La grandine è formata da chicchi. Questi non sono altro che dei piccoli accumuli sferici di ghiaccio che cadono verso il suolo dalle nuvole. Tendono ad essere delle precipitazioni rapide e decise, raramente troppo programmabili. Può coglierti mentre passeggi tranquillo per la strada o intensificare una pioggia che già ti sta infastidendo. Il loro rumore ricorda molto quello delle ruote dei vecchi carri di legno che passano su una strada sterrata piena di sassi. Li puoi sentire sbattere contro i vetri delle finestre come fossero delle piccole fragili biglie che scorrono all’interno di un percorso di vetro, oppure ti possono sembrare dei piccoli proiettili pronti a bucare il tuo ombrello preferito.

Proprio mentre corri per entrare in ospedale una piccola e violenta grandinata ti coglie di sorpresa, bagnandoti il pranzo. “Perfetto” borbotti “tanto oggi avrei avuto l’insalata, prenderò una merendina dalle macchinette in caffetteria.” Sai bene che la tua decisione, di intraprendere una dieta un pochino più bilanciata, sarebbe durata quanto tua moglie quando ti dice che non ha niente. A passo svelto ti dirigi verso gli spogliatoi, salutando alcuni colleghi stanchi dal turno della notte. Le notti in terapia intensiva possono sempre essere un’arma a doppio taglio, in fin dei conti lavori nel braccio della bilancia che oscilla tra la vita e la morte. I macchinari fanno il loro lavoro, la medicina pure, ma alla fine si tratta della forza interna delle persone.

Perfettamente in orario e sanificato entri e inizi i tuoi controlli di routine. Oggi in turno con te hai Carmela, che riesce sempre ad infilarsi sottilmente tra le pagine della tua pazienza quasi infinita. È una gran brava ragazza nel suo lavoro, assolutamente dedicata alla cura dei pazienti, anche i più gravi, ma pecca totalmente nel lato umano, soprattutto con i parenti dei ricoverati. Sempre burbera e ligia alle regole non riesce mai a fletterle, la sua perseveranza è poi cresciuta quando non è riuscita a passare la selezione per capo infermiere, si è ritrovata me come superiore e la cosa non ha contribuito alla sua felicità. Il più grande problema di oggi sarà affrontare l’orario delle visite, anche se oggi abbiamo un solo appuntamento.

Entrato in reparto controllo le varie cartelle di ogni paziente e i loro parametri vitali. All’interno di questa stanza al momento abbiamo cinque persone, tutti riservatamente separate da una tenda. Il rumore dei macchinari è ben distinguibile e accompagna le nostre ore qui dentro. Non posso lamentarmi, preferisco il loro ripetitivo canto al suono dell’allarme di anche solo uno di essi.

Carmela e Giulia sono nella stanza sul retro che parlano dei loro rispettivi fidanzati, sante anime.

Da qualche giorno abbiamo qui con noi un signore anziano, uscito da un’operazione lunga e complicata e sopravvissuto per pura testardaggine. Da lui possiamo sentire ben poche parole ma i suoi occhi azzurri parlano con l’intelligenza di mille enciclopedie e la furbizia di tutti i personaggi delle fiabe. Due figli sono già venuti a trovarlo, ricevendo da lui poche risposte, se non qualche borbottio all’unica figlia che si è presentata per ora, con gli occhi azzurri e vivi quanto quelli del padre. Quando ha visto la moglie si è illuminato e si sono teneramente tenuti la mani per quei venti minuti che possiamo concedergli, parlandosi in un silenzio che solo due persone insieme da una vita possono comprendere.
Controllo i fogli per ricordami il nome dell’appuntamento e noto che il cognome è sempre il solito penso quindi che possa essere la terza figlia, o una sorella più giovane.

Un campanello ci distrae dai nostri pensieri personali, all’unisono controlliamo gli orologi. “Questa signora è perfettamente in orario, Giulia riesci ad andare tu?” La terapia intensiva porta ad un breve rituale di vestizione per cui le persone che entrano devono portare qui dentro quanti meno microbi possibili dal mondo esterno. Per la sicurezza dei nostri pazienti dobbiamo rimanere incatenati nella nostra piccola bolla di protezione. Giulia sorride e va ad accogliere all’ingresso la signora, per spiegarle tutte le regole e aiutarla a prepararsi.

Giulia torna accompagnata da una ragazza, non riesco a capire molto bene la sua età ma si capisce essere giovane dal passo svelto e dagli occhi che freneticamente cercano una persona, prima di fermarsi sul signore ed esordire con una singola parola.

Nonno.

Lei è la nipote, l’unica da quanto mi è parso di capire dalle voci degli altri familiari. Per non si sa quale forza l’uomo pare sentirla avvicinarsi e, quando lei si siede accanto a lui, le sorride. Lei sta piangendo ma gli prende la mano e la stringe piano ma con fermezza. Sembra non sentire i macchinari intorno a loro mentre piano gli accarezza la testa e gli racconta del mondo esterno. Gli parla della vita fuori come fosse un libro e lui la guarda rapito. Per un momento mi soffermo a osservarli e mi accorgo che quello a cui sto assistendo è il motivo per cui riesco ad amare questo reparto. Qui più di tutti si osserva la forza della medicina che nessuna scienza può studiare ne prevedere, l’antidoto ad ogni male che ha questo signore in questo momento, racchiuso in una piccola ragazza che sembra, con la sua delicatezza, racchiudere forza necessaria per sostenere entrambi.

Vedo Carmela iniziare ad agitarsi, fissare l’orologio con insistenza e una crescente rabbia. “Deve andare via, stanno passando i minuti, ha finito il suo tempo!” sputa dalla sua bocca. “Aspetta” le dico. Li osservo bene, da quando è qui non l’ho mai visto cosi pieno di vita. Mi rendo conto che questo è uno dei casi in cui le regole possono essere leggermente flesse. La vita dell’uomo potrebbe finire domani e noi possiamo regalargli un momento in più con sua nipote. Sembrano un girasole e il sole stesso, ma non saprei bene dire chi è che segue l’altro. Come due stelle si rincorrono in un gioco di sguardi e sorrisi nascosti dalle mascherine come se stessero facendo un gioco tutto loro. Lei, ha una medicina antica che sicuramente le è stata insegnata dall’uomo, e lui ne beve avidamente mentre si sussurrano promesse di vita. La loro luce illumina il reparto. “Oggi il loro tempo non è ancora finito.”