Il bello della vita, spesso, è che prende il sopravvento sulla mente trasformandoci in creature evanescenti. Perché il bello? Perché è il momento in cui possiamo fluttuare, dimenticare le varie dimensioni e decidere. Decidere se fare qualcosa di concreto oppure vivere di aspettative. E nel momento in cui si fa qualcosa di concreto, che ha a che fare con la vita reale, si rimane sbalorditi. Si pensa: lo sto facendo. Sono proprio io in questa situazione.
I grandi codardi della storia sono riusciti a scappare da questa tremenda verità nelle maniere più originali. Chi è stato fortunato ha cavalcato l'onda del suo tempo, la moda. Siamo fuggiti attraverso le droghe o i fumi alcolici. E alla fine il disegno si è rivelato troppo banale. Quando la via di fuga è diventata la mente, ciò che abbiamo di più nascosto e a cui nessuno può arrivare, il discorso si è fatto invece interessante. Così le cose hanno cominciato a capitare, le persone hanno imparato a sorridere. Chi ha deciso di amarci ci ha tenuto vicino o ci ha allontanato. A modo nostro, tutti siamo in grado di esprimere noi stessi attraverso indifferenza o attenzione. E abbiamo sempre la nostra mente per sfuggire dagli inghippi, per proteggerci se abbiamo paura.
Perché quando dobbiamo affrontare la realtà vediamo solo errori e l'unica cosa che possiamo fare è cercare rifugio immediato nella mente. Come quando viviamo due settimane di sbronze ininterrotte, per chi lo ha fatto, per chi ci è cascato. Poi appena intravediamo la nostra vita, così com'è, senza filtri, senza scorciatoie, senza facilitazioni, non possiamo fare altro che uscire da una bottiglia, fare la spesa, riempire il frigo, ricominciare a mangiare e a vivere. E che paura! Per questo molti ricominciano con la bottiglia. È più facile, è il potere della nebbia, o dell’annebbiamento, se vogliamo essere meno caustici.
Così, dopo aver vissuto due settimane in questo modo, aver fatto la spesa e riempito il frigorifero e aver cucinato un ottimo pasto a base di carne e verdure al vapore, decido di fare visita alla mia cara amica Samantha, un venerdì sera. Samantha è molto magra, indossa i vestiti come farebbe una modella e ha sempre delle cavigliere d'argento che attirano l’attenzione verso i suoi piedi perfetti. Indossa gonnelline di velluto troppo corte, tacchi fluorescenti e tiene le unghie smaltate di grigio. Il venerdì lo trascorre a casa concentrata sui preparativi per il sabato e per la domenica. Sono gli unici giorni della settimana in cui non lavora e in cui la sua agenda è piena di impegni mondani. La mattina, il pomeriggio e la sera.
Quel venerdì mi ha salutato educatamente, come sempre, devo dire. Perché non ci vedevamo da un pezzo e quando questo accade, lei ci rimane male. Dice sempre che le sono mancato, ma evita accuratamente di spiegarne le motivazioni. Le ho detto che nel suo primo fine settimana libero l’avrei portata alla casa al mare. E lei mi ha fatto capire che era questo il vero motivo. Il vero motivo per cui le mancavo davvero quando non mi facevo sentire per diverso tempo. Ero, insomma, una ventata fresca di novità nella sua vita. I nostri fine settimana sono sempre stati completamente diversi da tutte le altre cose che ha fatto con amici e fidanzati che le sono ronzati intorno.
Eccola la realtà. Sta succedendo ora, sono faccia a faccia con questa bellissima ragazza che mi dico di conoscere bene, ma che so di non capire, di non apprezzare al cento per cento. Di cui non conosco i pensieri reconditi, i desideri pulsanti, le speranze che la dilaniano e la fanno piangere la notte. E, come sempre, le sto promettendo una bella serata. Mi guardo in uno degli specchi del suo appartamento, che assomiglia a un laboratorio da sarta. Sono analitico. Indosso pantaloni di cotone e una camicia di seta nera. Scarpe da tennis leggere, in puro lino. Ho anche la cinta azzurra che spezza il completo un po’ troppo stile porticciolo.
Samantha mette su un vecchio giradischi un LP di musica afro-cubana che io odio. Ma a lei piace lavorare ai suoi outfit ascoltando Celia Cruz o Benu Moré. Parliamo del programma che ci attende, di ciò che faremo tra sette giorni. Ci fermeremo in una pizzeria carina che dà sul mare. Respireremo il paesaggio notturno dei villaggi turistici. Ammireremo le stelle riflesse su una delle tante porzioni di mare che formano il golfo. Faremo questo e altro prima di puntare decisi verso la residenza estiva dove passeremo il resto della serata.
«La pizzeria dovrà essere molto chic. Voglio la terrazza, camerieri giovani e carini, una cucina da cui arrivano folate di cibo fresco, magari del pesce appena pescato.»
Samantha non sa mai dove sputare la gomma quando usciamo la sera per locali. Questo fatto cozza con la sua eleganza e la sua personalità attenta ai dettagli. Io sono molto inquadrato, pago sempre il conto, ma non dò mai importanza a certe quisquilie. Eppure questo suo vezzo mi infastidisce.
«Che cosa vorresti che succedesse stasera?» le chiedo di solito quando siamo in giro durante una delle nostre scorribande. «È possibile arrivare così vicino ad avere tutto ciò che una persona può desiderare e non essere soddisfatti?»
La mente arriva in mio soccorso alle prime difficoltà. Lo fa attraverso un viaggio parallelo che compie ogni volta che mi trovo di fronte alla realtà così scioccante, dura da dover sopportare, soprattutto quando fatta di bei momenti stupidi e illusori. Niente dolore, niente pianto... solo panico. Allora con la mia automobile americana mi dirigo verso la costa, da solo o in compagnia, con una preziosa bottiglia di vino nella borsa della palestra e mi fermo in qualche paesino poco distante dalla città. Parcheggio e scendo lentamente dall'auto. Respiro a lungo l’aria speziata e mi lascio andare a una bella bevuta nascosto in un prato oppure in spiaggia.
Se scelgo di andare alla casa al mare, come per il fine settimana con Samantha, devo organizzarmi per tempo. Al piano terra la casa è finita, ma il secondo piano è ancora in costruzione. Suono alla porta della vicina che vive al mare tutto l’anno e custodisce le nostre chiavi. Il cancello si apre ed entro. La signora che ci dà una mano è la madre di Marta, un’assistente sociale che si occupa degli affari di famiglia, delle forniture per i nonni anziani, delle visite mediche e dei finanziamenti regionali. Mio padre ha consigliato alla madre di Marta l’acquisto della casa dopo la morte del marito. È stato un ottimo investimento. Ora lei ci è riconoscente. La donna è un' ex-sessantottina un po’ scoppiata da cui dovrei imparare i viaggi paralleli. Tu parli e lei è su Plutone.
«Marta è di sopra, si sta preparando per uscire. Vorrei darti i soldi per la benzina per lo spostamento dello scorso mese.»
«Non posso accettare. Se i miei genitori lo venissero a sapere, sarei nei guai.»
«Mi trovo costretta a insistere.»
«Signora, ma sta scherzando. Non ci penso nemmeno.»
«Sei così gentile. I ragazzi che frequentano mia figlia non vengono mai a prenderla e non la accompagnano mai da nessuna parte. Deve sempre fare tutto da sola. Tu sei l'unico che le dà una mano.»
«Non lo dica troppo in giro.»
Marta scende dal piano di sopra ed entra in cucina. Rimango a bocca aperta. Ha i capelli raccolti e un vestito leggerissimo, che svolazza, aderendo perfettamente alle curve e lasciando le gambe scoperte. Questo mi fa ricordare che Samantha è rimasta in auto e sta aspettando. Marta tiene una borsetta in mano.
«Marta come ti sei vestita?» chiede la madre.
La madre non è abituata a vederla in ordine e pulita quando non lavora. Marta è una selvaggia. Durante il suo tempo libero dà sfogo alla frustrazione che il suo lavoro le procura. Gente con problemi seri, lamentele continue, disgrazie e documentazioni da smaltire in fretta, lungaggini burocratiche e attese infinite da parte dell’assistenza sanitaria pubblica. Marta ha un piercing nel naso, treccine simil rasta e parte del cranio perennemente rasato. Certe volte a destra, altre a sinistra. Vederla così in ordine, con i capelli tagliati e non colorati, come una seria ragazza di città, fa impressione.
Dove sono finiti i vecchi jeans consunti comprati al mercatino dell’usato? Perché sostituirli con un costoso vestito Disegual? Dove sono i maglioncini cuciti a mano dopo aver raccolto dalle amiche stoffa e gomitoli di lana inutilizzati?
In strada Marta ha acceso una sigaretta. Ricordo ancora come sono andate le cose. Abbiamo fatto un giro noi tre, su e giù per la costa. Samantha non ha protestato per la compagnia non preventivata. Abbiamo trascorso la serata con degli amici che frequentavano i locali estivi ancora prima che arrivasse l’estate vera e propria. Prima di rientrare alla casa al mare con il secondo piano in costruzione, siamo andati a ballare in una discoteca all’aperto. L’Aquilone era il nome della discoteca. Ricordo che ci stavamo annoiando e per questo abbiamo cominciato a bere tequila. Marta mi ha preso la mano e mi ha portato verso l’uscita, mentre Samantha si è appartata con un amico in un angolo della discoteca dove c’erano i divanetti foderati di tessuto ruvido sintetico scadente. Io ero orgoglioso che le persone che ci conoscevano ci vedessero insieme, io e Marta presi per mano mentre tentavamo una fuga, perché Marta era ben considerata in quel giro di amici, ma non dava confidenza a nessuno. Quegli sguardi dicevano che ero fortunato, perché ero stato scelto.
Avevo voglia di vomitare la tequila ma resistevo. Gli amici che erano usciti con noi dalla discoteca sono andati nella direzione opposta alla nostra. Io e Marta siamo scesi in una spiaggia lì nei pressi che lei conosceva meglio di me. Era buio e dei ragazzi facevano fracasso rompendo alcune bottiglie scagliate contro una casa abbandonata.
«Così sei innamorato di me!» ha detto.
«Sì!» ho risposto.
«Stupido.» Mi ha dato un forte colpo alla spalla e ha poggiato la sua schiena sulla mia pancia. Mi sentivo gonfio e dovevo trattenere l’aria, ma mi sembrava di esplodere. Lei si è inquattata dietro la vegetazione in cerca di privacy.
«Ora non potrò più essere tua amica. Sei un imbecille.»
«Ma che ci posso fare?»
«Io non posso permettermi una storia in questo momento.»
Non puoi permettertela con me. È questa la verità.
Mentre tornavamo in città con la mia automobile, stavamo in silenzio ad ascoltare la musica della radio. Una stazione che trasmetteva solo musica rock.
«Samantha!» ho esclamato all’improvviso. Mi ero dimenticato di lei. Era rimasta alla discoteca con i nostri amici.
«Cavolo, stavolta l’hai combinata grossa.»
Eravamo arrivati in città e non avevo nessuna voglia di tornare indietro.
«Puoi dormire da me se vuoi. C’è mia sorella che studia e si alza presto e non possiamo fare casino.» L’ho guardata ridendo sardonicamente.
«Non ti faccio dormire con me nel mio letto, te lo sogni.»
«Ho detto ai miei genitori che avrei aperto la casa al mare e avrei dato un’occhiata ai lavori. Ti accompagno e torno indietro.»
«Ma è tardi. Sarai morto di sonno. È pericoloso.»
«Ah, ora ti preoccupi per me?»
Affrontare con Samantha la strada costiera per andare al mare, e farlo anche con Marta nel giro di poche ore, era stata un’esperienza degna di nota. Niente da dire. In quel momento mi era sembrato qualcosa di cui tenere conto, poi per un periodo mi ero scordato di quelle ore liete. È stato durante un altro viaggio parallelo con cui volevo allontanarmi dalla triste realtà che quel via vai mi è tornato in mente. Il profumo della vegetazione notturna, la consistenza di Marta e quella di Samantha, il tragitto di ritorno mentre guidavo da solo immerso nella musica della radio e nei pensieri di quel periodo.
I miei viaggi paralleli mi riportano spesso ad attimi del passato, persone scomparse o sperdute, relazioni platoniche come spighe selvatiche sui rilievi della campagna marina. Nei miei viaggi paralleli, Marta non indossa nessun vestito elegante. Siamo straccioni e lei gira sigarette lunghe e fini aromatizzate. Samantha ci guarda e ci chiede se vogliamo fare una foto come ricordo di una serata in cui siamo stati felici senza saperlo, perché ancora molto giovani. Poi beviamo e vomitiamo e ci baciamo. Nico, l'amico beatnik, ci parla delle imprese di Dylan. So qualcosa anch'io sull'argomento. Io ho letto Kerouac e Ginsberg e Borroughs e Ferlinghetti. Potremmo discutere ed io vorrei tanto imparare, vorrei indossare calzoni stracciati da operaio e camminare fino a consumare le suole e arrivare alla cittadella dello studente che c'è a Parigi.
Avrei passato il resto della mia vita con Marta se lei avesse voluto. E saremmo stati i beatnik più beatnik del mondo, completamente fuori dal tempo. Ma di tempo non ce n'è più, perché questi tornanti sono finiti. E ora c’è una strada tutta dritta e piena di gallerie che collega la città a tutte le località estive che vivacizzano la costa. E io già intravedo la casa dove farò l'amore questa notte. Una notte senza sigarette, senza tequila, senza odori dentro le stanze. Così, mentre Samantha dorme, esco in giardino e, scalzo, sento il contatto spinoso e pungente dei sassolini e del terriccio e dell'erbetta bagnata della casa con il secondo piano da costruire ormai quasi completato. Per fortuna che c'è ancora il cielo che splende azzurro scuro elettrico in mezzo ai tralicci dell'alta tensione. Le stelle da qui sembrano più piccole, tanto da apparire inconsistenti. E in parte lo sono, infatti.
Qui posso fumare e congelarmi.