Che la luce della maturità
illumini l’angolo oscuro
in cui temi di aver perduto
la giovinezza

Che sia la tua anima a prendersi cura
di te, a far scivolare le lacrime
della tua tristezza sul volto
che la vita ha cambiato

Che ogni tua paura d’invecchiare,
di perderti nella solitudine, nella dimenticanza,
nell’abbandono si faccia sguardo
di saggezza e ti conceda di accogliere
con curiosità lo splendido “tempo del raccolto”

Che tu possa ripercorrere il cammino
della tua anima e ritrovare la gioia
del tuo passaggio nella vita

Che tu possa sentire la potenza della
tua dignità e della tua libertà
esercitandoti nel perdono e nell’ascolto

Coltiva lo splendido dono della bellezza
che è in te e non smettere di cercare l’Amore

Inizio a scrivere con quel senso di timore reverenziale che sempre mi accompagna quando devo lasciare le parole libere di presentarsi, di contendere per il loro posto nel tutto; sento nel cuore il desiderio di sceglierle con cura per raccontare emozioni e sentimenti, per riuscire a percepire una dolce, debole brezza di gioia, parole che descrivano con indulgenza il compiersi dell’oggi.

Accolgo parole libere di esprimere visioni salvifiche, pensieri lucenti, stati d’animo lieti, parole che prendano le distanze dal buio che va versandosi sulla distesa sconfinata dell’imprevedibile, dell’inconoscibile.

Abbiamo tutti bisogno di visioni purificatrici, di fuggire dalle imposizioni della mente, dalle regole, dal linguaggio che vuole spiegare l’inspiegabile. Vogliamo che le parole vadano a ritrovare pensieri e visioni rimasti sulla via dei ricordi, parole che riescano ad attraversare l’anima per ridarle attimi felici.

Non blandisco le parole affinché rispondano al mio richiamo, ma cerco caparbiamente di catturare quelle che non so più esprimere perché mi mancano la serenità e la gioia del dire.

È una specie di incalzante lentezza quella che induce il nostro animo a cercare residui e reperti di tutto ciò che conosciamo per trarne tracce che ci sforziamo di trasformare in ricordi, spesso pesanti, a volte difficili da cogliere.

Abbiamo tutti paura di precipitare “all’apparir del vero” così che dobbiamo lasciare spazio all’immaginazione, arrenderci alla mancanza di certezze, dobbiamo smetterla di pronunciare sentenze, di affermare sicuri punti visuali per lasciare spazio alla fantasia che ancora sa giocare e vincere sull’illusione

Esercitare la meraviglia cura il cuore malato
che ha potuto esercitare solo la paura

(Chandra Candiani)

“Ti ho portato le mimose”
Ritrovo frasi imbevute di sogni e mi commuovo

Parlo a bassa voce poiché non voglio svegliarti, ma mi torna il dubbio che i tuoi occhi fingano di dormire per rendere più intima e misteriosa la nostra vicinanza, per custodire il segreto delle belle fiabe che mi accarezzavano con la tua voce dolce, colma di tenerezza, colorata di mistero: era come se attraverso quei suoni si compisse ogni sera un miracolo. Insieme a te potevo sentire le parole degli animali, il soffio del vento che sfiorava gli alberi con delicata armonia, lo scorrere del ruscello attorno alla casa di marzapane, l’attesa del cavaliere solitario sul suo bianco destriero.

Oggi sarò io a narrarti una storia, una romantica storia d’amore scritta per te, che per te ho ritrovato:

Sto seduto davanti a te
e sfioro la pelle chiara del tuo collo.
Un delicato profumo di rosa
mi accarezza le narici.

Sei bella, anima mia,
ascolto il tuo respiro,
percepisco il battito del tuo cuore.
Torno a vederti
nel tuo abito color del glicine
mentre cammini lieve
attraversando il giardino.

Indossi lo scialle dalle lunghe frange
portato da Venezia
dopo un viaggio indimenticabile.

Osservo il tuo gesto delizioso
di coprirti le spalle
per accogliere la prima umida frescura
di una serata di settembre.
Sento il tuo passo ancor prima
di incontrare il tuo sorriso.

Il mio cuore non ha dimenticato nulla, ha percorso il tempo senza lasciare indietro alcun particolare, senza lasciarsi ingannare dal trascorrere degli anni. Il cuore è uno scrigno che contiene il gioiello prezioso di una memoria nella quale sono depositati i segni indelebili del vissuto.

Sento la tua voce
che racconta, felice,
di un pomeriggio in barca sul fiume.

Guardo verso di te
mentre l’odore del temporale
invade l’aria che si fa più densa.
Mi affretto a raggiungerti.
Alla mente che vuole certezze e abitudini sfuggono queste immagini, questi suoni, questi odori che rimandano a stagioni lontane, che fanno rinascere emozioni e sensazioni difficili da contenere, che coinvolgono i sensi in tutta la loro pienezza e intensità.

La memoria si va affievolendo e non trova parole capaci di raccontare, di descrivere. Lo sguardo sfuoca i contorni e ne emerge una fotografia che non riconosco.

È con il cuore che possiamo essere ciò che siamo, ciò che la nostra vita è stata, è con il cuore che possiamo sfuggire alla violenza dell’oblio, è con il cuore che possiamo colmare la solitudine del silenzio che invade la lontananza, che si impregna di assenza.

Stringo la tua mano,
ti accolgo nel mio abbraccio
che ci ripara dalla pioggia
che ha preso a scendere copiosa.

È un istante di felicità
che intride le nostre anime,
è una promessa di Bene.
C’è un odore intenso,
come di muschio o di betulla.

Sento il cuore che assapora il ricordo di quel giorno, sento passare le visioni di una vita intera, voglio ritrovare il brivido di tenerezza che ho provato sfiorando le tue guance infreddolite.

Ora osservo il tuo volto
mentre guardi lontano,
come per mettere a fuoco qualcosa
che sfugge ai tuoi occhi.

Non avevo notato le tue mani:
si son fatte ancora più esili,
come di bambina.

Mi hai sentito arrivare
e ti giri verso di me
con quel tuo sorriso gentile,
amorevole.
Non mi riconosci, ma mi chiedi
come sto.
Ti mando un bacio e tu sembri felice.

È ancora al cuore che chiedo il ricordo per aiutarmi a raccogliere i tuoi bei capelli sulla nuca con quel fermaglio di vetro di Murano dalle sfumature d’oro e turchese. Ne posso ancora sentire la levigatezza.

Quella volta abbiamo affittato la gondola e tu hai fatto un inatteso complimento al gondoliere per la sua bella maglia a righe. Per un attimo ho chiuso gli occhi e ho immaginato di poter continuare per sempre a sognare quel sogno.

La mente non mi segue in questo vagabondare e ne sono contento perché voglio sfuggire ad ogni controllo di spazio e di tempo per ascoltare in raccoglimento le parole che hai scritto, con il tuo tratto elegante e raffinato, in occasione del mio compleanno. Posso vederle, sentirle pronunciare, ma non posso essere io a leggerle perché il mio cuore non ha voce ma soltanto sentimenti e ricordi.

La mente esige spiegazioni e si diletta nell’impedirci di trovarle, la mente scalpita ad ogni rottura di ogni logica, la mente impiega tempo a valutare che cosa sia più utile, efficace e giusto, ma il cuore, con la sua intuizione fulminea, può svelare preziose ed ineludibili verità.

Fra tutti ti piacevano
i cioccolatini ripieni alla nocciola,
ma la tua passione
erano le rarissime violette candite.
Entrammo per assaggiarle
in quella magnifica pasticceria
a Vienna.
Era la prima volta e tu
indossavi un cappotto blu,
guanti color pervinca e un feltro
della stessa sfumatura di colore.
Ebbi la sensazione che qualcuno
si girasse a guardare la tua
raffinata eleganza italiana.

Chissà se stai ascoltando i miei pensieri.

Mi avvicino al tuo orecchio e, con la mia voce poco melodiosa ma colma di bene, sussurro la tua canzone. I tuoi occhi si accorgono di un’emozione emersa dal buio della dimenticanza, la musica torna ad illuminare il ricordo, ed è vita che riesce a sfidare il silenzio della mente.

Mi avvicino ancor più perché tu possa appoggiarti sul mio cuore e parlare insieme a lui con il linguaggio che solo noi conosciamo, che è nostro.
L’abbiamo imparato dalla lunga strada della vita che abbiamo condiviso.

Luci colorate illuminano
la pista da ballo
di fine estate.

I tuoi piedi si muovono
con grazia, vanno dove
li porta la musica.

Sei così piena d’allegria.

Non ho mai dimenticato quella tua gioia di vivere.
Eri vestita di rosa.

C’è una pietà che ha bisogno di contatto, di percezione, di condividere la memoria del passato per conservare la coscienza della vita.
C’è una pietà che è terreno fecondo nel quale coltivare la consapevolezza del nostro essere umani, con un corpo che ha sempre bisogno d’amore, di attenzione e cura, di rispetto e vicinanza.

C’è una pietà che va oltre ogni pratica religiosa, che è consonanza di sentire amorevole, che è obbligo di non dimenticare, che è ascolto e corrispondenza, che è tocco e sguardo, parola e silenzio, che è argine solido a proteggere dal diluvio dell’incuria e della distrazione, che è risposta agli errori della mente, alla menzogna della perfezione, che è riconoscimento della vulnerabile fragilità che ci accomuna e della forza che ci viene dall’accoglierci nella nostra debolezza.

C’è una compassione che è sentimento antico, colmo di sacralità, fecondo di gratitudine, generoso di una tenerezza che disegna paesaggi interiori nei quali trovano dimora la fiducia e la benevolenza.