problema dell’immigrazione clandestina. Dalle coste iberiche fino alle sponde adriatiche della Dalmazia era stata dispiegata una serie di boe, poste ai limiti delle acque territoriali, che, grazie a sensori ad ampio spettro, isolavano lo spazio sovrano europeo da ogni tipo di imbarcazione indesiderata. Tutte le imbarcazioni interessate a traffici con i paesi europei dovevano essere munite di un particolare trasponder che, una volta riconosciuto dalla rete, permetteva l’accesso.

Inoltre, ogni imbarcazione doveva avere delle bande identificative sensibili al laser, una specie di codice a barre, riportante dati e caratteristiche del natante. In tal modo, nulla poteva entrare in Europa senza averne il permesso. Ogni boa era dotata di sensibili sonar (per captare anche i sottomarini) e di un radar a corto raggio. A ciò si aggiungeva la copertura radar assicurata da terra dalle torri sparse lungo la costa. Ogni torre era gestita da un “custode” o “guardiano”, che, considerate le caratteristiche del lavoro, si alternavano in turni trimestrali.

La giornata di Nicola, proseguì, come al solito. Dopo aver messo a tracolla il trasmettitore che lo avvisava in caso di allarme, si recò alla vasca dei pesci. La vasca era ottenuta richiudendo una parte della rada, in modo da creare una serie di celle, in cui erano allevati dei pesci. Pesci che servivano come cibo e ricompensa per i delfini. Vicino alla vasca dei pesci c’era una specie di grammofono capovolto, la cui parte finale terminava in acqua e che serviva a chiamare a sé il delfino capo-muta. Era questo un animale molto importante nello svolgimento delle operazioni di controllo, perché dotato di un particolare addestramento, che gli permetteva di interfacciarsi con il guardiano e guidare altri delfini in operazioni di soccorso.

Ogni torre aveva, perciò, alle sue “dipendenze” almeno tre delfini, una muta appunto. Nicola azionò il richiamo e, dopo alcuni istanti, il delfino, chiamato Buck, si presentò con un bel salto e relativo scroscio d’acqua sull’uomo. Dopo poco tempo, arrivarono gli altri due delfini e Nicola cominciò a tirare a tutti deliziosi pesci freschi. Poi controllò che l’innesto di Buck, che permetteva all’uomo di interfacciarsi con l’animale, fosse a posto e lo salutò con una bella grattatina.

Si recò poi in spiaggia, per vedere se a sua moglie era passata l’arrabbiatura di prima mattina, ma appena le si avvicinò lei disse: «In montagna, me ne vado in montagna» e lui decise di lasciar perdere. Ritornò verso la torre e decise di dedicare la mattina ai lavori di manutenzione.

1481

Gli uomini avrebbero dedicato la mattinata a lavoretti di manutenzione, ad iniziare dal rinforzo della palizzata che, come Ruggiero aveva notato all’arrivo, presentava un punto debole. Così, il comandante scelse una decina fra gli uomini che gli parevano più bisognosi di una bella distrazione, li accompagnò nel boschetto e, dopo aver indicato personalmente i fusti più indicati, li mise al lavoro.

«Tagliateli, mondateli dei rami e lavorateli fino a renderli più acuminati di una lancia. Poi portateli al margine della spiaggia e piantateli nei posti che io avrò indicato», ordinò Ruggiero.

Tornato alla torre, mise altri due uomini al lavoro nella dispensa, posto che, in giornata, sarebbero arrivati i primi rifornimenti. Infine, risalì sulla cima. Lì sopra la bellissima giornata stava dando il suo meglio. Il sole picchiava e le guardie avevano eretto un precario riparo utilizzando delle lance e delle coperte. Fu contento di ciò, forse gli uomini a lui affidati non erano del tutto male. Certo, bisognava vederli alle prese con un’orda di nemici ululati che sbucavano da ogni parte, ma lui stesso aveva visto degli apparenti conigli, trasformarsi in belve assetate di sangue.

Decise, comunque, di dedicare tutti i pomeriggi ad un ferreo addestramento militare, per evitare, in caso d’attacco, di finire annientati in un baleno.

Scrutò il mare che si stendeva placido, segnato dai tratti delle diverse correnti, fino a confondersi con l’orizzonte. Poi si volse a guardare, a destra ed a sinistra, le altre torri ed infine alle spalle, dove sulla collina più alta sorgeva il paese. Tutto sembrava tranquillo. Vide anche che gli uomini stavano già cominciando a portare i primi pali acuminati verso la spiaggia. Quindi fece per scendere per dirigere le operazioni di fissaggio. Fu bloccato dalla mano del soldato più vicino sulla sua spalla. Si girò a guardarlo e lo trovò con lo sguardo vitreo, intento a fissare l’altra torre a sud. Sulla torre era apparso un drappo bianco.

«Stai calmo», si affrettò a dire al soldato, per rassicurarlo «significa solo che sta passando un’imbarcazione, che non si può ancora identificare. Dall’altra torre, ci avvisano per poterla tenere d’occhio: se fosse stata una nave nemica avrebbero alzato il drappo rosso e fatto partire una freccia infuocata».

Ruggiero ricordò a sé stesso che avrebbe dovuto spiegare alla truppa le segnalazioni, per evitare inutili allarmismi. Intanto, ostentando la massima calma, si mise sul parapetto e cominciò a guardare la nave che passava, appena sotto la linea dell’orizzonte, troppo lontana per poterla identificare, con certezza. «Vedi», disse al soldato, «dall’altra torre, hanno tolto il vessillo, segno che, per loro, il pericolo è passato. Probabilmente si tratta di una nave veneziana, carica di qualche meraviglia orientale».

Ruggiero sperava di aver fugato, almeno in parte, i timori dei soldati, pur sapendo che, dopo i tristi fatti di Otranto, con l’orrendo sterminio della popolazione, c’era in tutti l’atroce pensiero che, prima o poi, la strage potesse ripetersi. Quando le spie avevano riferito di preparativi nemici per un grande attacco, il panico si era sparso come una malattia contagiosa e ormai tutti aspettavano solo di sapere dove il nemico avrebbe attaccato.

«Possiamo ammainare anche la nostra bandiera», disse agli uomini e, dopo aver dato un altro, attento ma svelto, sguardo verso l’orizzonte, scese a controllare lo stato dei lavori che aveva assegnato. Soddisfatto dei risultati, convocò tutti gli uomini attorno a sé, per organizzare i successivi turni di guardia e dare precisi ordini circa il comportamento.

«Durante il turno di guardia l’unica cosa che dovete sempre fare è tenere d’occhio il mare e le altre torri, che segnalano ogni cosa sospetta. In ogni caso, dovete avvertire sempre me ed io vi dirò cosa fare. Non posso fare di voi dei veri soldati in questi pochi giorni, ma posso fare in modo che salviate voi stessi e il vostro paese, se serve. Quindi, occhi aperti e voce forte», disse Ruggiero, pensando che così avrebbe alleggerito parte del loro fardello di responsabilità e terrore. Aveva bene in mente l’espressione del soldato, che poco prima aveva dato l’allarme.

Passò tutto il pomeriggio a far esercitare gli uomini, chi con la spada, chi con l’arco e giunse perfino ad organizzare un piccolo torneo, con in palio una doppia razione del buon vino che era arrivato con i rifornimenti, insieme a pane, formaggi, frutta e verdure, tre polli e due maialini, che non erano tanto usuali in quel periodo.

Quasi senza preavviso fu subito sera e, dopo aver cenato e premiato il vincitore del torneo, Ruggiero fece un giro verso il mare, in preda a foschi presentimenti. Al sorgere della luna, chiara e splendente, si tranquillizzò un attimo, pensando ad una notte troppo chiara per un attacco a sorpresa, salvo poi ritrovarsi a pensare che, in fondo, tutta quella calma non gli piaceva affatto.

2049

«Tutta questa calma non mi piace affatto», pensò Nicola, mentre, dopo cena, passeggiando sulla scogliera, i commensali elogiavano lo stupendo spettacolo della Luna che si rifletteva sul mare piatto. Non riuscì a fare a meno che il suo stato d’animo si palesasse agli altri, dicendo: «Quando non c’era la Rete, in serate simili, si scatenava l’inferno. Barche e barchini d’ogni tipo facevano la spola tra le due coste dell’Adriatico, cariche di sigarette o droga o esseri umani oppure tutti insieme, in quantità variabile. Mare calmo e luna piena, significava via libera per la flotta dei clandestini. E inseguimenti con barche e mezzi aerei della finanza, sparatorie e persone abbandonate lontano dalla costa. Un vero e proprio inferno, che solo l’installazione della rete è riuscita ad eliminare».

Poi aggiunse: «Oggi l’unico problema è stato un acquascooter, che si è avvicinato troppo alle boe e si ostinava a farci lo slalom. Nemmeno l’elicottero che gli ho fatto girare sopra lo ha dissuaso dalla sua bravata. Allora ho mandato Buck a prenderlo. Ha fatto uno dei suoi salti fuori dall’acqua e l’ebete si è ritrovato in mare senza neanche accorgersene. I due compagni lo hanno conciato un po’ troppo, mentre lo portavano a riva, dove ad attenderlo, ha trovato gli agenti che lo hanno sbattuto al fresco, oltre a sequestrargli il mezzo. Sono cambiati i tempi. Adesso non si muove nulla che sia indesiderato», terminò Nicola, per ritornare subito silenzioso e pensieroso.

Infatti, la notte dimostrò che i suoi timori era fondati. Intorno alla mezzanotte risuonò l’allarme. Sul monitor del radar vide due imbarcazioni provenienti dall’Albania e due altre in senso opposto, probabilmente per organizzare uno scambio, o solamente per fare un po’ di confusione. Nico, seduto alla sua postazione, con il comando a distanza fece accendere il motore dell’elicottero e, con pochi precisi movimenti, lo fece decollare, docile come un giocattolo. E, in effetti, ad un giocatolo somigliava, quell’altro gioiello tecnologico compreso nelle dotazioni della torre. Un elicottero della lunghezza di tre metri, pieno zeppo di sensori e con tutte le funzioni di un elicottero di grandezza normale.

In pochi minuti l’elicottero raggiunse le imbarcazioni provenienti da terra. Con il suo laser, cercò gli identificativi delle barche e non li trovò e allora Nico, attraverso i potenti altoparlanti del mezzo iniziò la rituale sequela di minacce: «Attenzione! Dipartimento della Frontiera Europea! State eseguendo manovre in spazi non autorizzati. Fermatevi e fatevi identificare. Ripeto: fermatevi e fatevi identificare. Attenzione! non ci saranno ulteriori avvisi. Fermatevi immediatamente».

La risposta fu che le due barche presero due direzioni diverse, nel tentativo di confondere l’inseguitore aereo. Ma Nico non si perse d’animo. Mantenne il suo mezzo sulla prima barca e quando questo fu proprio a perpendicolo, azionò il cannone magnetico. Un solo impulso ed il motore dell’imbarcazione si fermò, con uno sbuffo. Nico pensò all’altro, ripetendo la stessa manovra, facendo posizionare l’elicottero proprio sull’imbarcazione.

Da questa partirono dei colpi d’arma da fuoco, ai quali Nico rispose con un bomba sonica, che stordì gli occupanti della barca, mentre il motore veniva bloccato da un altro impulso. A quel punto aprì la linea diretta con la Capitaneria di Porto e, dopo avere indicato le coordinate dei due mezzi bloccati, disse all’interlocutore: «Le due barche sono sistemate, dite ai vostri mezzi di muoversi con attenzione perché sto mandando i miei delfini a presidiare la zona, e non voglio che finiscano con qualche danno. Ah, attenzione dalla barca due perché qualcuno da lì ha sparato addosso al mio elicottero. Io adesso vado a beccare gli arrivi da fuori».

Nicola guidò l’elicottero verso le due tracce in arrivo che ormai avevano superato la linea delle boe. In attesa dei mezzi d’appoggio doveva evitare che toccassero terra. La tattica era sempre la stessa. Posizionarsi sulla verticale degli intrusi e bloccarli. Stavolta dall’elicottero fece partire prima un fascio di luce iperabbagliante, il cui effetto fu un vistoso sbandamento di rotta dei due mezzi. Poi le bombe soniche e gli impulsi magnetici a bloccare i motori.

«Yyeaaah», esultò Nicola, «quattro pesci nella rete stanotte».

Controllò l’ora: le tre e mezzo e buonanotte al sonno. Si alzò, si mise a tracolla il ricevitore di allarme, andò al bar del salone, si preparò un Negroni e salì a gustarselo in cima alla torre. La calma della notte aveva ripreso il sopravvento. In lontananza si vedevano le luci delle vedette della Capitaneria, intente ad ultimare gli arresti degli incauti intrusi.

Forse il resto della nottata non avrebbe riservato altri disturbi. Forse il sonno sarebbe ritornato, una volta vicino alla moglie. Forse la moglie non si sarebbe di nuovo incazzata come una iena per tutto quel casino che, di certo, doveva averla svegliata.

Forse l’anno prossimo gli sarebbe toccato davvero andare in vacanza in uno stupendo, ameno, rilassante e pallosissimo posto di montagna.

Nel mettersi a letto, intuì benissimo che tirava aria di tempesta e, prima di cadere vinto dal sonno, arrivò a pensare che, tutto sommato, era meglio un altro allarme che stare in quell’atmosfera.

1481

Pensava che un nuovo allarme potesse essere utile a stemperare quella strana atmosfera, come di una catastrofe imminente, che non arriva mai. Ma pensava anche che, vista la fragilità emotiva degli uomini, un semplice allarme di notte potesse avere esiti fatali, per il cuore di molti. Ruggiero dovette rassegnarsi all’idea di un destino insondabile, da attendere con cristiana fede. In fondo, ogni giorno senza problemi reali era una vittoria. Ogni giorno rendeva sempre migliori le difese approntate lungo tutta la costa. Ogni giorno era un giorno di vita in più.

Tuttavia, continua a marciare nervosamente in cima alla torre, guardando il mare, ora distrattamente ora attentamente, come se un’intera flotta dovesse materializzarsi, proprio lì davanti ai suoi occhi, quasi ad esaudire un suo desiderio inconscio. Qualcosa, entrata per un attimo nel suo campo visivo, lo disturbò. Aguzzò la vista per capire cosa avesse notato. Una specie di bagliore, verso la torre alla sua sinistra, più a sud. Rimase a guardare con estrema attenzione, ma non vide nulla di chiaro.

«Capitano, c’è qualcosa?», chiese una delle guardie.

«Niente, niente», mentì Ruggiero, ma ormai i suoi sensi erano tutti in allarme.

Scese fino al pianterreno ed uscì, andando verso la spiaggia, guardando sempre in direzione dell’altra torre e di nuovo gli parve di vedere uno strano baluginio, lì in cima. Una strana sensazione gli fece portare la mano sull’elsa della spada. Proprio in quel momento sentì degli strani rumori provenire dal canneto. Passi. Passi di corsa. Sguainò la spada, indietreggiando verso la torre. Sentiva i passi sempre più vicini. Fu raggiunto dalle due guardie alla porta, una con la lancia pronta e l’altra con l’arco già teso. Ruggero disse al primo: «dai l’allarme. Sveglia tutti».

Infine, dal canneto spuntò un uomo. «Chi è là? Fermatevi», gridò al nuovo venuto.

«Fermi, vengo dall’altra torre. Tradimento», riuscì a dire l’altro, prima di stramazzare a terra. Ruggiero gli fu subito addosso, mentre intorno si accalcavano praticamente tutti i suoi uomini.

«Che cosa è successo?», chiese all’uomo, e poi ai suoi: «presto dell’acqua. Questo poveraccio è sfinito. Deve aver attraversato la palude di corsa per avvertirci».

Dopo che ebbe bevuto, l’uomo riuscì ad articolare: «Siamo stati traditi. Qualcuno ha avvelenato il vino che hanno bevuto tutti, tranne me che bevo solo acqua. Dopo un’ora hanno cominciato a cadere uno dietro l’altro e poi sono arrivati dei tipi a cavallo, tutti vestiti di nero: Madonna mia, sembravano ombre della notte, diavoli o spettri ed hanno completato il lavoro finendo tutta la guarnigione a filo di coltello. Hanno montato in cima alla torre un grande braciere, con grandi schermi sui lati, in modo da segnalare solo verso il mare. Guidate così le navi del nemico avranno facile approdo».

«Maledetti», ruggì Ruggiero, alzandosi, con lo sdegno dipinto sul viso «ma non ce la faranno, perché qui ci siamo noi. E questo valoroso che è venuto ad avvertirci. Tu vai in cima e dì alle guardie di far partire verso il paese frecce infuocate in continuazione, fino a quando qualcuno non risponderà nella stessa maniera. Allora, solo allora, tirerete verso quella torre, in modo che sappiano per certo, di essere stati scoperti, e, a Dio piacendo, possano decidere di rinviare l’attacco, visto che non c’è più l’elemento sorpresa».

Pochi istanti dopo, la placida notte divenne un turbinio di fuoco. Dalla torre partivano dardi infuocati senza soluzione di continuità e, ben presto, arrivò la risposta dal paese. Quindi i dardi infuocati cambiarono direzione, puntando verso l’altra torre.

Intanto, Ruggiero aveva preparato i suoi uomini all’eventuale attacco del nemico. Pensava infatti che, anche se i nemici avessero rinunciato all’attacco in grande stile, avrebbero almeno cercato la vendetta nei confronti di quelli che li avevano scoperti. Quindi, si aspettava a breve di essere attaccato dal drappello di cavalieri neri che si erano impossessati della torre.

Dispose gli uomini su tre file: con davanti gli arcieri, con il compito di frenare l’impeto della carica dei cavalieri; a seguire c’era una fila di uomini con picche e lance e infine gli ultimi con spade ed asce. Per il resto bisognava confidare nell’arrivo dei rinforzi dal paese.

Calò un silenzio irreale. Solo i grilli riempivano l’aria del loro continuo frinire.

Poi anche quel rumore si spense. Tutti gli uomini sembravano estendere i propri sensi, oltre i soliti limiti. Ognuno voleva sentire prima degli altri il nemico in avvicinamento. Alla fine, arrivarono, senza nascondersi, ma col massimo strepitio possibile. Sugli animali lanciati al galoppo, anche se difficoltoso per via dell’acquitrino, gli attaccanti lanciavano urla altissime ed incomprensibili.

Istintivamente, Ruggiero si segnò e si scoprì ad urlare ai suoi: «Dio è con noi. Non temete, uomini, Dio è con noi. I diavoli non passeranno».

«Dio è con noi» risposero tutti in coro. In quel momento lo scalpitio dei cavalli si fece più prossimo. I cavalieri stavano per uscire dal canneto.

Ruggiero ordinò, in sequenza: «Tendete. Tirate». E gli arcieri scoccarono abbattendo i primi cavalieri che, cadendo rallentarono la corsa degli altri, dando agli arcieri il tempo di incoccare e tirare un’altra freccia. Dalla cima della torre saettarono dardi infuocati. L’impeto dei cavalieri ululanti proseguì fino alla base della torre dove gli uomini avevano serrato i ranghi. Altri cavalieri finirono la loro corsa contro le picche dei difensori, mentre gli arcieri continuavano a colpire.

Quando le prime spade cominciarono a scontrarsi Ruggiero si rese conto che gli attaccanti erano rimasti in pochi, ma continuavano ad avanzare, e a cadere, senza curarsi di nulla, spinti dalla diabolica, cieca volontà che conosceva bene. Gli ultimi due, disarcionati dai cavalli furono finiti dai difensori, che si accanirono su di loro ben oltre la morte. Poi, dopo essersi resi conto di aver vinto, sollevando le armi al cielo cominciarono a gridare e a ridere di gioia e disperazione. All’alba, i rinforzi li trovarono ancora a ridere e a cantare, ebbri della vittoria. Ruggiero tirò fuori il suo pugnale intarsiato, quello che aveva sottratto ad un comandante saraceno, sconfitto dopo un lungo combattimento, e che aveva promesso di usare contro di sé per non cadere vivo nelle mani del nemico. Affondando al lama nel muro della torre segnò la data di quel magico giorno perché restasse a memoria futura. Finché la torre sarebbe esistita il ricordo di quella notte non si sarebbe perso.

2049

Il ricordo di quella notte sarebbe durato a lungo. Interviste con tutte le tv, nazionali e locali. Premi e cene con svariate autorità. Una promozione. Chiara in montagna.

Non aveva avuto il tempo di spiegarle che la promozione implicava lasciare per sempre quel posto. Quando arrivò il giorno della sostituzione, Nicola fece un giro d’addio, lungo i luoghi ai quali era tanto legato. Andò in spiaggia e giocò per l’ultima volta con Buck.

Fece una passeggiata, costeggiando le calette che gli avevano regalato tanto pesce. Infine, si fermò vicino alla base della torre. Quasi in un movimento meccanico, tirò fuori il fido coltellino svizzero e incise sul muro la data dell’abbandono, sotto il suo nome, proprio accanto ad un’altra incisione, un po’ sbiadita, ma miracolosamente scampata a tante ristrutturazioni: luglio 1481.